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Contratto di lavoro a termine: risarcimenti illimitati con il Decreto Salva Infrazioni.


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1. Il nuovo Decreto e l’obiettivo di scongiurare il deferimento innanzi alla CGE - Con la pubblicazione del D.L. 131 del 16 settembre 2024, avvenuta in gazzetta ufficiale il 16 settembre u.s., il Governo ha approvato una serie di misure urgenti mirate ad attuare obblighi derivanti da atti dell’Unione Europea nonché da procedure di infrazione e pre-infrazione attualmente pendenti nei confronti dello Stato Italiano.

Una delle finalità del Decreto riguarda i contratti di lavoro a termine: scongiurare il deferimento dell'Italia dinanzi alla Corte di Giustizia, a fronte dei rilievi sollevati dall’Unione Europea, con la procedura di infrazione n. 2014/4231, in merito all’utilizzo abusivo del contratto a tempo determinato.

Ad avviso della Commissione europea, nel nostro ordinamento non sarebbero state previste adeguate misure di prevenzione e repressione dell’abusivo utilizzo dei fenomeni di successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico, esposte a condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato.

2. I correttivi introdotti nel pubblico impiego - Con l’art. 12 del Decreto, il Governo è intervenuto proprio per adeguare la vigente normativa dei contratti a termine nella P.A. alle indicazioni ripetutamente pervenute dalla Commissione Europea.

Modificando la norma vigente (art. 36, commi 3, 4 e 5, L. 165/2001), il Governo ha determinato espressamente l’entità del risarcimento da riconoscere al lavoratore in caso di abuso nell’utilizzo del contratto a termine, in particolare in caso di stipula reiterata di contratti a termine in successione, legittimando espressamente, in linea con quanto già riconosciuto in sede giurisprudenziale, il diritto del lavoratore a richiedere al giudice il riconoscimento di un indennità risarcitoria ricompresa tra 4 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR.

Il Decreto precisa, il parametro in funzione del quale il giudice è chiamato a determinare tale indennizzo, individuandolo nella “gravità della violazione” da determinarsi, in particolare, in funzione del numero e della durata dei contratti a termine che si sono succeduti tra dipendente ed Amministrazione.

La norma fa, comunque, salva la facoltà del lavoratore di provare il c.d. “maggior danno” su cui ci si sofferma nel successivo paragrafo 5.

3.  I correttivi introdotti nel lavoro privato - Non è scontata la ragione che ha indotto il Governo a modificare la disciplina sanzionatoria anche in tema di contratto a termine nelle aziende private.

Ad ogni modo, l’art. 11 del nuovo Decreto prevede una parziale modifica della disciplina dell’art. 28 Dlgs. 81/2015, norma che, sino ad ora, ha regolamentato le conseguenze economiche previste a seguito di accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a tempo determinato stipulato tra soggetti privati.

Prima del Decreto, la predetta norma prevedeva che, nei casi di illegittimità del termine, il Giudice, oltre a convertire in contratto a tempo indeterminato il contratto di lavoro illegittimo, era chiamato a condannare il datore di lavoro “al risarcimento del danno in favore del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge n. 604 del 1966”.

Tale indennità era espressamente volta a ristorare il dipendente per l’intero pregiudizio retributivo e contributivo subito nel periodo compreso tra la scadenza del termine illegittimo apposto al contratto di lavoro e la pronuncia con la quale il Giudice ordinava la ricostituzione a tempo indeterminato del rapporto medesimo.

Non si poteva, dunque, andare oltre le 12 mensilità anche se tra data di scadenza del contratto termine e data di emissione del provvedimento giudiziale di accertamento dell’illegittimità del termine fosse trascorso, anche a causa delle lungaggini processuali, un intervallo nettamente superiore.

In linea con quanto disposto in tema di lavoro pubblico, nel lavoro privato il Decreto ha integrato la predetta disciplina attribuendo al giudice chiamato a quantificare l’indennità onnicomprensiva la facoltà di elevare il trattamento risarcitorio oltre il limite massimo di 12 mensilità riconoscendo anche al lavoratore privato il diritto di dimostrare di aver subito “un maggior danno”. Si veda su questo punto di seguito il paragrafo 5.

4. La diversità di trattamento tra indennità onnicomprensiva nel lavoro pubblico e nel lavoro privato - Confrontando la disciplina del regime sanzionatorio espressamente introdotta dal Decreto in commento in ambito di contratto a termine nel lavoro pubblico e la corrispondente disciplina, già prevista dal Dlgs. 81/2015, applicata al contratto a termine nel lavoro privato, salta subito agli occhi una chiara diversità di trattamento.

