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Cassazione: niente rivalutazione monetaria in caso di indebito contributivo


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Con l’ordinanza n. 7091 del 12.03.2020, la Cassazione afferma che la rivalutazione monetaria non costituisce un accessorio naturale del credito vantato dall’imprenditore, nei confronti dell’ente previdenziale, per aver versato contributi eccedentari rispetto a quelli dovuti.

Il fatto affrontato

L’imprenditore ricorre giudizialmente al fine di ottenere, oltre agli interessi legali, anche la rivalutazione monetaria sulla somma restituitagli dall’Istituto previdenziale, a fronte di un indebito versamento contributivo.

L’ordinanza

La Cassazione - confermando la statuizione della Corte d’Appello - afferma che, in tema di crediti contributivi, la rivalutazione monetaria non costituisce un accessorio naturale del credito.
Ciò in quanto, l'obbligo restitutorio da indebito soggiace alle normali regole civilistiche dettate per la mora del debitore, non applicandosi ad esso la speciale disciplina lavoristica comportante il cumulo fra interessi legali e rivalutazione.

Per la sentenza, infatti, nell’ipotesi di indebito contributivo, trova applicazione il secondo comma dell'art. 1224 c.c., secondo cui il maggior danno da svalutazione monetaria subito dal creditore deve essere compensato da un ulteriore risarcimento quantificato nella misura della differenza annua tra saggio degli interessi legali e tasso di svalutazione monetaria.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che, in caso di indebito versamento di contributi ad un ente di previdenza obbligatoria, la rivalutazione monetaria viene riconosciuta solo ove sia superiore al tasso degli interessi legali, restando diversamente attribuibili solo questi ultimi.

Su tali presupposti, la Cassazione rigetta il ricorso dell’imprenditore, confermando la non debenza della rivalutazione monetaria da parte dell’Istituto previdenziale.

A cura di Fieldfisher