Diritto alla disconnessione nel contesto europeo e peculiarità della connessione e della disconnessione nel lavoro agile.
L’esistenza, il contenuto e la regolamentazione di un diritto soggettivo del lavoratore subordinato a “disconnettersi” dai collegamenti informatico-digitali che ne rendono possibile la prestazione, è questione che raccoglie oggi un picco di attenzione da parte delle imprese, dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, del legislatore e degli studiosi.
La ragione contingente di ciò sta nella adozione repentina e massiva del cd. “lavoro agile” come misura di ordine pubblico sanitario in funzione di contrasto alla pandemia Covid-19: è in tale modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, infatti, che il “diritto alla disconnessione” assume valore centrale, oltre a ricevere espressa - anche se insufficiente - , considerazione da parte del legislatore; fino a diventare urgente e ineludibile, in considerazione dell’approssimarsi della fine del periodo “emergenziale” (ad oggi, il 15.10.2020).
Invero, si tratta di una questione che travalica i confini del lavoro agile, poiché riguarda direttamente l’impatto della rivoluzione digitale - tanto più nell’avanzante fase delle tecnologie “5G” - sulle relazioni e sulle organizzazioni di lavoro: in particolare, riguarda la modalità con cui - e la stessa possibilità di - mantenere separati i tempi di lavoro da quelli della vita privata, a tutela del diritto al riposo, alla protezione della sfera privata e familiare, alla conciliazione dei tempi di lavoro, familiari, di cura, personali.
Il nuovo contesto tecnologico ed organizzativo ha agevolato la diffusione del fenomeno del c.d. “working anytime, anywhere”, esponendo i dipendenti a nuovi rischi sanitari e psicosociali derivanti dall’iperconnessione (overworking, stress lavoro-correlato, burnout) e dal riversamento di tempi di lavoro all’interno dei tempi destinati alla vita privata (time porosity o swork spillover). Basti un dato: in Svizzera, l’80% dei lavoratori dichiara di essere perennemente reperibile dal datore di lavoro per via informatico-digitale; e questa è la tendenza sia europea che nordamericana.
Il riconoscimento di un “diritto alla disconnessione” proteggerebbe il lavoratore da tali rischi, e garantirebbe l’effettivo esercizio/adempimento del diritto/dovere al ristoro delle energie psicofisiche nel rispetto dei periodi di riposo previsti dalla costituzione e dalle norme europee, così come regolamentati dalla legge e dalla contrattazione collettiva (ferie annuali, riposo settimanale e riposo giornaliero).
Sotto altro profilo, la delimitazione tassativa del tempo di lavoro, anche con svolgimento da remoto, è necessaria per circoscrivere il periodo di esigibilità della prestazione lavorativa e il corrispondente ambito di condotte disciplinarmente rilevanti: come ha più volte affermato la Corte di Cassazione “il dovere di diligenza del dipendente trova il suo limite essenziale nella prestazione contrattualmente dovuta e comunque entro l’orario di lavoro” (Cass. 4 ottobre 2017, n. 23178).
Come accennato, nell’ordinamento giuridico italiano non esiste una disposizione normativa specifica sul diritto alla disconnessione per tutti i lavoratori subordinati: esso è invece menzionato nella legge che disciplina il lavoro agile (L. 22 maggio 2017, n. 81), che, all’art. 19, co. 1, 2° per., nel descrivere il contenuto dell’accordo individuale volto a regolare “l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali”, prevede che detto accordo “individua i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
A tale proposito, la prima osservazione da fare è che si tratta di una norma, almeno all’apparenza, ingenua, per aver attribuito una delega in materia di limitazione dei poteri datoriali e di garanzia di un diritto individuale del prestatore di lavoro, che è parte debole del rapporto di lavoro, alla contrattazione individuale anziché a quella collettiva.
