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Smart working : il punto sulla normativa emergenziale


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1.Lo smart working : fra “emergenza” e “normalità”

Lo smart working non è un particolare e limitato aspetto della disciplina del rapporto di lavoro.

Riguarda, infatti, il modo di essere e di operare delle aziende, la vita privata delle persone che lavorano nonché, in una prospettiva più ampia, molteplici aspetti dell’organizzazione della società.

Proprio perché lo smart working tocca tanti profili - aziendali e non - è stato oggetto di numerosi interventi legislativi nella fase di emergenza sanitaria, a sua volta fattore di sconvolgimento in tanti ambiti.

La più recente evoluzione della pandemia e le previsioni che si formulano al riguardo inducono a prestare una rinnovata attenzione allo smart working.

In ogni caso, che si guardi all’oggi e ai prossimi mesi o ci si proietti verso il dopo pandemia, è utile fare il punto sulla normativa accumulatasi fin qui a correzione/integrazione della legge - la n. 81 del 2017 – che costituisce la fonte principale di regolazione legislativa dello smart working.

Questo serve per avere presente con chiarezza i parametri normativi che nella fase emergenziale condizionano l’agire, fra gli altri, dei datori di lavoro. L’andamento della curva epidemiologica ha indotto recenti provvedimenti, che considerano attuali i presupposti delle normative emergenziali e, di riflesso, ne confermano la permanenza.

Avere ben presente da dove si parte è, inoltre, necessario ogni volta che si intende compiere nuovi passi in vista di una ri-regolazione di una determinata materia. Una cesura netta fra la fase della emergenza e quella della (ritrovata) normalità non appare, d’altro canto, immaginabile. A maggior ragione, ove si pensi a nuovi interventi legislativi, occorre avere consapevolezza piena dei punti di partenza.

2.Primi pezzi di normativa emergenziale

Per quanto riguarda la disciplina speciale di quello che nel linguaggio legislativo è il lavoro agile, molto nasce con il DPCM 8 marzo 2020. [1]

Il DPCM, dando seguito al d.l. n. 6/2020 che indica direttamente una serie di misure volte ad evitare la diffusione del COVID-19 sull’intero territorio nazionale e, inoltre, rinvia per l’attuazione delle misure di contenimento a decreti del Presidente del Consiglio, interviene su due non secondari profili della l n.81/2017.

La prima riguarda le condizioni accesso al lavoro agile. La legge generale richiede il consenso di ambedue le parti del rapporto di lavoro. 

Il DPCM, art. 2 lett. r), afferma che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 … può essere applicata dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato… anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni…”.

L’aggiustamento apportato è, pertanto, di non scarso rilievo.

Non solo è trasformato in oggetto di un potere unilaterale un’opzione per la quale la legge n. 81 richiede una base consensuale bilaterale, ma indirettamente si compromette il sistema di regolazione della esecuzione del lavoro agile.

La legge affida agli accordi individuali tanti aspetti e la possibilità di pervenire al lavoro agile “anche in assenza degli accordi individuali” può pregiudicare la co-regolazione dell’esecuzione del rapporto in modalità agile.

Un secondo profilo concerne le modalità di informazione del lavoratore. La legge richiede come necessaria e preventiva l’informazione circa i rischi - generali e specifici - a cui va incontro chi lavora in modalità agile.

Il DPCM prefigura l’assolvimento degli oneri di informazione “in via telematica” e, peraltro, con la possibilità di avvalersi di schemi resi disponibili dall’INAIL. La ragione di questi adattamenti deriva dall’emergenza sanitaria: il (ricorso al) lavoro agile è visto e (parzialmente) ri-regolato come una delle principali misure di contrasto alla diffusione dei contagi.

Quanto all’orizzonte temporale delle disposizioni speciali, il DPCM di marzo le colloca nell’arco temporale “… di durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020”.

La proiezione temporale assicurata dal riferimento a tale deliberazione non è affatto breve: adottata sulla base del Codice della protezione civile (d.lgs. n.1/2018), la deliberazione, infatti, dichiara lo stato di emergenza “per sei mesi”.

