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Decreto Dignità: il contratto a termine “in deroga assistita” presso l’Ispettorato


stipula del contratto in deroga assistita presso ispettorato
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La recente nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), n. 1214 del 7 febbraio 2019, offre lo spunto per una ricognizione degli aspetti rilevanti riguardo la disciplina del contratto a termine ai sensi del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, alla luce della novella introdotta dal d.l. del 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. “Decreto Dignità”), convertito in legge del 9 agosto 2018, n. 96, con particolare riguardo alla possibilità di stipulare un ulteriore contratto presso l’Ispettorato del Lavoro, in deroga al limite individuato dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

1. La rinnovata disciplina del contratto a termine.

Preme, da subito, ricordare che la nuova normativa ha potuto spiegare in pieno i suoi effetti a partire dal 1° novembre 2018.
Fino a quella data il legislatore, in sede di conversione del decreto, con norma transitoria aveva disposto la sospensione dell’entrata in vigore del nuovo regime concernente le proroghe e i rinnovi; ferma restando, invece, l’efficacia immediata (a decorrere dal 14 luglio 2018) delle norme sulla durata massima del contratto, il regime causale dello stesso ed il regime previdenziale (ossia il pagamento di una maggiorazione contributiva pari allo 0,5% che si aggiunge, in occasione di ciascun rinnovo, alla già prevista aliquota contributiva addizionale dell’1,4%). Tra le più significative novità introdotte dal Decreto Dignità si segnalano:

- la durata massima, sia del singolo contratto che di più rapporti a termine, stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, ridotta da 36 a 24 mesi;

- il confinamento della “a-causalità”, prima riferita all’intera durata massima complessiva (36 mesi), oggi al solo “primo” contratto, per un massimo di 12 mesi (comprensivi anche di proroghe);

- il regime di causalità, atteso che il datore di lavoro ha l’obbligo di indicare una delle tre “condizioni” previste ex art. 19, comma 1, del d.lgs. 81/2015, in caso di durata superiore a 12 mesi (anche attraverso la proroga) e in ogni caso di rinnovo, nello specifico: 1) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività; 2) esigenze di sostituzione di altri lavoratori; 3) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria;

- la sanzione della conversione in contratto a tempo indeterminato qualora:1) non venga ab origine specificata causale di stipula del contratto che sia superiore a 12 mesi, dalla data del superamento di tale termine; 2) non sia indicata causale nell’ipotesi di rinnovo, a prescindere dal raggiungimento del limite di 12 mesi; 3) si riscontri mancata motivazione della proroga, ovvero effettuazione di 5 o più proroghe, a partire dalla decorrenza della quinta proroga; 4) sia inserita causale non veritiera; 5) venga oltrepassato il limite massimo di 24 mesi. 

Da ricordare come dal regime limitativo introdotto dal Decreto Dignità vengano esclusi i contatti a termine stipulati per lo svolgimento di attività stagionali (art. 19, comma 2 art. 21, comma 1).

Chiaro è l’intento del legislatore di sostenere un incremento dei contratti a tempo indeterminato, attraverso un forte contrasto alla precarietà, per dare impulso alla costituzione di rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del proprio futuro. Più in particolare - si legge nella relazione illustrativa al Decreto - l’obiettivo è quello di intervenire con nuove misure per limitare l’utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso degli ultimi anni hanno condotto ad una eccessiva e allarmante precarizzazione, causata da un abuso di forme contrattuali che dovrebbero rappresentare l’eccezione e non la regola.

Stilare un bilancio può apparire prematuro, tuttavia è presumibile che presto possa emergere una sostanziale inutilizzabilità delle causali per l'eccessiva vaghezza che le caratterizza, così come il timore delle imprese di aprire una nuova stagione di espansione del contenzioso relativo alla corretta interpretazione e applicazione delle due lettere dell’art. 19, comma 1, eccettuate le sole “esigenze di sostituzione di altri lavoratori”. Derivandone, come autorevole parte degli esperti rimarca, una verosimile eterogenesi dei fini, ossia l'accelerazione del turnover di prestatori di lavoro.

 

2. Il ruolo giocato dalla contrattazione collettiva.

La nuova normativa non ha inciso sugli spazi di intervento che già il Jobs Act riconosceva alla contrattazione collettiva. Come osservato dallo stesso Ministero del Lavoro, con circolare del 31 ottobre 2018, n. 17, l’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 non è stato modificato “nella parte in cui rimette anche per il futuro alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare alla durata massima del contratto a termine”.
Vale la pena, a questo riguardo, ricordare che la fonte collettiva legittimata ad apportare deroghe/modifiche alla disciplina di legge è quella indicata dall’art. 51 del d.lgs. 81, ai sensi del quale “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
A tal proposito il Ministero, in linea con la prevalente interpretazione formatasi sul punto, sottolinea come i contratti stipulati prima del 14 luglio 2018, che abbiano previsto una durata massima pari o superiore al previgente limite legale di 36 mesi, mantengano la loro validità fino alla loro naturale scadenza.
Tuttavia - ed è questo un dato di immediata evidenza rilevato dalla circolare ministeriale - nell’introdurre l’anzidetto regime c.d. causale il Decreto non ha attribuito alla contrattazione collettiva alcuna facoltà di intervento sul nuovo regime delle “condizioni” (ossia delle causali).

