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INL – Circ. n. 1 del 11.03.2020 : Inquadramento previdenziale e contratti collettivi di riferimento


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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con circ. n. 1 del 11.03.2020, fornisce alcune indicazioni in merito all’inquadramento previdenziale delle imprese (art. 49 l. n.88/1989), nella particolare ipotesi in cui, a seguito di attività di vigilanza, il personale ispettivo accerti la necessità di reinquadrare l’azienda. Ai fini dell’inquadramento previdenziale, il datore di lavoro è tenuto a comunicare il codice dell’attività economica esercitata in relazione alla posizione aziendale aperta per i dipendenti, desunto dalla tabella ATECO 2007.

Trattasi proprio di quei codici ATECO utilizzati, da ultimo, dal DPCM 26 aprile 2020 per indicare le attività produttive e commerciali che possono esser esercitate nella cosiddetta “fase 2”.

Sulla questione dell’inquadramento previdenziale l’INPS si era già espresso sia con indicazioni di carattere generale (circ. n. 80 del 8.06.2012, circ. n. 80 del 25.06.2014 e circ. n. 56 del 8.03.2017), sia di dettaglio (ad es. mess. n. 2645 del 23.06.2017 e mess. n. 1138 del 14.03.2018).

Criteri di attribuzione dei codici

La circolare è impegnata nel ricordare i criteri di attribuzione nell’ambito della procedura di inquadramento previdenziale di competenza esclusiva dell’INPS.

Sulla base del codice ATECO, l’INPS associa a ciascuna attività un ulteriore codice, denominato C.S.C. ( codice statistico contributivo ) composto da cinque cifre, dove la prima cifra identifica il settore di attività, la seconda e terza cifra identificano la classe di attività nella quale opera il datore di lavoro (es: tessile, edilizia, metalmeccanica, ecc.), la quarta e la quinta cifra identificano la categoria, ossia la famiglia delle attività di dettaglio esercitate nell’ambito della classe. In base al C.S.C. sono assegnate all’impresa le aliquote contributive relative all’attività svolta ed alle assicurazioni cui è soggetta.

C’è poi un terzo codice attribuito dall’ INPS al momento dell’inquadramento previdenziale, chiamato C.A. ,ovvero Codice di Autorizzazione, col quale l’ Istituto previdenziale individua, all’interno di imprese aventi il medesimo C.S.C., quelle soggette ad un particolare regime contributivo o che beneficiano di sgravi e riduzioni.

L’insieme di tutti i codici attribuiti definisce il regime contributivo dell’azienda e quindi, l’aliquota che deve essere applicata per il versamento dei contributi. Un ulteriore aspetto va comunque considerato. La classificazione ATECO 2007, ai fini INPS, talvolta, non può ritenersi esaustiva atteso che esistono attività che non sono censite dall’ISTAT, per cui è necessaria un’integrazione con ulteriori codici ad uso esclusivo dell’INPS, nella sezione “Attività dei datori di lavoro non censite dall’ISTAT” ( circ. n. 80 del 25.06.2014 e circ. n. 56 del 8.03.2017 ).
Anche per queste ragione, agli inizi dell’emergenza epidemiologica era stata sottolineata l’inadeguatezza dei codici ATECO per individuare le attività da interrompere e quelle consentite durante il lockdown. Ad ogni modo, la classificazione ISTAT lascia impregiudicato il potere dell’INPS di inquadrare i datori di lavoro in uno dei settori normativamente previsti in funzione dell’attività svolta, indipendentemente dal raggruppamento delle attività effettuato dall’ISTAT.

Procedura di reinquadramento

Per quanto riguarda la variazione dell’inquadramento previdenziale, l’art. 3 della l. n. 335/1995 disciplina gli effetti e le modalità per procedere alle variazioni dell’inquadramento, distinguendole tra quelle disposte d’ufficio e quelle adottate su richiesta dell’azienda. La distinzione rileva anche per stabilire i limiti dell’irretroattività del provvedimento di variazione. In termini generali, vige il principio di irretroattività degli effetti del provvedimento di variazione della classificazione in quanto gli stessi si producono dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione.

