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Appalti e clausole sociali : Cosa succede quando cessa il rapporto di lavoro ?


clausole sociali
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La discussione sulle clausole sociali, previste dalla contrattazione collettiva per garantire il rispetto di determinati vincoli di tutela dell’occupazione, è oggigiorno un tema assai dibattuto . Queste tutele spesso diventano la condizione per poter svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie ma allo stesso possono creare fenomeni di distorsione della concorrenza, comprimendo l’apertura dei mercati e scoraggiando potenziali nuovi concorrenti. Vale la pena, allora, domandarsi quale sia l’interesse effettivamente tutelato mediante le clausole sociali. Degno di tutela è l’interesse del lavoratore al passaggio ad un nuovo datore di lavoro ( l’appaltatore subentrante ) oppure la stabilità occupazionale e quindi la conservazione dell’originario rapporto di lavoro presso l’appaltatore uscente? E’ chiaro che l’una o l’altra soluzione attribuiscono un diversa rilevanza alla cessazione del rapporto di lavoro che può costituire, quindi, un presupposto per l’applicazione dell’istituto.

 

1. L’ambito di indagine.

Alcuni recenti provvedimenti del Tribunale di Busto Arsizio [1] affrontano il contrastato tema della “ clausole sociali ” valutando se detto istituto introduca un incondizionato diritto dei lavoratori al passaggio all’impresa subentrante in caso di cambio di appalto o se miri, piuttosto, a evitare che i dipendenti dell’appaltatore che ha “perso” l’appalto vengano licenziati o, comunque, perdano l’occupazione. Ci si chiede, insomma, se l’interesse tutelato sia quello del dipendente al passaggio presso un altro datore di lavoro (come nell’ipotesi del trasferimento di azienda) o la conservazione del rapporto di lavoro a seguito di un cambio di appalto; pertanto, nell’ipotesi in cui l’imprenditore uscente non intenda effettuare alcun licenziamento, ma anzi abbia interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro, le citate pronunce hanno fornito un illuminate punto di vista sul diritto dei dipendenti dell’appaltatore uscente al passaggio alle dipendenze dell’appaltatore subentrante. La vicenda vagliata dal Tribunale di Busto Arsizio trae origine da separati ricorsi con cui vari lavoratori, addetti al settore dell’handling aeroportuale, pur considerata la pacifica continuità e stabilità del loro rapporto di lavoro presso l’appaltatore uscente, in occasione del passaggio dell’appalto a cui anche loro erano addetti, lamentavano l’asserita violazione della clausola sociale prevista dalla contrattazione collettiva e invocavano un diritto assoluto di passaggio presso l’appaltatore subentrante.

2. Ratio e finalità delle clausole sociali

Con il termine “clausole sociali” si identificano quelle disposizioni normative o contrattuali, nate in ambito pubblicistico, che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati vincoli o standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie.

Nel nostro ordinamento il settore privato manca di una disciplina legale precisa di tale problematica.

