Con l’ordinanza n. 26257 del 28.09.2021, la Cassazione afferma che, nel rito del lavoro, è possibile ammettere nuovi documenti in appello solo nel caso in cui gli stessi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti indispensabili ai fini della decisione della causa.
Il fatto affrontato
Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di veder accertata la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società presso cui aveva svolto mansioni di autista per alcuni mesi, nel periodo intercorrente tra il luglio 2011 ed il marzo 2013.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, non ritenendo provata la sussistenza del rapporto e considerando inammissibili i documenti prodotti in secondo grado perché non citati nel ricorso introduttivo.
L’ordinanza
La Cassazione rileva preliminarmente che, nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è possibile l'ammissione di ulteriori documenti, su richiesta di parte o anche di ufficio, ma solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa.
Secondo i Giudici di legittimità, l’indispensabilità delle nuove prove è ravvisabile qualora le stesse apportino una influenza causale più incisiva rispetto alle prove già depositate.
In altri termini, le stesse devono essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole – e, quindi, a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini – forniscano un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale.
Per la sentenza, inoltre, la produzione di ulteriori documenti (sempre che siano indispensabili) non deve comportare l'introduzione nel giudizio di secondo grado di nuove allegazioni di fatto.
Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dal lavoratore, non riconoscendo il carattere dell’indispensabilità alla documentazione dallo stesso prodotta in appello.
A cura di Fieldfisher