Il rilievo esce rafforzato dalla comparazione con quei pochi Paesi europei che si sono posti il problema del diritto alla disconnessione digitale in termini generali, ossia non limitati ai lavoratori che rendono la propria prestazione da remoto, ma esteso all’intera platea dei lavoratori dipendenti: sia il novellato art. L 2242-17, co. 7, del Code du travail francese, che l’art. 88 della Ley organica spagnola n. 3/2018, infatti, rinviano in materia alla contrattazione collettiva aziendale o (nel caso della Francia, anche) alle policies aziendali (charte informatique d’entreprise). Per non parlare della Germania, dove molte grandi imprese, con quelle automobilistiche, hanno dettagliatamente disciplinato la materia tramite accordi o regolamenti aziendali, nonostante il fallimento, nel 2014, del tentativo di introdurre un diritto alla disconnessione nell’ambito di un più ampio disegno di legge destinato a contrastare lo stress lavorativo.
La norma italiana appare altresì - ma il rilievo è questa volta comune alle citate esperienze straniere - incompleta, perché non attribuisce al lavoratore il diritto alla disconnessione, limitandosi a prevedere che ciò possa fare l’accordo individuale. Sicché si potrebbe aggiungere che la norma è anche imperfetta, perché priva di sanzione, nulla essendo previsto per il caso in cui l’accordo individuale non disciplinasse il diritto alla disconnessione.
1.4. Si potrebbe però ipotizzare - in coerenza col canone esegetico per cui la legge va interpretato alla luce della sua ratio, e comunque, nel dubbio, nel senso in cui possa avere qualche effetto utile - che anche in caso di carente previsione dell’accordo individuale, il lavoratore possa “scollegarsi” da tutti (o da alcuni de)i dispositivi informatico-digitali che lo collegano all’azienda, per tutta la durata dei periodi di pausa e di riposo stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
1.4.1. Il rilievo è importante, perché prospetta la vigenza di un diritto già astrattamente invocabile in giudizio da parte dei lavoratori, nonostante la sia mancata regolamentazione contrattuale: esso inverte la prospettiva delle convenienze, suggerendo che sia nell’interesse delle imprese, prima che dei lavoratori, regolamentare contrattualmente il “diritto alla disconnessione”, sì da contemperarlo con le esigenze aziendali.
Esso va dunque approfondito, evidenziandone l’implicita assunzione di principio, peraltro già evidenziata in dottrina: l’idea, cioè, che per fondare un “diritto alla disconnessione informatico-digitale” dei lavoratori non sia necessaria una norma ad hoc, in quanto tale diritto affonda le sue radici sul principio fondamentale di separazione tra la sfera professionale e personale, che trova la propria fonte nelle norme cardine del nostro sistema giuridico, sia a livello costituzionale che comunitario, volte a tutelare la salute e a promuovere lo sviluppo integrale della persona.
1.4.2. La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sanciva già il diritto a una “ragionevole limitazione delle ore di lavoro” e alle “ferie periodiche retribuite” (art. 24). Tale principio si rinviene anche nell’art. 36 della Costituzione, in forza del quale “la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”, e negli artt. 2107 (“La durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro non può superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali”) e 2109 c.c. (“Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica”).
. La Direttiva 2003/88/CE e il decreto legislativo di attuazione (D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66) hanno poi dettagliatamente disciplinato i tempi di lavoro, consentendo di ricavare a contrario una definizione di “riposo” inteso come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”, ossia in cui il lavoratore non sia “al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
1.4.4. Anche il menzionato art. 19, co. 1 della L. 22 maggio 2017, n. 81, ha un tenore meramente ricognitivo di un diritto pacificamente sussistente, limitandosi la parte dispositiva della norma a prevedere come requisito necessario dell’accordo di disciplina del lavoro agile la previsione di regole che ne garantiscano l’attuazione. L’art. 18, infatti, dopo aver enunciato che il lavoro agile si svolge “anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” specifica che “La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
1.5. Tali disposizioni, declinate in un’organizzazione del lavoro che prevede l’utilizzo da parte dei lavoratori di strumentazioni informatiche che consentono una reperibilità immediata e costante, impongono il riconoscimento di un generale diritto/dovere di disconnessione, indipendentemente da un’espressa previsione normativa sul punto.