Infatti, a seguito della Sentenza CGCE 9 DICEMBRE 2004, C-460/2002 con cui la Corte di Giustizia ha ritenuto illegittime le clausole sociali – pur con riferimento alla legislazione italiana sui soli appalti pubblici – ove comprimano l’apertura dei mercati, scoraggiando potenziali nuovi concorrenti (vincolandoli ad assumere tutti i lavoratori già impiegati nell’appalto e imponendo costi del personale non rimessi alle scelte imprenditoriali dell’aggiudicatario) e comprimendo la libertà d’impresa, l’art. 23 della legge 6 febbraio 2007, n. 13 (Legge comunitaria 2006 ) ha novellato l’unica regolamentazione prevista sul tema in Italia nel settore privato, ossia l’art. 14 del D.Lgs. 18/1999, disponendo che, fatta salva una specifica riserva alla contrattazione collettiva, le parti sociali individuassero “strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione”“nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi” di alcuni settori contrattali, tra cui quello dell’handling aeroportuale. La contrattazione collettiva di settore può, dunque, prevedere specifiche clausole volte a stabilire l’obbligo di riassunzione (si badi, non di assunzione), a determinate condizioni, da parte del nuovo appaltatore nei confronti dell’appaltatore uscente. Queste clausole sono finalizzate ad assicurare ai lavoratori dell’impresa appaltatrice in uscita la possibilità di reimpiego alle dipendenze dell’appaltatore subentrante eliminando e riducendo il rischio di licenziamenti e di messa in cassa integrazione. Queste clausole, la cui operatività è evidentemente limitata alle sole imprese che applicano il contratto collettivo che le contiene, sono assai variegate quanto a portata, contenuto e vincolatività, spaziando da vincoli meramente procedurali (come nel caso affrontato nelle sentenze in commento) a vincoli di natura sostanziale (come quando il passaggio avviene senza cambiamento di organizzazione del lavoro). Laddove previsto, nel rispetto di specifici vincoli procedurali regolati dalla contrattazione collettiva, l’obbligo di riassunzione previsto dalla clausola sociale, pur determinato nella misura, opera nel senso di non consentire una scelta diretta e soggettiva dei lavoratori da riassumere, lasciando però alla libera determinazione delle parti – in applicazione dei vincoli procedurali citati - l’identificazione del personale interessato al passaggio, individuandolo nel numero e nei profili professionali d'intesa tra i soggetti interessati [2].

 

3. La clausola sociale come procedura a tutela dei livelli occupazionali e non di un diritto assoluto al passaggio

Muovendo da dette premesse, il Tribunale di Busto Arsizio evidenzia come “al fine di garantire l’occupazione di dipendenti impiegati in attività che sono soggette alla possibilità di cambio di appalto, la contrattazione collettiva ha previsto la cd. “clausola sociale, un sistema cioè di procedure volte a garantire la salvaguardia dei posti di lavoro mediante l’assunzione di quei lavoratori a rischio di perdere l’occupazione, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante” [3].

Il Tribunale di Busto Arsizio è molto chiaro, poi, nel precisare che “La previsione della contrattazione collettiva non esclude peraltro la possibilità che l'imprenditore uscente, interessato ad esempio in quel momento da un picco di lavoro, decida - conformemente alle prerogative riconosciutegli dall’art. 41 Cost., ivi compresa quella di mantenere nel proprio organico personale ormai formato e dotato di competenze preziose per l’espletamento dell’attività d’impresa - di non risolvere alcun rapporto di lavoro o una parte di essi e di mantenere alle proprie dipendenze tutto o parte del personale assunto, pur in presenza della perdita di una commessa. In questo caso la “clausola sociale” non viene in nessun modo applicata, i dipendenti rimangono nella medesima posizione contrattuale in precedenza stipulata e in essere e l'impresa subentrante nell'appalto è libera di assumere nuovo personale” [4].

La clausola sociale, quindi, non introduce un incondizionato diritto dei lavoratori al passaggio all’impresa subentrante in caso di cambio di appalto, ma è volta a garantire “solo” che l’appaltatore uscente non possa licenziare i propri lavoratori addetti al medesimo appalto. “Nell’ipotesi, infatti, in cui l’imprenditore uscente non voglia effettuare alcun licenziamento, ma anzi abbia interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro, siccome l’interesse tutelato non è quello al passaggio (come nell’ipotesi del trasferimento di azienda), ma la conservazione del rapporto a seguito del cambio di appalto, nessun diritto al passaggio può essere rivendicato” [5].

Tutto quanto sopra argomentato porta il Tribunale di Busto Arsizio a ritenere che “la condizione necessaria per l’applicazione della clausola sociale e per la ri-assunzione presso il nuovo appaltatore del precedente rapporto di lavoro è la cessazione del precedente rapporto di lavoro” [6]. In sintesi: la risoluzione del rapporto di lavoro con l’imprenditore uscente si pone come fatto costitutivo del diritto alla riassunzione presso il nuovo appaltatore. Quest’ultimo rilievo ci permette di evidenziare che qualora un lavoratore continui a svolgere le stesse mansioni previste dal contratto di lavoro alle dipendenze dell’appaltatore uscente e qualora la stabilità e continuità del suo rapporto di lavoro non siano mai state messe in discussione, deve essere ravvisata la sua carenza di interesse ad agire nei confronti dell’appaltatore subentrante per assenza del diritto soggettivo al passaggio e per mancanza del necessario presupposto costituito dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro.