In questo quadro è noto come, a fronte di quello che, da tutti i commentatori, è stato letto come un forte irrigidimento del novellato regime normativo (almeno per quanto concerne le ipotesi che consentono la legittima apposizione del termine), uno spazio derogatorio può comunque essere riconosciuto alla c.d. contrattazione di prossimità di cui all’art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148. Contrattazione, questa, che per le aziende risulta funzionale a commisurare tanto la contrattazione collettiva nazionale, quanto la normativa di legge, al concreto atteggiarsi della propria organizzazione economica. Ciò entro il i limiti posti dall’art. 8, vale a dire, oltre alla condizione del criterio maggioritario riferito alla individuazione delle organizzazioni sindacali stipulanti ai fini dell’applicabilità a tutti i lavoratori interessati, le finalità di:

  • maggiore occupazione;
  • qualità dei contratti di lavoro;
  • adozione di forme di partecipazione dei lavoratori;
  • emersione del lavoro irregolare;
  • incrementi di competitività e di salario;
  • gestione delle crisi aziendali e occupazionali;
  • investimenti;
  • avvio di nuove attività;

e per specifiche materie, cioè con riguardo:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. 

Se ne ricava una “vincolata” possibilità di deroga in pejus della legge ordinaria (scontata l’inderogabilità delle disposizioni di diritto europeo e della Costituzione) e della contrattazione collettiva di livello nazionale. Come qualche autorevole commentatore ha avuto modo di osservare il Decreto Dignità finirà, in qualche modo, per rilanciare i contatti di prossimità, sia pure nei limiti che sono stati appena ricordati.

 

3. Contratto assistito anche quando il termine sia definito da contratto collettivo

La nota dell’INL si innesta su questo quadro, ossia sugli spazi che la legge concede al contratto collettivo, segnatamente a quello contemplato dall’art. 19, comma 3, laddove si prevede che “fermo quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione”.

Nella istanza di chiarimento era stato chiesto se questa possibilità lato sensu di deroga, ancorché “assistita”, trovasse applicazione sia nel caso in cui il limite iniziale fosse quello previsto ex lege (ossia i 24 mesi di cui all’art. 19, comma 2), sia quando tale limite fosse stato individuato dalla contrattazione collettiva.

L’Ispettorato, a tal proposito, osserva come in ragione del tenore letterale dell’inciso “fermo quanto disposto al comma 2”, contenuto nell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015, riconosce che la possibilità di una deroga c.d. “assistita” al predetto regime, è riferibile tanto al limite di durata massima fissato dalla legge in 24 mesi, quanto a quello “diverso” stabilito dai contratti collettivi.

Con riferimento al regime “causale” reintrodotto dal Decreto Dignità nella disciplina del contratto a termine, l’Ispettorato ricorda infine la necessità che, in caso di rinnovo del contratto a tempo determinato, sussista almeno una delle “condizioni” previste dall’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015 (v. art. 21, comma 01). Resta ferma tuttavia la necessità che, anche in questa sede, si ottemperi all’obbligo di motivazione. La natura assistita del nuovo accordo è volta a garantire la verifica della volontarietà delle parti e il rispetto delle disposizioni di legge (tra cui la soglia di 12 mesi e l’insussistenza di un precedente contratto assistito tra le parti, come già chiarito dalla circolare ministeriale n. 13 del 2008, secondo cui l’intervento dell’Ispettorato non ha effetto certificativo circa l’effettiva sussistenza dei presupposti che giustificano la stipula dell’ulteriore contratto). Anche in tal caso, evidentemente, il superamento del limite ex lege determina la trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

Nella stessa nota l’INL ribadisce, anche se il quesito non richiedeva tale esplicitazione, la inderogabilità della nuova disciplina di legge nelle sue restanti parti, segnatamente ove impone l’osservanza delle disposizioni inerenti la necessità, in caso di rinnovo, della sussistenza delle richiamate condizioni di cui all’art. 19, comma 1.

La rilevanza di questo intervento, al di là del principio espresso che sembra essere in re (come osserva l’Ispettorato nazionale, nello stesso tenore letterale della norma), risiede proprio nel riconosciuto ruolo regolatorio che, anche nel nuovo quadro normativo, conserva l’autonomia collettiva, ancor più incisivo se si considerano gli spazi di intervento su cui è autorizzata a muoversi la contrattazione di prossimità.

 

Dott. Alessio Giuliani, collaboratore della cattedra di Diritto del lavoro della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Roma «La Sapienza».