All’incirca a distanza di un mese, il DPCM del 10 aprile (art. 1, lett. gg) riproduce, per quanto attiene alla diretta regolazione del lavoro agile, le regole speciali di cui al precedete DPCM.

L’utilità del lavoro agile ai fini della prevenzione trova ancora conferma - e direttamente a livello legislativo -ad opera del d.l. n. 19 del 23 marzo (convertito in legge dalla l. n. 35/2020).

Fra le misure utili a contenere e contrastare i rischi sanitari, “… reiterabili e modificabili più volte e fino al 31 luglio 2020 …”, il decreto legge annovera la “predisposizione di modalità di lavoro agile, anche in deroga alla disciplina vigente” (art. 1, comma 2 lett. ff).

In una storia legislativa in cui i vari provvedimenti si susseguono in maniera continua, il d.l. n. 83 /2020 interviene sul precedente decreto n. 19 e, fra l’altro, sostituisce la data del “31 luglio” con il “15 ottobre”2020: la protrazione delle regole speciali in materia di lavoro agile riceve, quindi, uno specifico suggello.

Fa da pendant alla previsione legislativa la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 29 luglio, che proroga lo stato di emergenza proprio al 15 ottobre 2020.

Da un rapporto affermatosi come stretto fra quotidiane rilevazioni epidemiologiche e dinamiche interne alla normativa di emergenza sono, da ultimo, scaturite ulteriori disposizioni.

Il Consiglio dei Ministri nella seduta del 7 ottobre delibera una seconda proroga del termine dello stato di emergenza, spostandolo al 31 gennaio 2021.

A sua volta, il d.l. n. 125/2020, ugualmente del 7 ottobre ed entrato in vigore il giorno successivo, intervie sul d.l. n. 19/2020 e, assecondando ancora l’ampliamento dell’arco temporale delle disposizioni di emergenza, sostituisce il 15 ottobre 2020 con il termine del 31 gennaio 2021.

Grazie a questi interventi, è, quindi, assicurato un orizzonte temporale della deroga alla regolamentazione del lavoro agile che ormai (già) supera il 2020.

La data del 31 gennaio resterà ferma ?

Non è dato saperlo (anche se c’è da augurarselo: il non protrarla sarebbe quanto meno un segnale dell’attuazione del’emergenza sanitaria).

2.1. Dai DPCM ai Protocolli …

Sul ruolo giocato dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nella edificazione della normativa emergenziale molto si è detto, a fronte di un uso ripetuto di tale forma di regolazione. 

Dai DPCM, peraltro, è derivata la chiamata in campo di una altra “fonte”: i protocolli di contrasto e contenimento della diffusione del virus Sars-Cov 2 negli ambienti di lavoro.

A tanto, in particolare, inizialmente ha provveduto ancora un DPCM - il DPCM 11 marzo 2020 - che, nell’ambito di una normativa finalizzata al contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, ha previsto la stipula tra le parti sociali di specifici protocolli di sicurezza.

Un protocollo di sicurezza è stipulato pochi giorni dopo, il 14 marzo, con la partecipazione del Governo e delle principali associazioni imprenditoriali e sindacali.

Da allora sono tanti i riferimenti normativi al “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, fino all’aggiornamento dello stesso in data 24 aprile.

Recepito come allegato del DPCM del 26 aprile e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale (n. 108 del 27 aprile 2020), il Protocollo, sia nella prima versione che nella seconda, contiene ampi riferimenti al lavoro agile.

La possibilità per le aziende di ricorrere al lavoro agile è considerata insieme ad altre misure - come il ricorso agli ammortizzatori sociali, le ferie e i congedi retribuiti - in funzione della prevenzione delle infezioni provocate dall’agente virale.

Le potenzialità del lavoro agile non sfuggono: se ne raccomanda “… il massimo utilizzo da parte delle imprese … per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza” perché consente di contemperare l’esigenza della prevenzione e la continuità delle attività produttive, anche di quelle altrimenti destinate in quel periodo ad essere sospese.

Considerando il DPCM del 13 ottobre, (ormai solo il penultimo DPCM dopo l’emanazione di quello del 18 ottobre), viene ancora richiesto ai datori di lavoro di rispettare il Protocollo del 24 aprile e, per rispettivi ambiti di competenza, il Protocollo relativo ai cantieri e il Protocollo relativo al settore del trasporto e della logistica.