1.5.1. Tale diritto, come precipitato delle disposizioni in materia di orario di lavoro, comporta pertanto che nel periodo di tempo in cui il lavoratore non è a disposizione del datore di lavoro, non può subire alcuna sanzione disciplinare per violazione dell’obbligo di diligenza ove (ad esempio) non risponda al telefono o non legga un’ e-mail.
1.5.2. Parimenti, l’eventuale pretesa di una risposta da parte del lavoratore nel periodo di riposo, dovrebbe essere considerata come ordine di svolgere una prestazione lavorativa extra-orario, dunque - tra l’altro - retribuita con le necessarie maggiorazioni (per lavoro straordinario, notturno, festivo). Sul punto, va anzi osservato che l’utilizzo di strumentazione informatica agevola l’onere della prova gravante sul lavoratore per dimostrare eventuali prestazioni eccedenti il normale orario di lavoro.
1.5.3. Inoltre, la violazione dei tempi di riposo (giornaliero, settimanale e ferie annuali) potrebbe addirittura configurare una violazione dell’art. 2087 c.c., con conseguente diritto al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal lavoratore per la lesione dell’integrità psicofisica (Cass. 15 luglio 2019, n. 18884; Cass. 4 ottobre 2017, n. 23178; App. Torino, 12 aprile 2017, n. 281).
2. Le peculiarità della (connessione e della) “disconnessione” nel lavoro agile.
La conclusione sopra rassegnata - secondo cui, in sostanza, il diritto alla disconnessione informatico-digitale (anche) dei lavoratori agili già esisterebbe, essendo un mero corollario delle norme limitative del tempo di lavoro - va tuttavia calata nella struttura giuridica del lavoro agile, al fine di coglierne appieno la valenza, alla luce della specifica disciplina giuridica di tale modalità di lavoro subordinato.
2.1. La prima ’osservazione da cui muovere è che, nell’ambito della indistinta generalità dei lavoratori che rendono la prestazione lavorativa avvalendosi di strumenti informatico- digitali, i lavoratori agili sono destinatari di una specifica disciplina del tempo di lavoro, a stregua della quale la prestazione è resa “senza precisi vincoli di orario”, “entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18, c. 1, 1° e 2° per., l. n. 81/2017).
La norma è di incerta interpretazione.
2.1.1. Essa può essere intesa nel senso che, in materia di orario di lavoro, trovi applicazione solo la normativa sulla “durata massima dell’orario di lavoro” (art. 4 del d.lgs. n. 66/2003), e non quella sull’ “orario normale di lavoro” nonché quella, derivata, in materia di “lavoro straordinario” (artt. 4 e 5 del predetto decreto).
2.1.2. Ma può essere anche intesa nel senso che trovino applicazione entrambi i blocchi normativi, conseguendone che il lavoro agile comporterebbe solo la libertà di collocare la prestazione di lavoro nel tempo, e non anche l’assenza di un orario di lavoro normale, inteso come quantità oraria di lavoro esigibile nella giornata e nella settimana (con conseguente spettanza della maggiorazioni per lavoro extra-orario).
2.1.3. Nella contrattazione collettiva si riscontrano entrambi gli approcci (v. avanti).
2.2. Una seconda osservazione è che il lavoro agile è munito di una disciplina giuridica diversa anche rispetto ad altre ipotesi di lavoro “senza tempo”, quali, in particolare, quelle previste dall’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 66/2003, riferite “ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi”: lavoratori tra i quali la norma ricordata include espressamente, tra l’altro, “dirigenti, … personale direttivo … o altre persone aventi potere di decisione autonomo” (lett. a); e le “prestazioni rese nell'ambito di rapporti di … telelavoro” (lett. d). Infatti, mentre le acennate categorie o tipologie di lavoratori sono sottratte all’applicazione, oltre che delle norme in materia di orario normale e massimo di lavoro (incluso lo straordinario), anche di quelle in materia riposo giornaliero, pause, modalità e durata del lavoro notturno (sia pure “Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”), i lavoratori agili sono semplicemente sottratti a una precisa collocazione temporale della prestazione di lavoro (e forse, come s’è detto, alla disciplina dell’orario normale e del lavoro straordinario), essendo titolari, in linea di principio e in quanto lavoratori agili, di un diritto soggettivo alla libera collocazione della prestazione di lavoro nel tempo.
