Con l’ordinanza n. 28790 del 31.10.2025, la Cassazione afferma che imporre, durante un tavolo sindacale, l’uso obbligatorio di una lingua straniera determina una limitazione alla capacità di dialogo e di confronto delle OO.SS. e, dunque, una limitazione della loro capacità negoziale.
Il fatto affrontato
Le OO.SS. ricorrono giudizialmente al fine di sentir dichiarare il carattere antisindacale della condotta tenuta dalla multinazionale e consistita nell’imposizione dell’uso esclusivo della lingua inglese senza servizio di interpretariato durante la negoziazione volta alla costituzione del CAE (Comitato aziendale europeo).
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ritenendo l’utilizzo della sola lingua inglese limitativo delle potenzialità di scambio da parte dei rappresentanti delle sigle sindacali.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che l’imposizione di una lingua straniera durante le trattative è idonea ad incidere, direttamente, sulla scelta stessa dei rappresentanti sindacali.
In particolare, per la sentenza, le sigle sindacali sarebbero di fatto costrette all’individuazione di propri rappresentanti in ragione del possesso di un migliore bagaglio linguistico a discapito di altri e magari a discapito della stessa capacità alla negoziazione sindacale.
Secondo i Giudici di legittimità, detto vulnus delle prerogative sindacali non si sarebbe verificato se fosse stato assicurato lo strumento del servizio di interpretariato.
Difettando quest’ultimo elemento nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando l’antisindacalità della scelta di imporre una lingua straniera per condurre le trattative sindacali.
A cura di WST
