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Indebita compensazione : in giudizio non è necessario produrre gli F24 ai fini probatori.


Con sentenza n. 30773/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato di indebita compensazione (articolo, 10-quater del Dlgs n. 74/2000) non richiede, ai fini probatori, la produzione in giudizio dei modelli F24 concretamente utilizzati per l’operazione illecita, potendo la prova essere fornita in qualunque altro modo, in ossequio al principio generale di libertà della prova e del libero convincimento del giudice.

L'articolo 10-quater del D.Lgs. 74/2000 punisce il reato di indebita compensazione, ossia l'utilizzo di crediti ( anche contributivi ) non spettanti o inesistenti per compensare debiti d'imposta superiori a un importo annuo di 50.000 euro. La norma prevede pene differenti: una reclusione da sei mesi a due anni per l'uso di crediti non spettanti e una reclusione da uno e sei mesi a sei anni per l'uso di crediti inesistenti, entrambi se l'importo annuo supera i cinquantamila euro. È prevista una causa di non punibilità per il caso di crediti non spettanti, se sussistono condizioni di obiettiva incertezza sul diritto alla spettanza. 

Il fatto - La vicenda trae origine da una sentenza di condanna del legale rappresentante di una società, pronunciata dal Tribunale di Trani il 12 dicembre 2022 e confermata dalla Corte d’appello di Bari con sentenza del 15 ottobre 2024, per il reato di indebita compensazione.

L’accusa muoveva dall’accertamento di operazioni di compensazione indebita realizzate mediante l’utilizzo di crediti inesistenti o non spettanti. Durante le operazioni di controllo, gli accertatori non avevano ritenuto necessario acquisire in formato cartaceo o digitale i modelli F24, avendone disponibilità nella banca dati dell’Amministrazione finanziaria.

Il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al ritenuto raggiungimento della prova della fondatezza dell’ipotesi accusatoria. A fondamento dell’ assunto, la difesa contestava le argomentazioni della Corte d’appello che, pur avendo ritenuto indispensabile il contenuto del Libro unico dei lavoratori prodotto in sede di verifica tributaria dal consulente dell’imputato, aveva poi sostenuto che l’onere di depositare in giudizio tale documento gravava sulla difesa. Evidenziava inoltre che la deposizione del teste era risultata generica quanto alla quantificazione degli importi e al calcolo effettivamente spettante, circostanza che avrebbe reso necessaria l’acquisizione dei documenti prodotti nell’interesse dell’imputato in sede di accertamento fiscale.

La decisione - La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo manifestamente infondato il ricorso. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la difesa non avesse mai inteso contrastare il merito delle conclusioni raggiunte dai giudici di primo e secondo grado in ordine alle indebite compensazioni, conclusioni che avevano convalidato l’ipotesi accusatoria sulla scorta degli esiti dell’attività di verifica fiscale e del contenuto del Libro unico del lavoro. 

I giudici hanno sottolineato il principio secondo cui, dimostrate le condotte illecite, l’onere probatorio si sposta sulla difesa che deve produrre elementi contrari, utilizzando eventualmente la stessa documentazione del controllo fiscale per contestarne la valutazione o presentando altre prove a discarico dell'imputato. La difesa ricorrente non aveva tuttavia minimamente confutato le conclusioni raggiunte all’esito dell’istruttoria dibattimentale, limitandosi esclusivamente a rilevare la mancata acquisizione dei documenti posti a base di quelle conclusioni senza sostenere l’esistenza di errori nei calcoli effettuati in sede di verifica ovvero il travisamento della documentazione prodotta.

Tale orientamento trova conferma nella sentenza n. 24254/2024, che ha ulteriormente precisato come “la condotta tipica, che esige, sul piano sostanziale, l’utilizzo di strumenti tipici per l’estinzione dell’obbligazione tributaria, non può essere confusa con la necessaria produzione in giudizio di tali strumenti”.

Il principio viene sviluppato dalla giurisprudenza di legittimità con la considerazione che “altro è il fatto descritto dalla fattispecie (che richiede, mediante il richiamo all’art. 17 D.Lgs. n. 241 del 1997, la compilazione del mod. F24), altra la prova richiesta per accertarlo: i due piani (elemento costitutivo del reato e prova tipica della sua esistenza) non necessariamente si sovrappongono in un sistema penale ispirato al principio generale di libertà della prova e del libero convincimento del giudice sia per i fatti-reato che per gli atti del processo”. 

Fonte: Agenzia delle Entrate