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Cassazione: condizioni di illegittimità della trattenuta per i contributi a carico del lavoratore


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Con l’ordinanza n. 12708 del 25.06.2020, la Cassazione afferma che, in caso di declaratoria giudiziale di illegittimità del licenziamento, il datore è tenuto a corrispondere al dipendente le retribuzioni arretrare, maturate dalla data del recesso a quella della reintegrazione, senza la decurtazione della quota contributiva a carico del lavoratore.

Il fatto affrontato

A seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato alla dipendente, la società viene condannata alla reintegra della stessa ed alla corresponsione delle retribuzioni medio tempore maturate pari alla somma lorda di € 404.505,04.
Da detta cifra la società detrae, oltre all’importo IRPEF, la quota contributiva a proprio carico e quella a carico della dipendente.
A seguito di ciò, quest’ultima notifica un atto di precetto all’azienda, al fine di ottenere la restituzione dell’importo di € 41.469,74, inerente alla quota previdenziale del 9,19% a carico della lavoratrice, indebitamente detratto.

L’ordinanza

La Cassazione - nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, il principio generale secondo cui il datore di lavoro è tenuto al pagamento dei contributi previdenziali tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a carico dei lavoratori, mediante una trattenuta sulla retribuzione.

Tuttavia, per la sentenza, il datore può legittimamente operare la trattenuta da versare all'ente previdenziale solo in caso di corresponsione tempestiva dei crediti retributivi.
Diversamente, laddove non corrisponda il quantum dovuto al dipendente nei termini di legge, il credito retributivo del medesimo si estende automaticamente anche alla quota contributiva a suo carico che diviene parte integrante della retribuzione spettantegli.

Secondo i Giudici di legittimità, ciò avviene in caso di declaratoria di illegittimità del recesso, allorquando il rapporto contributivo non subisce interruzioni e la parte datoriale è tenuta a corrispondere interamente la contribuzione, anche per la quota a carico del lavoratore, quasi fosse una sanzione accessoria per l’avvenuto inadempimento.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della lavoratrice, riconoscendo il diritto della medesima a vedersi restituita la somma indebitamente trattenuta dalla società per coprire la quota contributiva a suo carico.

A cura di Fieldfisher