“I lavoratori italiani possono contare su un sistema retributivo garantista che prevede un livello di protezione economica tra i più completi e articolati nel panorama europeo. Il modello italiano è, infatti, fondato su una solida architettura di contrattazione collettiva e su istituti normativi consolidati, come la tredicesima e la quattordicesima mensilità e il Trattamento di fine rapporto, non previsti per legge negli altri sistemi retributivi europei. “
È quanto emerge dall’approfondimento redatto dalla Fondazione studi consulenti del lavoro intitolato la 'Struttura della retribuzione e salario minimo: disciplina italiana e confronto con altri Stati comunitari' presentato in Commissione Lavoro del Senato nell’ambito della discussione svoltasi sui disegni di legge n. 956, 957 e 1237 sul salario minimo.
Nei confronti dell’ adozione di un salario minimo legale, La Fondazione assume una posizione condivisa da molti secondo cui "la previsione di un salario minimo di derivazione legale potrebbe essere percepito come un elemento di disturbo nel paradigma del dialogo delle parti sociali, normalmente impegnate su un fronte indubbiamente più esteso ed esauriente".
Lo studio comparato parte dall'analisi dei sei ccnl più applicati in Italia riferiti ai settori terziario , metalmeccanico, logistica e pubblici esercizi. La comparazione non si limita al solo valore del salario minimo legale – spesso usato come unico indicatore – ma si estende all’intera struttura della retribuzione, includendo elementi indiretti, differiti, come indennità contrattuali, mensilità aggiuntive, Tfr e travalica i confini nazionali estendendosi ad un’analisi della struttura retributiva francese, tedesca, spagnola e svedese.
In sostanza – secondo la Fondazione - per realizzare una comparazione credibile "è necessario osservare non solo i minimi retributivi orari, ma l’intera struttura della retribuzione. Infatti, soffermandosi esclusivamente sulla paga oraria non si rappresenta in modo veritiero quanto viene percepito effettivamente da un lavoratore. Dunque, anche in assenza di un salario minimo legale, il livello retributivo complessivo previsto dai Contratti collettivi nazionali di lavoro è già in linea o addirittura superiore alla retribuzione minima imposta per legge in altri Stati".
A ciò si aggiunga la considerazione che in alcuni casi la contrattazione collettiva italiana si spinge addirittura oltre la quattordicesima mensilità, disegnando elementi retributivi ulteriori, che ad esempio possono essere previsti sotto forma di welfare , supporto alla conciliazione vita-lavoro e all’assistenza sanitaria integrativa oltre alla corposa previsione di ore retribuite con permessi giustificati e tutti gli strumenti erogati dalla bilateralità. La forza del modello italiano - sottolinea la Fondazione - risiede nella sua flessibilità e capacità di adattamento settoriale, garantita dalla contrattazione collettiva rappresentativa. Un meccanismo che consente di calibrare i trattamenti economici in base alle reali esigenze dei lavoratori e delle imprese, assicurando al contempo equità e dignità del lavoro in conformità all’art. 36 della Costituzione.
L’ indagine prescinde dalla considerazione del valore del costo della vita e potere di acquisto delle retribuzioni considerato l’ampio margine di oscillazione, in molti casi superiore negli altri paesi rispetto a quello italiano. Anche in questo caso – a detta della Fondazione - è la contrattazione collettiva a dover fornire una risposta all'aumento del costo della vita attraverso politiche premiali e incentivanti della partecipazione attiva dei lavoratori con benefici tangibili in termini di produttività, retribuzione e rafforzamento del legame tra impresa e capitale umano.