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Programmazione e organizzazione dell' orario di lavoro dopo il DL Trasparenza.


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Le indicazioni della Direttiva 2019/1152 - Il decreto legislativo n. 104/2022, entrato in vigore il 13 agosto scorso e di recepimento della Direttiva relativa a “condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili”, fa sorgere una serie di dubbi. 

Alcuni di questi riguardano l’individuazione di quella che già la Direttiva indica come “… organizzazione del lavoro interamente o in gran parte imprevedibile …” (art. 4) e quella che la stessa Direttiva, in una sorta di ulteriore gradazione, indica come organizzazione del lavoro “particolarmente imprevedibile” (Considerando n. 35). 

La Direttiva intende la programmazione del lavoro come “la programmazione che determina in quali giorni e ore inizia e termina la prestazione di lavoro” e, sempre secondo la Direttiva, la “organizzazione è interamente o in gran parte variabile” quando “la programmazione del lavoro è variabile” (art. 4). 

La variabilità della programmazione non è vietata dalla Direttiva, che rispetto ad essa prefigura solo degli obblighi di informazione del lavoratore circa: la stessa variabilità della programmazione; le ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantire; le ore e i giorni di riferimento in cui può essere chiesta la prestazione lavorativa; il periodo minimo di preavviso da dare al lavoratore prima dell’inizio dell’incarico. 

Una formulazione, dunque, che lega la variabilità soprattutto alla collocazione nel tempo delle prestazioni lavorative, senza che la richiesta di un di più di lavoro faccia cadere, di per sé, in una organizzazione interamente o in gran parte variabile. 

Ciò è tanto vero che la Direttiva tratta della “organizzazione del lavoro interamente o in gran parte prevedibile,” senza escludere che resti tale ove preveda il lavoro straordinario. 

L’organizzazione del lavoro “particolarmente imprevedibile” viene concretamente visualizzata dalla Direttiva facendo riferimento ai “contratti di lavoro a chiamata o… contratti analoghi“, ai quali dedica specifiche “misure” (art. 11). 

Il recepimento della Direttiva - Il Decreto si discosta, solo in parte, dalle formulazioni della Direttiva. Fa riferimento alle modalità organizzative dell’orario e le considera in gran parte o interamente imprevedibili quando non è previsto “un orario normale di lavoro programmato”.

La programmazione del lavoro rimane intesa quale “programmazione che determina in quali giorni e ore inizia e termina la prestazione di lavoro” e, come nella Direttiva, la programmazione costituisce l’oggetto dell’informazione da fornire al lavoratore. 

Anche nel Decreto, pertanto, è la variabile collocazione nel tempo delle attività lavorative il principale profilo da rendere evidente al lavoratore. 

In presenza di “modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili”, l’informazione, secondo il Decreto, deve riguardare anche il “periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto primo dell’inizio della prestazione lavorativa” e prevedere che deve esserci l’informazione sul preavviso significa, a ben vedere, affermare la regola del preavviso, ulteriore aspetto sul quale il provvedimento nazionale segue la Direttiva.

Informazioni da fornire, in piena sintonia con la Direttiva, riguardano altresì le “ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative, l’ammontare minimo delle ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite”. 

Il lavoro a turni - Una volta preso atto delle disposizioni, sostanzialmente coincidenti, dei due provvedimenti, è utile fare delle verifiche su rapporto fra di esse e fattispecie in cui l’organizzazione del lavoro presenta delle peculiarità in confronto al modello canonico in cui la collocazione temporale delle prestazioni lavorative è pienamente predeterminata. 

Un approfondimento può utilmente riguardare l’organizzazione del lavoro a turni, che la legge intende come “qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane”(art. 1 d.lgs. n. 66/2003). 

Prima di entrare più nel merito di tale approfondimento, occorre riflettere su di un aspetto preliminare. 

Come si è osservato la prevedibilità/non prevedibilità dell’organizzazione viene innanzitutto considerata dal Decreto in relazione al carattere più o meno predeterminato della collocazione temporale delle prestazioni lavorative. 

Da qui l’interesse a capire, in generale, chi e come è legittimato a governare questo specifico e non secondario profilo della dinamica attuativa del rapporto di lavoro, ricco di implicazioni non solo per le esigenze organizzative e produttive delle imprese ma anche per la vita extra-lavorativa dei prestatori di lavoro. 

Ebbene, nei rapporti di lavoro a tempo pieno, la modifica unilaterale della collocazione temporale della prestazione lavorativa è, in genere, considerata una conseguenza naturale del potere dell’imprenditore di organizzare l’attività aziendale (artt. 2086 e 2094 c.c.). 

In coerenza con ciò e fatto salvo quanto al riguardo diversamente previsto dai contratti collettivi, viene anche riconosciuta la facoltà del datore di lavoro di modificare i turni e la distribuzione dei lavoratori fra le diverse squadre. 

Valendo tutto questo nel vigente ordinamento nazionale, la Direttiva visualizza “i cambi di turno” e il Decreto, con una formula equivalente, i “cambiamenti di turno” e ambedue considerano espressamente questa variazione con riferimento ad organizzazioni in tutto o in gran parte prevedibili sotto il profilo dell’orario di lavoro. 

Da ambedue le fonti è richiesto che le informazioni fornite al lavoratore turnista riguardino anche le “condizioni” a cui risulta legato il cambio di turno, senza che a tale richiamo possa attribuirsi un valore limitativo delle esigenze che possono spingere il datore di lavoro a disporre il cambiamento. 

Nel Decreto, come nella Direttiva, non si fa riferimento al preavviso nel trattare delle organizzazioni in tutto o in gran parte prevedibili, ma ciò non toglie che il preavviso possa venire comunque richiesto. 

Non manca, infatti, giurisprudenza in cui, proprio trattando del rapporto di lavoro di lavoratori turnisti full time, si è ritenuto che in capo al datore di lavoro ricada l’onere di rendere conoscibili con congruo anticipo i turni, al fine di consentire al dipendente la libera organizzazione del proprio tempo di non lavoro (Cass. 12962/2008). Orientamento, questo, facilmente trasponibile al cambiamento del turno assegnato. 

Premesso che la scelta compiuta, espressa operando di distinzioni basate su aspetti “quantitativi” (“interamente”, “in gran parte”), genera incertezza nella imputazione della prevedibilità o, in alternativa, della imprevedibilità alle diverse organizzazioni del lavoro, non può escludersi che una organizzazione di lavoro a turni possa essere considerata come prevalentemente imprevedibile ove il cambiamento della collocazione dell’attività lavorativa risulti sistematica.

a cura di Angelo Pandolfo - Fieldfisher