Anche la Corte d’Appello di Milano [7]  si è recentemente pronunciata sul tema, declinandolo però – con una sentenza invero non chiarissima – più dal punto di vista del sostanziale rispetto degli accordi presi a seguito dell’espletata procedura prevista dalla contrattazione collettiva per l’applicazione della clausola sociale. Nel caso preso in esame dalla Corte meneghina i giudici hanno accertato la sussistenza di un diritto al passaggio all’appaltatore subentrante, non però in via assoluta, quanto per inosservanza degli accordi sindacali presi all’esito della procedura prevista dalla contrattazione collettiva in merito all’applicazione della clausola sociale, avendo l’appaltatore subentrante violato “l’obbligo…di assumere ex novo, a certe specifiche condizioni, il personale in forza presso la precedente aggiudicataria dell’appalto”. Il riferimento fatto dalla Corte d’Appello di Milano a una novazione nell’assunzione di personale che era alle dipendenze del precedente appaltatore e il rispetto di specifiche condizioni sembrerebbe fare riferimento a una cesura rispetto al precedente rapporto di lavoro lasciando, dunque, implicitamente intendere – coerentemente con la ratio e lo schema della clausola sociale come ben isolata dai giudici del Tribunale di Busto Arsizio – che “non sussiste in capo ai dipendenti della società che perde l'appalto un diritto soggettivo al passaggio o anche solo a essere individuati come coloro che devono transitare alle dipendenze del nuovo appaltatore (gli stessi rimangono nella medesima posizione contrattuale liberamente stipulata con il datore di lavoro e non subiscono alcuna modifica del rapporto in essere), ma soltanto una procedura a tutela della stabilità occupazionale, procedura che riguarda pertanto esclusivamente solo coloro che subiscono la risoluzione del rapporto di lavoro” [8].

4. Conclusioni. La cessazione del rapporto di lavoro in capo all’appaltatore uscente costituisce la condizione necessaria per l’applicazione della clausola sociale

Dalle parole delle decisioni in commento emerge, in conclusione, che l’interesse tutelato dalla clausola sociale è la continuità occupazionale e la tutela delle esigenze aziendali dell’appaltatore uscente e di quello subentrante, non un diritto assoluto e incondizionato del lavoratore al passaggio. Lo scopo della clausola sociale non è, quindi, prescrivere scelte incompatibili con gli interessi aziendali imponendo all’impresa uscente di rinunciare a lavoratori per i quali ha l’interesse alla prosecuzione del rapporto e all’impresa subentrante riassunzioni in assenza del necessario presupposto della cessazione del precedente rapporto di lavoro. In sintesi, la “clausola sociale” non introduce un diritto dei lavoratori al passaggio alle dipendenze dell'impresa subentrante in caso di cambio di appalto, ma solo una particolare salvaguardia che impone alla società che subentra nell'appalto l'onere di assumere i lavoratori che contemporaneamente subiscono la perdita del posto di lavoro da parte del precedente datore di lavoro.

Avv. Alessandro De Giobbi - Fieldfisher

[1] Tra le varie, sentenze nn. 332/2018, 336/2018 e 369/2018 del Tribunale di Busto Arsizio - inedite

[2] Decreto di rigetto n. 1539/2018 cit.

[3] Sentenza n. 336/2018

[4] Sentenza 336/2018

[5] Sentenza 332/2018

[6] Sentenza 369/2018

[7] Sentenza n. 2118/2017 pubblicata l' 1.02.2018, Rel. dott.ssa Vitali - inedita