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Sull’efficacia nel tempo del contratto collettivo scaduto e ultrattivo


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Può considerarsi consolidata, nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 9 maggio 2008, n. 11602), la tesi secondo cui «la prorogatio ex lege del contratto collettivo a tempo determinato che sia stato ... risolto alla scadenza convenzionale prevista, costituirebbe una coartazione dell’autonomia collettiva, la quale gode di tutela costituzionale» (A. TURSI, La pretesa «ultrattività» del contratto collettivo di lavoro e l’incerto statuto teorico dell’autonomia collettiva, in RIDL, 2006, n. 2, I, pp. 201 ss..).

Pur condividendo questa impostazione, le sentenze in commento affrontano la tematica dell’ultrattività del contratto collettivo sotto un profilo nuovo: quello del regime giuridico che, sotto il profilo dell’efficacia nel tempo, assume il contratto collettivo cui sia stato apposto un termine di durata, quando il termine venga a scadenza - automaticamente o previa tempestiva disdetta (ove un onere di disdetta sia previsto dallo stesso contratto) - , e tuttavia il contratto stesso sia munito di una clausola che ne disponga la perdurante efficacia fino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo (c.d. “ultrattività convenzionale”). 

Per una migliore comprensione della vicenda, va chiarito che l’Associazione Italiana dell’Ospedalità Privata (AIOP) aveva stipulato, nel 2004, con FP-Cgil, Cisl FP e Uil FPL, il “ccnl per il personale dipendente delle strutture sanitarie associate all’Aiop”. Venuto tale contratto a scadenza, ed entrato in regime di ultrattività convenzionale, AIOP stipulava, nel 2012, con altri sindacati (Ugl Sanità, Fismic-Confsal, SI-CEL, Fials e FSE) il «ccnl per il per-sonale dipendente delle rsa e delle altre strutture residenziali e socio-assistenziali associate AIOP». 

La questione focalizzata dalle sentenze in commento è se al regime di ultrattività inerisca lo status di contratto a tempo indeterminato (sine die), liberamente recedibile con preavviso, o se invece esso resti un contratto collettivo ad diem (quindi non recedibile prima della scadenza del termine: laddove il dies ad quem sarebbe rappresentato dal giorno della «sottoscrizione del nuovo ccnl».

Sul punto, la S.C. afferma che «la previsione della perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato della previsione, mediante la clauso-la di ultrattività, di un termine di durata, benché indeterminato nel “quan-do”»

Si tratta di un’affermazione nuova, che si pone in contrasto con la communis opinio dottrinale secondo cui l’ultrattività convenzionale comporta la trasformazione in contratto a tempo indeterminato del contratto collettivo inizialmente sottoposto a un termine finale.

E si tratta di un’affermazione criticabile sotto diversi profili. Sotto il profilo strettamente esegetico, a questa affermazione può muoversi il rilievo di aver equiparato al termine finale un evento incerto sia nell’an che nel quando, come «la sottoscrizione del nuovo ccnl». 

E’ appena il caso di ricordare come, dalla millenaria tradizione del diritto giustinianeo, ci pervenga l’insegnamento per cui nel dies ad quem può essere incertus il quando, ma non l’an: in ciò consistendo, per l’appunto, la differenza con la condizione; sicché un evento incertus an et quando, qual è la stipula del nuovo ccnl, giammai potrebbe considerarsi termine finale, ma semmai condizione risolutiva del contratto ultrattivo.

Ma a ben scorrere la motivazione delle sentenze, si ha l’impressione che la Suprema Corte - nonostante l’esplicita adesione alla tesi secondo cui nell’ordinamento sindacale costituzionale non avrebbe spazio l’ultrattività legale sancita dall’art. 2074 c.c. - , muova dall’idea della necessaria, o quanto meno tendenziale, continuità della disciplina collettiva: un’idea, però, che, se trovava adeguato humus nell’ordinamento corporativo (in cui il contratto collettivo era necessariamente a termine, ma, appunto, legalmente ultrattivo; e il suo rinnovo era garantito dall’intervento suppletivo della magistratura del la-voro), è incompatibile con un sistema basato sulla libertà sindacale.

È probabilmente un siffatto approccio analitico che conduce la Corte, se non a postulare analoga necessaria continuità della odierna regolazione collettiva dei rapporti di lavoro, a considerare come certa, anziché incerta – come di fatto è –, «la sottoscrizione del nuovo contratto collettivo».

Così ragionando, però, la S.C. finisce per contraddire addirittura il consolida-to assunto della libertà di recesso dal contratto collettivo a tempo indeterminato: non si vede, infatti, perché mai l’autonomia negoziale debba potersi liberare in ogni momento da un vincolo privo di scadenza temporale, mentre debba restare prigioniera di un vincolo che promette di scadere nell’aleatorio e imprevedibile momento in cui i contraenti addiverranno, se lo vorranno (e se ancora esisteranno), ad una pattuizione sostitutiva di quella precedente, scaduta e ultrattiva. La verità è che il vincolo durevole, il cui venir meno sia condizionato al raggiungimento di un accordo - ossia al volere altrui - , non è in nulla diverso dal vincolo la cui durata non ha una scadenza: anche il primo non ha una scadenza. La verità, insomma, è che il contratto collettivo a tempo indeterminato è, per definizione, destinato a cessare nel momento in cui sarà sostituito da un altro contratto collettivo applicabile ai medesimi soggetti: esattamente come il contratto (una volta a termine, e poi, scaduto il termine,) ultrattivo «fino alla stipula del nuovo ccnl»; ritenere che contratto collettivo sine die e contratto ultrattivo «fino alla stipula del nuovo ccnl» siano cose diverse, è fallace.

Si consideri, peraltro, che ove la cessazione del regime di ultrattività fosse legata - come afferma la S.C. - esclusivamente alla stipula di un nuovo con-tratto tra le medesime parti stipulanti, ciò renderebbe ancora più incerto e aleatorio il prodursi dell’effetto estintivo della scadenza del termine in presenza di una clausola di ultrattività, perché, nel contesto di una contrattazione collettiva sempre più frammentata sotto il profilo delle parti stipulanti qual è quello attuale, il “rinnovo” ad opera delle medesime parti stipulanti potrebbe rivelarsi sempre più spesso una chimera (con conseguente rifiuto, d’ora in avanti, di accettare la clausola di ultrattività da parte delle associazioni datoriali).

È dunque assai auspicabile, sul piano teorico-culturale prima che esegetico, che l’orientamento espresso dalle due sentenze in commento sia rivisto; non potendosi anzi escludere un intervento delle sezioni unite, giacché detto orientamento si pone solo in apparenza all’interno, ma in realtà al di fuori del solco segnato dalla precedente giurisprudenza di legittimità in materia di libera recedibilità ad nutum dai contratti collettivi sine die, e di ultrattività convenzionale del contratto collettivo a termine.

Avv. Armando Tursi - Fieldfisher