Il sistema di welfare italiano scricchiola sotto il peso del declino demografico della bassa partecipazione al mercato del lavoro (in crescita ma ancora lontana dai livelli Ue) e della dimensione ancora troppo ampia del fenomeno dell’evasione fiscale.
La conferma arriva dal report di Itinerari Previdenziali, secondo il quale il 63% delle imposte italiane arriva dal 15% dei contribuenti. In Italia ci sono ancora milioni di finti poveri, quando non addirittura finti nullatenenti. I contribuenti che dichiarano almeno 35mila euro sono “solo” 6,4 milioni, il 15,27% del totale. Sono loro a tenere in piedi il gettito. Quelli che dichiarano meno di 15mila sono, invece, un’enormità, poco meno di 17 milioni (il 40,35% del totale) e pagano solo l'1,29% dell'Irpef complessiva.
In generale, il 75,80% dei contribuenti dichiara redditi da zero fino a 29mila euro, si legge nel report, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l'Irpef, un'imposta neppure sufficiente a coprire la spesa sanitaria.
Il sistema è in evidente squilibrio ma nonostante ciò il welfare state, ossia quel complesso di politiche pubbliche messe in atto da uno Stato per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini in un’ottica di redistribuzione del reddito, rimane comunque “generoso” ma difficile da finanziarie senza una riforma strutturale del fisco, che elimini gli squilibri e consenta una progressiva emersione del nero e dell’evasione.
Il report indica che nel 2022 l'Italia ha complessivamente destinato alla spesa per protezione sociale - pensioni, sanità e assistenza - 559,513 miliardi di euro, vale a dire oltre la metà di quella pubblica totale (il 51,65%): valore pari circa il 30% del Pil che ci colloca insieme a Francia e Austria ai vertici delle classifiche Eurostat.
Rispetto al 2012, e dunque nell'arco di un decennio, la spesa per il welfare è aumentata di 127,5 miliardi strutturali (+29,4%). L’aumento è ascrivibile soprattutto al capitolo assistenza che, si legge, “sotto la spinta delle promesse di una politica in perenne campagna elettorale e gonfiata anche dall'inefficienza di una macchina organizzativa tuttora priva di un'anagrafe centrale delle prestazioni, è cresciuta del 126,3%, a fronte del solo 17% della spesa previdenziale”.
In Italia si parla molto di pensioni e molto poco di assistenza e di come gestirla e riformarla ed evitare sprechi. E così, sottolinea il report, mentre il sistema pensionistico e assicurativo è in grado di autosostenersi con i contributi versati da lavoratori e imprese, lo stesso non può dirsi per assistenza (circa 157 miliardi di euro), sanità (intorno ai 131 miliardi l'importo della spesa) e welfare degli enti locali (circa 13 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono appunto essere sostenuti attingendo alla fiscalità generale. Un totale di oltre 300 miliardi di euro per il quale sono occorse pressoché tutte le imposte dirette Irpef, addizionali, Ires, Irap e anche 23,77 miliardi di imposte indirette, a cominciare dall'Iva.
Quello che evidenzia il report è che la descrizione dell’Italia come Paese oppresso dalla tasse è scorretta in quanto la pressione fiscale è maggiore per una minoranza. I contribuenti su cui grava il carico fiscale e, di riflesso, anche il finanziamento del nostro sistema di protezione sociale sono uno sparuto 24,2%, con redditi dai 29mila euro in su, i quali da soli corrispondono il 75,57% di tutta l'Irpef.
C’è, di contro, un grande parte di italiani che paga poche taase, o non ne paga affatto, da risultare totalmente a carico della collettività. Il sistema di welfare e prestazioni redistribuisce ampiamente, grazie, principalmente, ai cittadini con redditi di 35mila euro lordi l'anno, che peraltro non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sgravi e agevolazioni.
Fonte : Itinerari Previdenziali