Tuttavia, va precisato che, qualora la variazione derivi da inesatte dichiarazioni rese dall’impresa ovvero dall’omessa comunicazione della sopravvenienza di circostanze che possano incidere sulla classificazione in essere, si deroga al principio dell’irretroattività degli effetti della variazione, che opereranno ex tunc entro il termine prescrizionale di riscossione dei contributi ( Cass. n. 13383/2008 e n. 8558/2014).

La circolare , rivolgendosi come è naturale al personale ispettivo, chiarisce che gli ispettori devono, innanzitutto, verificare la corrispondenza tra C.S.C., codice ATECO ed effettiva attività esercitata.

L’indagine ispettiva, secondo la circolare, deve essere svolta valutando i seguenti elementi:

− attività svolta in concreto nella realtà aziendale, da riportarsi analiticamente nei verbali ispettivi;
− dichiarazioni testimoniali dei lavoratori e del datore di lavoro descrittive delle modalità di effettivo svolgimento delle lavorazioni;
− documentazione contabile e fiscale (bilanci, fatture emesse, schede contabili ecc.);
− documento di Valutazione del Rischio e visura camerale.

Laddove l’Ispettore reputi l’inquadramento previdenziale non corretto, dovrà attenersi ad una specifica procedura, atteso che il provvedimento di reinquadramento (sia che abbia effetti retroattivi – ex tunc – sia che disponga per il futuro – ex nunc) è adottato dal Direttore della sede INPS competente alla gestione dei rapporti previdenziali inerenti l’azienda.

Pertanto, la proposta formulata dall’ispettore di modifica dell’inquadramento – corredata da una relazione dettagliata e motivata – va sempre indirizzata al Direttore della sede INPS competente alla gestione del rapporto, anche nel caso in cui l’accertamento ispettivo sia stato condotto in un luogo diverso.

Il Direttore provinciale INPS competente, verificata l’esistenza dei presupposti legittimanti la variazione, adotterà il provvedimento di modifica dell’inquadramento, notificandolo al datore di lavoro.

Avverso il suddetto provvedimento, ai sensi dell’art. 50 della L. n. 88/1989, il datore di lavoro può presentare ricorso amministrativo al Presidente dell’INPS entro 90 giorni dalla notifica.

Soltanto una volta esaurita tale fase, il personale ispettivo abilitato ad operare sui flussi UNIEMENS potrà effettuare il ricalcolo dei contributi dovuti in base al nuovo inquadramento (comprensivo degli eventuali annullamenti di sgravi indebitamente fruiti ovvero delle prestazioni erogate dall’Istituto in materia di ammortizzatori sociali o di sostegno al reddito, ecc.), riportandolo nel verbale conclusivo dell’accertamento. In tali casi, pertanto, appare opportuno affiancare gli ispettori INL che si trovino al cospetto di ipotesi di possibile reinquadramento dell’impresa, con personale ispettivo INPS.

In mancanza di tale coinvolgimento, gli ispettori INL provvederanno a trasmettere tempestivamente la relativa segnalazione al Direttore della sede INPS competente affinché si attivi la procedura di variazione interna all’Istituto come sopra descritta. La stessa procedura dovrà essere seguita per la variazione di qualunque delle componenti del C.S.C, ivi comprese, eventualmente, le ultime due cifre riferite alla categoria, poiché anche queste ultime possono avere ricadute sulla determinazione delle aliquote contributive applicabili all’azienda.

Applicazione di contratti che fanno riferimento ad ambiti di attività del tutto differenti rispetto a quello in cui opera l’impresa.

Nella parte finale, la circolare tratta di aspetti che attengono alla individuazione del contratto collettivo da cui estrarre la retribuzione imponibile ai fini della contribuzione previdenziale obbligatoria.

