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Legge di bilancio 2018: politiche attive per i “cassintegrati”


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1.Un nuovo articolo nel decreto legislativo in materia di ammortizzatori sociali

Il comma 136 della legge di bilancio per il 2018  n. 205 del 27 dicembre 2017 integra il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, inserendo  all’interno di tale provvedimento legislativo  un nuovo <<Art. 24-bis (Accordo di ricollocazione)>>.

Il d.lgs. n. 148/2015, come è noto, è stato concepito come una sorta di testo unico delle leggi in materia di integrazioni salariali (ordinarie e straordinarie) oltre che di fondi di solidarietà.  

Ora, la legge di bilancio innesta all’interno del decreto legislativo 148, non solo idealmente visto come  la fonte di regolazione delle cosiddette politiche passive,  un insieme di disposizioni - quelle per l’appunto recate dal nuovo art. 24-bis -  oggettivamente ascrivibili all’area delle misure di politica attiva  che, nell’ambito delle riforme riconducibili al  cosiddetto Jobs act (di cui anche il decreto 148 fa parte), sono state fin qui concentrate nel d.lgs n. 150/2015.

 

2. Il contesto in cui si collocano le nuove disposizioni

Per comprendere più agevolmente la nuova normativa, è utile richiamare alcuni passaggi della regolamentazione in essere prima dell’arricchimento del d.lgs. 148 con un nuovo articolo.

L’art. 21 del d.lgs. 148, oltre al contratto di solidarietà, prevede come causali dell’intervento straordinario della cassa integrazione la “riorganizzazione aziendale ” e la “crisi aziendale”.

Sempre a norma dell’art. 21 il “programma di riorganizzazione aziendale … …   deve , in ogni caso, essere finalizzato ad un consistente recupero occupazionale del personale interessato alle sospensioni o riduzioni dell’orario di lavoro”.

A sua volta, il “programma di crisi aziendale … deve indicare gli interventi correttivi da affrontare e gli obiettivi concretamente raggiungibili finalizzati alla continuazione della attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale”.

Da parte sua, l’art. 22 del d.lgs. n. 150/2015, che costituisce la fonte generale di regolamentazione dei  servizi per il lavoro e delle politiche attive, stabilisce che, in caso di riduzione superiore al 50 percento  dell’orario di lavoro calcolato in un periodo di dodici mesi,  i lavoratori che fruiscono delle integrazioni salariali devono essere convocati dal centro per l’impiego per stipulare un patto di servizio personalizzato (non contenente, diversamente dai casi in cui il lavoratore è disoccupato, l’impegno a ricercare attivamente una nuova occupazione).

Il patto di servizio è stipulato sentito il datore di lavoro e  con l’eventuale  concorso dei fondi interprofessionali per la formazione continua, con  lo scopo di mantenere e sviluppare le competenze in vista della conclusione del periodo di riduzione o sospensione dell’orario ed in connessione con la domanda di lavoro espressa nel territorio. 

Dall’insieme di queste disposizioni, dunque, già traspare che il ricorso alle integrazioni salariali straordinarie può accompagnarsi alla ricerca di un “recupero occupazionale” consistente ma comunque non completo e che, già durante la fruizione delle integrazioni, si può guardare al mercato del lavoro esterno in vista di una ricollocazione presso un'altra azienda. 

 

2.1. L’art. 24-bis sviluppa accenni  già presenti nella legislazione

L’art. 24-bis, come congegnato dalla legge di bilancio 2018, si  muove su piste tracciate, anche se tenuemente,  dalla legislazione  già in essere.

Ciò subito risulta dalla  finalità che enuncia il suo incipit, individuata nel  “ … fine di limitare il ricorso al licenziamento all’esito dell’intervento  straordinario di integrazione salariale …”.

Finalità, questa,  che presuppone la consapevolezza che, alla fine,  ricorso alle integrazioni salariali e licenziamento collettivo possono risultare non del tutto alternativi e che, a sviluppo di indicazioni legislative già presenti, si possono predisporre misure capaci di prevenire la non alternatività delle due misure.

Nell’enunciare la finalità l’art. 24-bis è, peraltro, prudente, tanto è vero che indica il fine di “limitare” il ricorso al licenziamento, fermo restando che questo è da intendere come l’obiettivo minimo e che la realizzazione dell’obiettivo massimo - il completo accantonamento del licenziamento - realizza nel modo migliore la ratio dell’intervento legislativo.

