Il Documento di economia e finanza 2025 ha sancito un’importante revisione delle previsioni di crescita per l’Italia: il Prodotto interno lordo è ora atteso in aumento dello 0,6%, in netto calo rispetto alla precedente stima dell’1,2%.
Il dimezzamento della previsione riflette l’impatto di una serie di fattori interni ed esterni che hanno rallentato la dinamica economica nazionale. Tra questi, la stretta monetaria della Banca centrale europea, la frenata dei bonus edilizi, la ridotta domanda internazionale per l’export e l’incertezza derivante dal nuovo scenario geopolitico e commerciale globale.
Il rallentamento dell'attività economica ha spinto il governo a rivedere anche le previsioni su deficit e debito. Il rapporto deficit/PIL per il 2025 resta ancorato al 4,3%, un dato superiore al limite del 3% fissato dal Patto di stabilità, attualmente in fase di revisione a Bruxelles.
Il debito pubblico, invece, secondo le stime ufficiali dovrebbe assestarsi al 137,8% del PIL, in lieve rialzo rispetto al 137,3% registrato nel 2024. Un livello ancora molto alto, e che richiederà politiche attente nei prossimi anni per garantire la sostenibilità della finanza pubblica.
Una delle questioni più delicate riguarda l’impatto del cosiddetto “superbonus” e degli altri incentivi edilizi, che continuano ad avere effetti importanti sulla spesa. I crediti di imposta generati dagli interventi di riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli edifici hanno inciso in maniera rilevante sulle casse pubbliche, al punto da costringere il governo a intervenire per contenerne la crescita. Nel DEF, il governo prevede un progressivo spegnimento di questi meccanismi, che già a partire dal 2024 sono stati oggetto di limiti e revisioni, e che nel 2025 incideranno in misura minore sul deficit strutturale.
L’altra voce centrale del documento è quella della pressione fiscale e degli interventi previsti per il lavoro. Il governo conferma il taglio del cuneo fiscale, che dovrebbe proseguire fino alla fine dell’anno con uno stanziamento di circa 3 miliardi di euro. L’obiettivo è sostenere il potere d’acquisto delle famiglie a reddito medio-basso, in un momento in cui l’inflazione appare in calo (all’1,5% nel 2025 secondo Bankitalia) ma resta comunque un fattore da monitorare, specie in alcuni settori come gli alimentari e l’energia.
Le prospettive future per la crescita restano legate all’evoluzione dello scenario europeo e globale. La domanda estera, tradizionalmente un traino per il sistema industriale italiano, ha rallentato, complice l’inasprimento delle relazioni commerciali tra Stati Uniti, Cina ed Europa. L’introduzione di nuovi dazi e misure protezionistiche rischia di avere effetti negativi sull’export, soprattutto nei comparti meccanico, moda e agroalimentare. La frenata della Germania, primo partner commerciale dell’Italia, rappresenta un ulteriore elemento di incertezza.
Sul piano interno, la spinta degli investimenti pubblici finanziati dal PNRR potrebbe garantire un sostegno al PIL anche nei prossimi anni, ma permangono dubbi sull’effettiva capacità di spesa delle amministrazioni. Il DEF evidenzia che per il 2025 sono previsti investimenti pubblici pari al 3,6% del PIL, in linea con l’obiettivo di modernizzazione delle infrastrutture e digitalizzazione del Paese. Tuttavia, i ritardi accumulati nell’attuazione di alcuni progetti pongono il rischio che le risorse non vengano utilizzate in maniera pienamente efficace.
La nota positiva arriva dal mercato del lavoro: l’occupazione è attesa in crescita, con una previsione di +1% su base annua e un tasso di disoccupazione che potrebbe scendere sotto l’8,5%. Si tratta di un segnale importante, anche se legato in parte alla ripresa dei settori dei servizi e del turismo, e meno al manifatturiero, dove invece permane una situazione di cautela da parte delle imprese.
L’Ufficio parlamentare di bilancio ha validato il quadro tendenziale del DEF, pur richiamando l’attenzione sulla necessità di mantenere prudenza nelle proiezioni e coerenza tra obiettivi e strumenti. Secondo l’UPB, lo scenario resta soggetto a rischi legati alla volatilità dei mercati, all’evoluzione dell’inflazione e alle future decisioni della Banca centrale europea in materia di tassi di interesse.
In questo contesto, l’Italia si prepara a entrare nel 2026 con un profilo di crescita debole ma ancora positivo, un quadro fiscale sotto osservazione e una serie di riforme strutturali che dovranno dimostrare la loro efficacia nel tempo.