Con l’ordinanza n. 29809 del 12.11.2025, la Cassazione afferma che è antisindacale una qualsiasi condotta datoriale capace di produrre l'effetto della lesione del diritto alla attività ed alla libertà sindacale, a nulla rilevando che il datore agisca in attuazione di una volontà proveniente dalla propria associazione di categoria.
Il fatto affrontato
La O.S. propone ricorso ex art. 28 L. 300/1970, al fine di sentir dichiarare il carattere antisindacale della condotta societaria consistente nel rifiuto di sottoscrivere delle conciliazioni con la ricorrente.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che il rifiuto di sottoscrivere le conciliazioni con l'assistenza di rappresentanti della ricorrente proveniva dall’associazione datoriale e non dalla società e, quindi, non era ravvisabile alcuna condotta datoriale diretta a porre ostacoli all'assistenza sindacale.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva preliminarmente che, ai fini della qualificazione della condotta come antisindacale, basta il solo elemento oggettivo costituito dall'attitudine anche solo potenziale del comportamento datoriale a violare gli interessi tutelati.
Per la sentenza, è, infatti, sufficiente che sussista l'oggettiva idoneità alla lesione degli interessi collettivi coinvolti.
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, la condotta incriminata può essere anche conseguente all'adesione del datore ad una determinata associazione di categoria come effetto di un vincolo associativo.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della O.S., cassando con rinvio l’impugnata pronuncia.
A cura di WST