 

2.2. La situazione  presupposta dall’art. 24-bis . Accordi e programmi sulla ricollocazione

La situazione presupposta dall’art. 24-bis  viene così definita dal nuovo articolo:

a) riorganizzazione aziendale o crisi aziendale; -  riduzione/sospensione dell’orario con ricorso alle integrazioni salariali;

b) previsione che il “recupero occupazionale”  non sarà completo.

A fronte di assetti normativi del genere, la procedura di esame congiunto, che precede l’attivazione delle integrazioni salariali e di norma riguarda l’analisi della situazione aziendale e le condizioni e i termini del ricorso alla sospensione/ riduzione dell’orario di lavoro (art.24 d.lgs. n.148/2015), può concludersi  - qui sta la novità introdotta dall’art. 24-bis - con un accordo che, da una parte, prevede un piano di ricollocazione all’esterno dell’azienda e, dall’altra,  indica gli ambiti aziendali e i profili professionali a rischio di esubero (non - si badi - i nominativi dei lavoratori coinvolti nell’esubero).

L’accordo, inoltre, può prevedere che, facendosi ricorso ai centri per l’impiego o a soggetti accreditati, si proceda ad attività di mantenimento e sviluppo delle competenze, anche con il concorso delle fondi interprofessionali. 

I lavoratori rientranti nei predetti ambiti o profili professionali possono richiedere all’ANPAL, entro trenta giorni dalla stipula dell’accordo sindacale, l’attribuzione anticipata dell’assegno di ricollocazione, previsto dall’art. 23 del d.lgs. 150/2015  come un finanziamento  per acquisire un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di un nuovo lavoro a favore - come regola generale -  dei disoccupati.

Patto di servizio e definizione del profilo individuale di occupabilità continuano ad essere, a quanto sembra, elementi propedeutici dell’assegno di ricollocazione.

La novità insita nel fatto che, nei casi visualizzati dal disegno dall’art. 24-bis,  l’assegno viene a riguardare lavoratori ancora occupati si accompagna alla previsione secondo cui l’attribuzione dell’assegno tiene conto dei limiti e delle condizioni previste, a seconda dei casi, nel “programma di riorganizzazione aziendale” o nel “programma di crisi aziendale” da presentare ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n.148/2015 per conseguire  le integrazioni salariali e ora, in virtù dell’art. 24-bis, eventualmente arricchiti degli illustrati contenuti arricchito 

Questi programmi vengono chiamati in campo, in maniera ancor più impegnativa, al fine di porre un limite al numero di richieste dell’assegno di ricollocazione che i lavoratori possono avanzare: tali richieste, infatti, non possono “… in ogni caso eccedere i limiti di contingente previsti, per ciascun ambito o profilo, dal programma di riorganizzazione ovvero di crisi aziendale …”.  

La torsione a cui programmi vengono sottoposti rispetto all’assetto attuale originariamente definito dall’art. 24 del d.lgs. n.148 è, pertanto, significativa: il profilo quali-quantitativo dell’esubero e la sua collocazione ne possono costituire fin dall’inizio contenuto esplicito.

Ciò, peraltro,  con riflessi sullo sforzo a realizzare aggiustamenti (di processo e/o di prodotto)  nelle strutture aziendali, idonei a rimuovere fattori di difficoltà con il minore impatto possibile sugli organici,  tutti da verificare.

In ogni caso, gli esami congiunti e gli eventuali accordi precedono i programmi volti a conseguire l’autorizzazione amministrativa propedeutica alla fruizione delle integrazioni salariali.

In uno schema di “doppia chiave”,  che richiede a monte  il consenso a livello collettivo con la sottoscrizione dell’accordo e a valle  la disponibilità a livello individuale, è alle parti a livello collettivo che è rimessa la scelta di seguire, o meno, l’indicazione legislativa a favore di accordi sulla (possibile”) ricollocazione.

 

3. Permanenza del diritto alle integrazioni salariali. 

Come si è accennato, l’art. 24-bis esordisce affermando che è perseguito “… il fine di limitare il ricorso al licenziamento all’esito dell’intervento straordinario di integrazione salariale …”.

In effetti, ove il servizio intensivo di assistenza nella ricerca di un altro lavoro dia il risultato sperato, si avrà sì la cessazione del rapporto di lavoro ma con contestuale accensione di un nuovo rapporto.

Inoltre, come viene ribadito, la ricerca del nuovo lavoro è effettuata “in costanza di trattamento straordinario”, cosicché dal punto di vista individuale il lavoratore non perde la garanzia del reddito assicurata dalle integrazioni salariali.

 

4. Se non sopravviene l’assunzione, si è entrati  in una “anticamera” del licenziamento?

Ci si può anche interrogare su quali siano gli effetti della mancato successo dell’azione di ricerca di un nuovo posto di lavoro.