Anche per questa via, pertanto, la valorizzazione del lavoro agile come misura di prevenzione trova conferma.

2.2. La comunicazione del lavoro agile nella fase emergenziale

Gli accordi per il lavoro agile e le loro modificazioni vanno comunicati al Ministero del lavoro (art. 23, comma 1, l. n. 81/2017). Facendo riferimento allo stato di emergenza, l’art. 90, comma 3, del d.l. n. 34/2020, superata la necessità degli accordi individuali, ha ridefinito l’obbligo di comunicazione come obbligo di comunicare i nominativi dei lavoratori interessati dal lavoro agile e la cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile. Regola che, in virtù del rinvio allo stato di emergenza, sembra valere fino al 31 gennaio 2012, data coincidente con l’attuale termine dello stato di emergenza. Sennonché, il successivo d.l. n. 83/2020 (art. 1, comma 3/Allegato 1) indica il 31 dicembre 2020 come limite temporale di applicazione della regola in questione. Emerge così un disallineamento fra periodi di applicazione, da una parte, della speciale disciplina sostanziale del lavoro agile e, dall’altra, delle comunicazioni, disallineamento a cui mettere riparo quanto prima.

3. Il “diritto” al lavoro agile se compatibile

La fase emergenziale ha indotto a spingere la diffusione del lavoro agile e, come in parte si è già visto, anche a regolarlo in maniera diversa su di una serie di aspetti.

Un ulteriore capitolo della valorizzazione del lavoro agile in un quadro normativo arricchito da speciali disposizioni, vera costante della regolazione dell’istituto durante l’emergenza, si ritrova nel “Decreto Cura Italia” (d.l. n. 18/2020) nella versione ridefinita dalla relativa legge di conversione.

Presupponendo una particolare “fragilità” rispetto al rischio e agli effetti dell’infezione provocata dall’agente virale, l’art. 39, comma 1, di tale provvedimento riconosce un “diritto” al lavoro agile a favore di :

a)lavoratori dipendenti affetti da una disabilità che abbia ridotto l’autonomia personale in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente (art. 3, comma 3, l. n. 104/1992);

b)lavoratori dipendenti che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con una disabilità grave con le conseguenze di cui sopra.

L’assetto che ne deriva è, per così dire, opposto a quello conseguente al DPCM di marzo: in base a questo, il datore di lavoro può disporre che il contratto di lavoro sia eseguito in modalità agile a prescindere dal consenso del lavoratore; al contrario, l’art. 39 consente ai lavoratori di conseguire lo svolgimento del rapporto di lavoro in modalità agile senza che il datore di lavoro possa legittimamente opporsi.

Anche se l’art. 39, direttamente, non va oltre, può darsi per scontato che, al riguardo, il datore di lavoro ha un obbligo di collaborazione, dovendo predisporre quanto a lui compete ai fini del passaggio alla modalità agile.

Detto “diritto”, peraltro, non è di applicazione indiscriminata: la pretesa del lavoro agile è fondata solamente se il lavoro all’esterno dei locali aziendali “… sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”.

L’orizzonte temporale della vigenza del “diritto” non risulta delimitato direttamente dall’art. 39, comma 1, che ne proclama l’applicazione “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Lo spostamento dello stato di emergenza al 15 ottobre 2020 e poi al 31 gennaio 2021 induce a ritenere che la prerogativa riconosciuta dall’art. 39, comma 1, possa arrivare fino al 31 gennaio.

L’arco temporale di vigenza dell’art. 39, comma 1, è, però, oggetto di un espresso prronunciamento da parte del d.l. n. 83/2020, che ne fissa la proroga solo fino al 31 dicembre 2020 (art. 1, comma 3, e Allegato 1 n. 14).

Dando conferma della ripetuta attenzione che la legislazione di emergenza riserva al lavoro agile, il cosiddetto Decreto rilancio (d.l. n. 34/2020) si cimenta anch’esso su tematiche analoghe, grazie a varie previsioni del suo art. 90.

I destinatari della ulteriore disciplina di agevolazione all’accesso al lavoro agile sono “i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14”.

