Si è conclusa nella giornata di ieri la prima fase della istruttoria tecnica del CNEL in materia di salario minimo. I lavori hanno visto la Commissione Informazione predisporre un primo documento con alcuni elementi di riflessione finalizzati all’inquadramento e l’analisi del problema. Il testo confluirà nel documento finale orientato a condividere dati , scenari , possibili soluzioni e criticità atteso per la fine di ottobre.
L ‘iter che ha portato alla predisposizione del documento ha le sue premesse nella direttiva UE 2022/2041. Nel solco delle sollecitazioni espresse a livello europeo, il CNEL ha presentato una prima memoria alla Camera dei Deputati l’ undici luglio scorso. Il mese successivo, il Presidente del Consiglio ha incaricato il CNEL di redigere in 60 giorni un documento di analisi e proposte sul tema.
Punti salienti del documento evidenziano innanzitutto come la direttiva, laddove esista un robusto ed esteso sistema di contrattazione collettiva, come in Italia, non richiede ulteriori adempimenti o verifiche. La Commissione evidenzia come ciò non escluda un piano di intervento e il documento fornisce prime linee guida a riguardo.
Tasso di copertura – I dati a disposizione indicano infatti un tasso di copertura della contrattazione collettiva che si avvicina al 100 per cento : una percentuale di gran lunga superiore all’ 80 per cento richiesto dalla direttiva. Da qui la piena conformità dell’ Italia ai due principali vincoli stabiliti dalla Direttiva e cioè l’assenza di obblighi di introdurre un piano di azione a sostegno della contrattazione collettiva ovvero un salario minimo legale.
Contrattazione pirata – Il fenomeno dei cd. contratti pirata, ossia contratti firmati da sindacati scarsamente rappresentativi, è un problema attuale ma che va ridimensionato. I dati dell’ Archivio nazionale dei contratti del CNEL segnalano che le categorie che aderiscono a CGIL, CISL, UIL firmano 211 contratti collettivi nazionali di lavoro, con una copertura che raggiunge 13.364.336 lavoratori dipendenti del settore privato (sempre con eccezione di agricoltura e lavoro domestico); gli stessi rappresentano il 96,5 per cento dei dipendenti dei quali conosciamo il contratto applicato, oppure il 92 per cento del totale dei dipendenti tracciati nel flusso Uniemens. I sindacati non rappresentati al CNEL firmano 353 CCNL che coprono 54.220 lavoratori dipendenti, pari allo 0,4 per cento dei lavoratori di cui è noto il CCNL applicato.
Ritardo dei rinnovi contrattuali – IL CNEL segnala invece una criticità, quella del ritardo dei rinnovi contrattuali. Nell’archivio sono più i contratti collettivi scaduti che quelli rinnovati, per la precisione su 977 accordi ossia il 57 % dei contratti. Ciò comporta che il 54 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato si applicano contratti non aggiornati. Ma la questione dei ritardi dei rinnovi è decisamente più complessa di quello che i dati ufficiali lasciano intendere . Infatti non sempre ritardo è sinonimo di non adeguatezza dei salari o di assenza di meccanismi di vacanza contrattuale , concessioni una tantum o meccanismi di adeguamento all’ inflazione.
Adeguatezza dei trattamenti retributivi – Sull’adeguatezza dei trattamenti retributivi stabiliti dai contratti collettivi il documento evidenzia una certa divergenza in seno alla Commissione nell’individuazione delle voci retributive, dirette e indirette, da prendere in considerazione per la definizione del salario minimo legale. Questo anche in ragione della struttura della retribuzione in Italia che non è pensata in funzione di una tariffa oraria, basti pensare a voci retributive sui generis come la tredicesima , la quattordicesima l’elemento di garanzia rispetto alla contrattazione decentrata di produttività no presenti in altri Pesi UE. Alcuni componenti della Commissione per l’informazione segnalano tuttavia l’opportunità di utilizzare criteri di misurazione del salario medio e mediano per parametrarsi sui trattamenti retributivi dei soli lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.
Pur volendo sviluppare un parallelo tra le tariffe contrattuali e una ipotetica tariffa legale, i parametri suggeriti dalla direttiva europea portano a valorizzare il 50 per cento del salario medio e il 60 per cento del salario mediano. Sul punto i dati ufficiali di ISTAT stimano in 7.10 euro il 50 per cento salario medio e in 6.85 euro il 60 per cento salario mediano. I dati sono del 2019, mentre non sono attendibili, per ISTAT, i dati del 2020 per le perturbazioni sul mercato del lavoro dovute alla pandemia.
In conclusione, rispetto a questi indicatori è pertanto possibile affermare – anche in assenza di condivisione sui criteri– che nel complesso, pur con non trascurabili eccezioni ( lavoro agricolo ; domestico ; multiservizi e servizi fiduciari ), il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente dette soglie retributive orarie a fronte invece di una scarsa quantità di giornate di lavoro retribuite per forme di lavoro a orario ridotto o di lavoro nero.
Piano di azione – Per tutti i motivi sopraesposti la Commissione conclude che la definizione di un piano di azione nazionale a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema di contrattazione collettiva, in termini di adeguamento strutturale alle mutate esigenze del mercato del lavoro, rappresenta la vera urgenza per dare risposta tanto alla questione salariale quanto al nodo della bassa produttività.