L’accordo sugli ambiti e i profili professionali a rischio di esubero è congegnato come un atto del tutto diverso da un accordo sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

In caso di insuccesso della ricerca del posto di lavoro, non opera, pertanto, un automatismo a carico dei lavoratori che sono stati disponibili  a richiedere l’assegno.

La mancata acquisizione di nuovi posti di lavoro, inoltre, nemmeno è presupposto che senz’altro legittima il licenziamento collettivo, che dovrà essere valutato sulla base della situazione in atto e non su quella esistente all’inizio e, se del caso, potrà portare a licenziamento di lavoratori individuati secondo i normali criteri di scelta di legge o di contratto collettivo ad hoc.

 

5. Gli incentivi a favore dell’adesione individuale

Il servizio intensivo di assistenza è fruibile, come riportato, insieme alle integrazione salariali ed è attivo nel periodo di durata delle stesse e, comunque, opera per almeno sei mesi.  Può accadere che si esaurisca il trattamento di integrazione salariale senza che sia esaurito l’intero ammontare dell’assegno. In questo caso, l’assegno può essere prorogato per altri dodici mesi.       

L’obbligo di accettare un’offerta di lavoro congrua, che normalmente trova applicazione, è escluso nei casi prospettati dall’art. 24-bis. Circostanza che concorre a sminuire le controindicazioni della richiesta dell’assegno. 

In positivo, la richiesta dell’assegno da parte del cassintegrato è incentivata con uno speciale regime fiscale: se la ricerca della nuova occupazione ha successo, cessa il rapporto di lavoro sospeso, con la conseguenza che il lavoratore percepisce somme “… in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro …”. Ebbene, queste somme vengono sottratte al prelievo Irpef, entro il limite massimo di nove mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Facendosi riferimento a somme non meglio determinate, si può ritenere che l’esenzione non sia limitata al TFR. Sembra che lo confermi la successiva previsione secondo cui le ulteriori somme eventualmente pattuite restano soggette al normale regime fiscale.

La disponibilità del lavoratore è, inoltre, incentivata con la corresponsione  di un contributo mensile pari al 50 per cento della integrazione salariale che gli sarebbe stata altrimenti corrisposta.

La nuova normativa si preoccupa anche di incentivare l’assunzione di lavoratori cassintegrati che richiedono l’assegno.

Lo strumento impiegato a tal fine è quello consueto, consistente in un esonero dal versamento dei contributi previdenziali (esclusi quelli Inail) così congegnato:

a)misura pari al 50% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, nel limite massimo di importo pari a € 4030  su base annua ponte;

b)durata non superiore a:

-18 mesi in caso di assunzione con contratto a tempo indeterminato;

-12 mesi in caso di assunzione con contratto a tempo determinato (qualora il contratto in corso di esecuzione venga trasformato in contratto a tempo indeterminato, il beneficio spetta per ulteriori 12 per ulteriori sei mesi). 

 

6. Il raddoppio del costo economico del licenziamento collettivo

A decorrere dal 1° gennaio 2018, il comma 137 della legge di bilancio ha  raddoppiato  il contributo che l’azienda deve versare all’Inps in caso di licenziamento collettivo.

In particolare, viene previsto che si debba versare un contributo dell’82 per cento del massimale Naspi e non più un contributo del 41 per cento. Incremento dal quale vengono  esclusi i licenziamenti collettivi effettuati a seguito  di procedure avviate  entro il 20 ottobre 2017.

Attualmente il datore di lavoro versa un  contributo pari, al massimo, a 1470 euro (incidenza del licenziamento su di un rapporto di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi).

Una volta che, a partire dal 1° gennaio 2018, l’aliquota sarà portata all’82 per cento, l’importo massimo del contributo sarà di 2940 euro (ugualmente  per rapporti di durata pari o superiore a 36 mesi), risultando l’ammontare del contributo pari 980 per dodici mesi di anzianità lavorativa.

A parte dell’aliquota di computo nel contributo, resta ferma la disciplina nell’articolo due commi 31/ 35 della legge Fornero  (l. n.92/2012), ivi compreso la triplicazione del contributo nei casi di di licenziamento collettivo non abbia formato oggetto di accordo sindacale (gli accordi idonei a consentire l’accesso anticipato all’assegno di disponibilità, in quanto diversi da accordi aventi ad oggetto licenziamenti collettivi,  non serviranno ad evitare l’effetto di moltiplicazione).

  

Avv. Angelo Pandolfo Fieldfisher