2.3. Ne discende un’importante peculiarità dei lavoratori agili anche con riferimento al “diritto di disconnessione”: una peculiarità coerente con la preminente finalità “conciliativa” del lavoro agile, e che ne segna il tratto distintivo dal lavoro sic et simpliciter “senza orario”). La peculiarità sta in ciò: che la libertà di collocazione del tempo di lavoro, di cui i lavoratori agili godono, rende necessario individuare delle “zone franche” in cui la prestazione non può essere richiesta, ovvero, se richiesta, non è immediatamente esigibile.
2.4. Come s’è detto, la legge rimette tale “compito” all’autonomia individuale. Naturalmente, ciò non esclude che l’autonomia negoziale si esprima al livello collettivo, che risulta, peraltro, essere il più idoneo alla regolazione di una materia di natura essenzialmente organizzativa, com’è quella dell’organizzazione dei tempi di lavoro.
2.4.1. Nel disciplinare tale materia, la contrattazione collettiva dovrà conciliare le esigenze aziendali, non solo con la predetta libertà di collocazione temporale della prestazione lavorativa, ma anche con la possibile esigenza dello stesso lavoratore di essere informato e “coinvolto” nel work-flow aziendale con anticipo e just in time.
Nel fare ciò, essa si potrà attenere a criteri più o meno generali e rigidi, più o meno integrati con la concreta organizzazione del lavoro e con lo stile gestionale; criteri che per comodità possono ricondursi, in linea gradata, al seguente ideal-tipo:
- il drastico e astratto divieto di collegamento, o di invio di comunicazioni elettroniche, al di fuori del normale orario di lavoro (dispositivo di “ritardo recapito”);
- il divieto di collegamento, o di invio di comunicazioni elettroniche, al di fuori del normale orario di lavoro, ma con possibilità del lavoratore di rimuoverlo autonomamente, o di chiederne la rimozione, al superiore gerarchico;
- il divieto di una reperibilità continua (reperibilità nel senso di prontezza a ricevere e prendere conoscenza della comunicazione; e non nel senso tecnico di “prontezza ad adempiere a seguito della chiamata in reperibilità”), coincidente con il normale orario di lavoro;
- la previsione di una reperibilità continua, perfino coincidente con il normale orario di lavoro, ma disgiunta dalla pretesa di un adempimento immediato;
- la previsione di una reperibilità strutturata per fasce orarie, collocate nell’ambito temporale del normale orario di lavoro, ma quantitativamente inferiore rispetto ad esso, all’interno delle quali possa essere richiesta e pretesa una prestazione lavorativa immediata;
- la previsione di una reperibilità strutturata per fasce orarie, collocate nell’ambito temporale del normale orario di lavoro, ma quantitativamente inferiore rispetto ad esso, all’interno delle quali possa essere solo richiesta una prestazione lavorativa, senza che ne sia prevista l’esecuzione immediata; ecc…
2.4.2. Sarà opportuno altresì disciplinare espressamente la questione del lavoro extra-orario, attenendosi a scelte gradatamente riconducibili ai due estremi opposti del divieto o diniego del lavoro straordinario, ovvero del suo pieno riconoscimento. Si potrebbe, così, immaginare di riconoscerlo solo se espressamente richiesto dal lavoratore e autorizzato dal superiore gerarchico; e/o di pagarlo in base a maggiorazioni diverse da quelle “normali”, che tengano conto della libertà del lavoratore di collocare temporalmente la prestazione lavorativa, se non addirittura della sua sottrazione allo stesso orario di lavoro normale, e quindi della “non spettanza”, in via di principio, delle relative maggiorazioni.
Prof. Avv. Armando Tursi - Partner Fieldfisher