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Il salario minimo made in U.S.A. non convince.


Quali sono gli effetti del salario minimo ? Il tema è molto più complesso di quello che possa sembrare. Anche in Paesi avanzati come gli Stati Uniti gli economisti rimangono incerti sull’impatto a lungo termine di interventi in materia di salario minimo che possono presupporre conseguenze difficilmente prevedibili. 

In Italia opinione pubblica e addetti ai lavoro si trovano divisi sulle possibile conseguenze derivanti dall adozione di un salario minimo. 

La Fondazioni Studi Consulenti del Lavoro sulla base di dati Inps e Cnel afferma che “l’introduzione di un salario minimo legale, anziché rappresentare la soluzione, comporterebbe alcune controindicazioni: in primis, la marginalizzazione del ruolo della contrattazione collettiva, che in Italia è stata largamente usata per garantire a ciascun lavoratore le giuste tutele idonee al suo specifico impiego. Inoltre, potrebbe risultare un intervento semplicistico rispetto all’effettiva tutela del trattamento globale, economico e normativo dei lavoratori, ben più elevata del salario minimo tabellare. Oltre a ciò, la previsione di una simile misura determinerebbe un innalzamento del costo del lavoro a carico delle aziende con effetto trascinamento su tutti i livelli retributivi più alti del minimo, con il rischio di un effetto “immersione” in quei settori incapaci di assorbire l’incremento retributivo previsto”. ( Salario minimo : elementi per una valutazione

Un recente studio pubblicato sulle pagine della Harvard Business Review è andato oltre.

Partendo dalle evidenze statistiche del mercato del lavoro statunitense, gli studiosi hanno cercato di quantificare l’impatto delle politiche salariali in termini di influenza sul comportamento delle imprese. 

Oltre a modificare i tassi di occupazione, lo studio suggerisce che le imprese possono rispondere agli aumenti dei salari minimi con riduzioni dell’orario di lavoro. 

Negli Usa dal 2009 il salario minimo orario è fissato dalla legge federale a 7,25 dollari, un importo decisamente più basso di quello previsto da alcuni paesi dell’Europa Occidentale, ma ogni Stato è libero di alzare la soglia. Dal 2009 ad oggi, con l’innalzamento dell’ inflazione, sono 30 su 51 gli Stati che hanno innalzato l’importo del salario minimo. Gli stati che non hanno optato per l’aumento dei salari, lo hanno fatto per garantire una maggiore e attrattività verso le imprese. 

I ricercatori statunitensi hanno quindi messo a confronto i dati salariali e occupazionali in termini di ore lavorate di due stati all’antitesi per reddito pro capite come California , tra i più ricchi con un salario minimo pari a 15,74 dollari ( cresciuto di 6,74 dollari dal 2015 ), e quelli del Texas dove il minimo salariale è analogo a quello federale. 

L’ analisi dei dati dal 2015 ad oggi hanno evidenziato come gli aumenti del salario minimo non abbiano avuto impatti significativamente percepibili sul totale delle ore di lavoro impiegate. Viene invece a cambiare il modo in cui queste ore sono state ripartite, ossia l’orario di lavoro di ciascun lavoratore. 

Per ogni aumento di 1 dollaro del salario minimo, è stato riscontrato che il numero totale di lavoratori programmati per lavorare ogni settimana è aumentato del 27,7 % mentre il numero medio di ore lavorate da ciascun lavoratore è diminuito del 20,8%. 

Questi cambiamenti, in uno stato come la California con minimi salariali più alti che in altri Stati, si è tradotto nell’ impiego di quattro lavoratori in più alla settimana, con effetti positivi in termini occupazionali , e cinque ore in meno lavorate, con effetti negativi sulla retribuzione totale di un lavoratore medio a salario minimo pari al 13,6 %. 

Il perché di questa scelta è presto detto.

Lo studio evidenzia come il rimedio all’aumento del costo del lavoro attuato dalle imprese californiane trova le sue ragioni nelle specificità del sistema di protezione socio-assistenziale americano, dove l’accesso ai benefici pensionistici e sanitari è legato al raggiungimento di una soglia minima di ore lavorate nell’arco della settimana.

La riduzione del numero medio di ore lavorate non solo ha ridotto i salari totali ma ha anche influito sull’ammissibilità ai benefici sociali. Per ogni aumento di un dollaro del salario minimo californiano, la percentuale di lavoratori che ha lavorato più di 20 ore settimanali ( soglia di accesso ai benefici pensionistici ) è diminuita del 23 per cento , mentre la percentuale di lavoratori con più di 30 ore settimanali ( altra soglia per l’accesso alle prestazioni sanitarie ) sono diminuite del 14,9 per cento. Dalle stime riportate le aziende hanno compensato i maggiori costi salariali con la riduzione di benefit e altre forme di compensazione del personale ricorrendo oltretutto in maggior misura al lavoro a tempo parziale. 

La ricerca, anche se difficilmente rapportabile alla realtà italiana, deve far riflettere sull'opportunità di evitare approcci semplicistici senza tener conto delle possibili controindicazioni tra le quali, non da ultimo, il citato effetto " immersione " per quei settori che potrebbero dimostrarsi incapaci di assorbire gli incrementi retributivi.