Se il lavoratore privato può ottenere al massimo 12 mensilità di indennità onnicomprensiva, il lavoratore pubblico può vedersi riconosciute massimo 24 mensilità.

Questa apparente disparità non trova espresse giustificazioni nel Decreto. 

Può ritenersi, tuttavia, che una motivazione vada rinvenuta nel fatto che i due regimi sanzionatori prevedono criteri di quantificazione dell’indennità onnicomprensiva chiaramente diversi e sono ancorati a presupposti almeno parzialmente diversi.

Se nel lavoro privato i vizi del contratto a termine possono riguardare una pluralità di profili ma la durata massima del rapporto non può espressamente durare oltre 24 mesi, pena l’espressa  trasformazione in contratto a tempo indeterminato, la nuova disciplina introdotta dal Decreto nel lavoro pubblico, sottoposta a diversa normativa, mira principalmente a reprimere l’abuso nella successione di contratti a termine e a sanzionare la reiterazione illecita anche non continuativa dei rapporti di lavoro, attuata anche per lunghissime durate a discapito della stabilizzazione del rapporto di lavoro pubblico.

Tale peculiarità potrebbe indurre a giustificare una diversità di trattamento tra le due fattispecie tenuto conto che, mediamente, nel lavoro pubblico il numero e la durata dei contratti a termine e, dunque, la portata del fenomeno abusivo può assumere entità ben maggiori che nel lavoro privato, determinando i presupposti il riconoscimento di un trattamento sanzionatorio più severo in favore dei dipendenti precari.

Nel lavoro pubblico, inoltre, il legislatore non ammette in nessun caso la trasformazione del contratto a termine illegittimo in contratto a tempo indeterminato, ostandovi preminenti limiti costituzionali, derivanti dalla regola del pubblico concorso come forma di reclutamento del personale della p.a. (art. 97, comma 3, Cost.) e dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica imposte dal c.d. pareggio di bilancio (art. 81, commi 1 e 2, Cost.), nel lavoro privato, invece, tale riconoscimento è espressamente previsto (art. 28 Dlgs. 81/2015).

Anche tale diversità non è di poco conto e potrebbe essere identificata in una ragione giustificativa del diverso trattamento risarcitorio. In attesa dei primi commenti, sul tema i dubbi restano.

5. Il maggior danno - Ferme le riserve esposte in tema di quantificazione dell’indennità onnicomprensiva, deve, comunque, evidenziarsi la scelta del Governo, in risposta alle sollecitazioni comunitarie, di riconoscere sia al dipendente privato che al dipendente pubblico il diritto di allegare, in sede giudiziale, ogni elemento utile a dimostrare l’effettivo pregiudizio subito a seguito dell’illegittima interruzione del contratto a termine così da ottenere un ristoro aggiuntivo rispetto a quello forfettariamente previsto.

Gli artt. 11 e 12 del Decreto riconoscono, infatti, sia al dipendente a termine pubblico che a quello privato il diritto di richiedere al giudice l’accertamento del c.d. “maggior danno” subito in funzione dell’illegittimità del contratto a termine.

Deve segnalarsi, tuttavia, come predette norme si pongano in netto contrasto con le finalità che avevano indotto il legislatore, con l’introduzione del c.d. Collegato Lavoro (L. 183/2010 art. 32), ad introdurre l’attuale regime sanzionatorio forfettario (l’indennità omnicomprensiva appunto) in sostituzione del precedente regime che ammetteva il pagamento in favore del lavoratore a termine di tutte le retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto illegittimo ed il giorno di ripristino del medesimo su ordine giudiziale.

L’intervento normativo del lontano 2010 era stato pensato proprio nell’ottica di contenere le conseguenze economiche del ripristino giudiziale del rapporto di lavoro che, anche a distanza di molti anni dalla sua scadenza, potevano far lievitare esponenzialmente il risarcimento dovuto dal datore di lavoro.

Nell’ottica di adeguarsi alle sollecitazioni comunitarie, la scelta sposata dal Governo nel nuovo Decreto appare, invece, esattamente opposta tant’è che lo stesso attribuisce integralmente al giudice la facoltà di accertare l’entità del predetto “maggior danno”, allegato e documentato dal lavoratore, senza porvi un tetto e, di fatto, legittimandone una quantificazione astrattamente illimitata.

Andrea Consolini - WST Law & TAX