La circolare, al riguardo, sviluppa le seguenti considerazioni:

-l’inquadramento effettuato in base all’attività svolta dall’impresa ha ricadute sulla individuazione del CCNL applicabile ai fini della determinazione della retribuzione da assoggettare a contribuzione (c.d. imponibile minimo) ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338/1989 che, secondo quanto previsto dalla norma interpretativa di cui all’art 2, comma 25, della L. n. 549/1995, fa riferimento alla “categoria” di attività (a questo proposito, la circolare fa un esempio, riferito ad una impresa, costituita esclusivamente da un geometra ed un dipendente con mansioni di segreteria, inquadrata nel settore edile ma che, in concreto, subappalta integralmente ogni attività produttiva occupandosi esclusivamente della vendita degli immobili realizzati dalle ditte subappaltatrici. In questo caso l’azienda, non svolgendo attività edile, andrà reinquadrata dal Settore Industria al Commercio, con conseguente applicazione di un differente CCNL);

- la “categoria” dell’attività di impresa di cui all’art. 2070 c.c. rileva sia ai fini dell’inquadramento aziendale ai sensi della L. n. 88/1989, sia ai fini del calcolo della contribuzione obbligatoria sugli importi delle retribuzioni previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale della “categoria” di riferimento dell’impresa;

- la fonte collettiva opera da parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo minimo. In coerenza con il dato normativo, la Suprema Corte ha avuto occasione di precisare che (SS.UU. sent. n. 11199/2002), “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che sarebbe dovuta, ai lavoratori di un determinato settore, in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale…”. La nozione di “categoria” infatti va intesa, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza quale “settore produttivo in cui opera l’impresa, risultando altrimenti incongruo l’obbligo di applicazione, sia pure ai soli fini contributivi, di una contrattazione collettiva vigente in un settore diverso, stante il rilievo pubblicistico della materia” (Cass. sent. n. 801/2012);

- in via amministrativa, si ritiene che il concetto di categoria, menzionato nella predetta legge, possa essere direttamente ricondotto al C.S.C. attribuito all’azienda, fatte salve le verifiche circa il corretto inquadramento, sopra descritte.

Da tutte queste premesse, la circolare trae le seguenti indicazioni operative:

- l’Ispettore dovrà porre la massima attenzione all’attività effettivamente esercitata dall’azienda e, qualora riscontri l’applicazione di un contratto collettivo non rispondente alla categoria/settore produttivo di appartenenza dell’impresa, potrà adottare i relativi provvedimenti di recupero contributivo (v. ML nota n. 10599/2016).

Casistiche rilevanti

La circolare, infine, si sofferma su alcune casistiche relative alla corretta applicazione del contratto collettivo:

-ipotesi di un datore di lavoro, iscritto ad un’associazione di categoria, che recede autonomamente dall’applicazione del CCNL sottoscritto dalla stessa. In tal caso, ove il datore di lavoro non abbia preventivamente abbandonato l’organizzazione cui aveva conferito il mandato a sottoscrivere il CCNL, la mancata applicazione del contratto collettivo comporterà i relativi recuperi contributivi.

La Cassazione (sent. n. 21537/2019) ha recentemente affermato che il datore di lavoro può applicare un diverso CCNL solo quando il precedente CCNL sia scaduto, ma non prima, non essendo consentito applicare, in corso di validità temporale del contratto, un altro accordo collettivo nazionale, neanche dando un congruo preavviso.

Ciò nella misura in cui il datore di lavoro abbia specificato il trattamento retributivo e le mansioni del CCNL applicato nella lettera di assunzione consegnata al dipendente. In particolare la Suprema Corte, riprendendo precedenti indicazioni giurisprudenziali (Cass. sent. n. 6427/1998) che già avevano posto l’accento sulla necessità di tutelare le situazioni giuridiche consolidate, ribadisce che “solo al momento della scadenza del termine contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c.”;

- CCNL da prendere a riferimento ai fini previdenziali nell’ipotesi di sussistenza di una “pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria” (art. 2, comma 25, L. n. 549/1995) e, in particolare, rispetto all’applicazione del CCNL Multiservizi.

Si ritiene che tale CCNL sia da prendere a riferimento solo qualora l’attività dell’impresa sia effettivamente riferibile ad una pluralità di “categorie” (ad es. pulizie e logistica, ovvero logistica e sanificazione).

Diversamente, qualora in sede di verifica ispettiva si riscontri che l’applicazione di tale contratto sia finalizzata esclusivamente all’abbattimento del costo del lavoro rispetto ad un CCNL comparativamente più rappresentativo riferibile ad una “categoria” specifica di servizi sistematicamente prestati dall’azienda (ad es. CCNL logistica), si ritiene che quest’ultimo CCNL sia quello di riferimento ai fini previdenziali.

Fonte: INL - Circ. n. 1 del 11.03.2020