A questi, “a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore”, compete il “diritto” a svolgere le prestazioni di lavoro in modalità agile.

L’esigibilità del “diritto” è subordinata alla compatibilità della modalità agile con le caratteristiche del lavoro da svolgere.

Quanto alla proiezione temporale, viene previsto che il “diritto” operi “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Anche su questa prerogativa si registra un intervento del d.I. n. 34/2020 che, in questo caso, ne ha fissato la vigenza fino al 14 settembre 2020 (art. 1, comma 3, e Allegato 1 n. 32).

Il citato art. 90 tratteggia un’ulteriore categoria di soggetti beneficiari di un “diritto” al lavoro agile , individuandola nei “… lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio da virus SARS-CoV-2 …”.

Maggiore esposizione “in ragione” di particolari fattori - età, condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche oppure dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità in grado incrementare la rischiosità - e valutata dai medici competenti nell’ambito della “sorveglianza sanitaria speciale” richiesta dall’art. 83 dello stesso d.l. n. 34/2020.

I destinatari del “diritto” sono, dunque, diversi dalla categoria di soggetti considerati dall’art. 90 ma il “diritto”, come il medesimo articolo espressamente afferma, è il “medesimo”, tanto che ugualmente il “diritto” è subordinato alla compatibilità del lavoro da remoto con le prestazioni lavorative da svolgere.

L’orizzonte temporale del “diritto” dei lavoratori maggiormente esposti al rischio è, tuttavia, diverso.

Per scelta del solito d.l. n. 83/2014, tale “diritto”, allo stato, vale fino al 31 dicembre 2020 (art. 1, comma 3, e Allegato 1 n. 32).

3.1. Il lavoro agile e il periodo di quarantena dei figli

Nell’ambito di un provvedimento di sostegno all’avvio dell’anno scolastico, è ancora al lavoro agile che si fa ricorso (d.l. n 11/2020).

Ai genitori lavoratori dipendenti è, infatti, riconosciuta la possibilità di espletare le prestazioni di lavoro in modalità agile “… per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente minora di quattordici anni, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto verificatosi all’interno del plesso scolastico” (art. 5).

Rispetto alle regolamentazioni considerate in precedenza, che lasciano aperte la questione di ciò che succede quando del diritto al lavoro agile astrattamente sussistono i presupposti ma tale modalità di lavoro non è compatibile con le prestazioni da rendere, questa ulteriore normativa fornisce anche una alternativa al lavoro agile.

Quando la prestazione lavorativa non può essere svolta in modalità agile, un genitore è legittimato ad astenersi dal lavoro per tutto o parte del periodo di quarantena con il diritto, in questo caso, ad una indennità economica pari al 50 per cento della retribuzione non spettante a causa della sospensione del rapporto di lavoro Qui, per l’una e l’altra misura, l’orizzonte temporale è fissato al 31 dicembre 2020.

4. Qualche ulteriore considerazione

Come risulta dalla precedente esposizione, la normativa emergenziale è ampiamente intervenuta sul lavoro agile. Non la si può ignorare; nondimeno, in termini generali, la regolazione rimane una questione aperta, anche perché un intento di ri-regolazione della materia è stato espresso dalla Ministra del lavoro. A parte l’esigenza di rimuovere le incongruenze interne alla normativa emergenziale, di cui si è fatto qualche esempio, i risultati migliori, in prospettiva, non potranno che derivare dal protagonismo delle parti direttamente interessate ad avvalersi del lavoro agile.

Guardandosi dal rischio di interventi legislativi che appesantiscano questa forma di lavoro, utili spunti ed indicazioni possono trarsi dalle esperienze “sperimentali” di contrattazione collettiva, soprattutto di gruppo e aziendale, avutesi prima dell’irrompere dell’emergenza sanitaria. Comunemente non lo si rileva, ma un’attività negoziale sul lavoro agile è andata avanti anche in questa fase di conclamata pandemia, pervenendo ad accordi che offrono ancor di più elementi su cui riflettere nella ricerca di assetti che siano utili anche nel dopo pandemia. Coglierli è quanto ci si propone di fare in successivi approfondimenti.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo Partner Fieldfisher