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Decontribuzione lavoratrici madri , impatti sul netto mitigati dall'aumento dell' imponibile fiscale


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Stando alle stime della relazione tecnica allegata al disegno di legge di bilancio, il Governo destinerà nel 2024 un miliardo di euro circa alle politiche per la famiglia. 

Messa da parte l’ipotesi di un potenziamento dell’ assegno unico, gli investimenti verranno orientati su tre misure principali il bonus asili nido, con un incremento a 3.600 euro per i nuclei familiari in cui sia già presente un primo figlio di età inferiore a 10 anni con ISEE sotto i 40.000 euro, la mensilità aggiuntiva di congedo parentale retribuita al 60 per cento e la decontribuzione per le lavoratrici madri. 

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L’ art. 37 dell’ attuale disegno di legge di bilancio ( A.S. 926 ) riconosce un esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri ( 9,19 % ) con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel limite massimo annuo di 3.000 euro, riparametrato su base mensile , ad eccezione dell’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche. Resta inoltre escluso dalla decontribuzione il lavoro domestico. 

Rispetto alla prima bozza circolata il DDL, così come inviato al Parlamento, prevede una durata variabile : 

• per le lavoratrici madri con tre o più figli, la misura spetta per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 – al 31 dicembre 2026, fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo ;

• per le lavoratrici madri di due figli, in via sperimentale, e per i soli periodi di paga 1° gennaio – 31 dicembre 2024, il beneficio contributivo spetta sino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo ;

Con un costo intorno ai 700 milioni di euro, l’agevolazione rappresenta al momento la misura di punta per agevolare l’occupazione femminile, sostenere le famiglie con nuclei più numerosi e contrastare la denatalità. Ma secondo le stime governative, sulla base dei dati INPS, il beneficio contributivo riguarda poco più del 6 per cento dell’ occupazione femminile ( 681.335 lavoratrici di cui 570.475 con due figli e 110.860 con tre figli entro i limiti di età prestabiliti ). Restano infatti escluse le libere professioniste , lavoratrici autonome , quelle domestiche e quelle con contratto a tempo determinato oltre alle lavoratrici senza figli o con un figlio unico. 

Altro aspetto da tenere in considerazione è l’effettivo impatto in busta paga. 

Recenti proiezioni effettuate dal quotidiano il Sole 24 Ore hanno evidenziato come la decontribuzione porterebbe maggiori vantaggi ai lavoratori con un imponibile al di sopra della soglia dei 35.000, al di sopra della quale non trova applicazione il taglio del cuneo introdotto nel 2021, prorogato nel 2022 e successivamente potenziato dal decreto lavoro. 

Nelle proiezioni si è tenuto in considerazione una dipendente con figli, e con retribuzione imponibile mensile ai fini previdenziali di 1.500 euro. In questo caso nel 2024, alla riduzione contributiva prevista già nel 2023 con il taglio del cuneo di sette punti percentuali, si aggiungerà l’ulteriore decontribuzione del 2,19 per cento per l'applicazione della decontribuzione, con uno sconto  pari a 105 euro nel 2023 a 138 per il 2024.

Nella diversa ipotesi di una dirigente con imponibile previdenziale di 5.600 euro mensili , che non ha avuto fino ad oggi il taglio del cuneo contributivo poichè il reddito è superiore ai 35mila euro annui, il taglio è massimo e pari a 250 euro mensili ma con 265 euro di contribuzione da versare. 

Questi importi non si traducono in un corrispondente aumento dello stipendio. Infatti in tutti i casi alla decontribuzione corrisponderà un aumento dell’imponibile fiscale con ritenute più elevate. L' impatto sul netto in busta paga rischia così di essere mitigato nonostante l’accorpamento dei primi due scaglioni IRPEF (0-15mila al 23% e 15-28mila al 23%) prevista con l'ormai prossima riforma fiscale . In tasca alle lavoratrici arriverebbero nel 2024 rispettivamente 30 e 164 euro in più rispetto ai corrispondenti periodi del 2023.