I servizi per il lavoro pubblici hanno assunto nel tempo un ruolo importantissimo come fornitori di politiche attive per il lavoro in tutta l’Unione europea.
Dalla fine degli anni novanta ad oggi molta strada è stata fatta. È stato richiesto di superare il ruolo burocratico e tradizionale di registrazione dei disoccupati e di monitorare e sostenere le attività di ricerca di lavoro, offrendo una serie di servizi e misure rivolte a un’ampia varietà di gruppi di utenti, alcuni dei quali con necessità complesse.
In questa fase, al sistema dei servizi per il lavoro viene chiesto di fare di più e meglio con meno risorse e, peraltro, si è diffusa l’opinione che il sistema pubblico non possa fare tutto da solo. Di conseguenza, il ruolo di erogatore unico e monopolistico dei servizi per il lavoro pubblici è stato sostituito da un ruolo di coordinamento e promozione di reti di fornitori privati.
I Governi di Australia e Paesi Bassi sono stati i primi a introdurre la competizione tra pubblico e privato e sono stati seguiti, in breve tempo, da quei Paesi che miravano a incrementare le performance delle organizzazioni pubbliche d’intermediazione del lavoro o, più semplicemente, intendevano superare le limitate capacità del servizio pubblico e ampliare così l’offerta di servizi per il lavoro. Un processo simile si è osservato in quasi tutti i Paesi europei, con velocità diverse.
In Italia la partnership tra pubblico-privato è regolata dall’istituto dell’accreditamento, già esistente da tempo in altri sistemi di erogazione dei servizi alla persona, in particolare nei settori della sanità, dei servizi sociali e della formazione professionale, dove è stato introdotto per disciplinare l’accesso dei soggetti privati nella gestione di tali servizi.
L’accreditamento è stato esteso al settore dei servizi al lavoro dalla legge 30/2003 (Legge Biagi) e rilanciato dal decreto attuativo del cosiddetto Jobs Act del 2015 dedicato alla riforma delle politiche attive del lavoro italiane (d.lgs. n. 150/2015 di attuazione della legge delega n. 183/2014).
Il dibattito circa il ruolo degli operatori privati non è certo un tema nuovo e, ancor di meno, lo è la questione del rapporto tra operatore pubblico e il fornitore di servizi esternalizzati, sennonché il dibattito è tornato più che mai attuale a seguito dell’ annunciata riforma della rete dei servizi pubblici per l’impiego che, per ragioni di opportunità, avrebbe dovuto anticipare l’attuazione del reddito di cittadinanza.
Nell’ottica di individuare le buone prassi a livello internazionale e selezionare quelle replicabili da riproporre, ANPAL ha svolto un’analisi comparata dei vari modelli di servizi per il lavoro attuati in Australia, Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito.
Partendo dalla constatazione che i benefici teorici delle esternalizzazioni non sempre si traducono in evidenze empiriche che attestino l’efficacia del modello, l’analisi realizzata da ANPAL vuole individuare le criticità nei servizi per il lavoro e fornire possibili suggerimenti per un loro miglioramento.
L’intero sistema dei servizi per il lavoro è costruito attorno ad un comportamento indotto da un incentivo, in ottica result-based. L’entità dell’incentivo è direttamente proporzionale all’ampiezza dell’intervento sul disoccupato. Nonostante la remunerazione basata sulla performance sia indubbiamente lo strumento di governance più efficace, spesso ciò comporta che si instaurino logiche distorte originate da providers orientati al profitto che si pongono come obbiettivo esclusivo, o preponderante, il maggior numero di collocamenti, innescando fenomeni di “creaming “ (la selezione dei migliori candidati facilmente collocabili ) o di “ parking “ ( il non trattamento dei candidati più difficilmente collocabili ).
L’analisi comparata svolta da ANPAL torna utile anche per capire come le singole realtà nazionali hanno affrontato simili criticità del “ quasi mercato del lavoro “ dove operano soggetti pubblici e providers privati. Dal lavoro svolto sono emersi una serie di suggerimenti per una buona riuscita dei servizi per il lavoro:
• Policy design: il sistema di appalto a providers privati ha necessariamente bisogno di un disegno di politica del lavoro corretto e dettagliato, agevolato dalla redazione di bandi chiari e da monitoraggi costanti; • Fase Test: i programmi dovrebbero prevedere una fase pilota e una valutazione prima di essere implementati a livello nazionale;
• Selezione dei providers: basare la selezione dei providers sulla base del prezzo più basso comporta l’impoverimento del servizio offerto. I criteri di selezione dei bandi dovrebbero essere pensati nell’interesse del servizio;
• Portata e durata dei contratti: il caso inglese è esemplificativo di quanto le variazioni della durata dei contratti di appalto di servizi per il lavoro implichino variazione dell’investimento dei providers in tali attività;
• Sistema informativo unitario: è necessario, per tracciare le attività realizzate, gestire le performance e verificare i servizi resi;
• Collaborazione tra providers: anche se in competizione nel mercato, la collaborazione tra providers privati può massimizzare la circolazione delle informazioni e raggiungere capillarmente le persone in cerca di lavoro, ma implica la definizione di obiettivi chiari e di indicatori, regole strutturate e trasparenza;
• Soddisfazione del cliente: la valutazione della soddisfazione deve essere monitorata per evitare meccanismi di parking.
ACDR