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Smart-working transnazionale, quale regole applicare ?


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La recente diffusione dello smart working, come effetto della Pandemia, ha operato non solo sul piano nazionale, ma anche transnazionale. 

Sono, infatti, frequenti i casi di lavoratori che richiedono alle aziende di poter svolgere smart working all’estero. 

Tale modificazione del luogo di espletamento della prestazione lavorativa introduce un elemento di internazionalità nel rapporto di lavoro, in grado di determinare implicazioni sotto il profilo della legge applicabile al contratto di lavoro ed al rapporto previdenziale. 

Per ciò che concerne la legge applicabile al rapporto di lavoro con elementi di internazionalità, il Regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Reg. 593/2008) detta una disciplina che risponde all’esigenza di tutelare il lavoratore quale parte debole del rapporto. 

L’art. 8 del Regolamento stabilisce che il contratto di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti e, in mancanza di scelta : 

(a) dalla legge del paese nel quale (o, in mancanza, a partire dal quale) il lavoratore, in esecuzione del contratto svolge abitualmente il suo lavoro;

(b) in via alternativa, dalla legge del paese nel quale si trova la sede che ha assunto il lavoratore.

(c) Tuttavia, se dall’insieme delle circostanze, risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese, si applica la legge di tale diverso Paese. 

La scelta delle parti sulla legge applicabile al contratto di lavoro non vale ad escludere l’applicabilità dei suddetti criteri “residuali”. 

Il primo comma dell’art. 8 stabilisce, infatti, che la scelta della legge applicabile “non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta”. 

Smart-working all’estero e “collegamento più stretto” : 

Ecco allora che si tratta di verificare se lo svolgimento della prestazione in smart working presso uno stato estero sia in grado di creare con il contratto di lavoro un collegamento più stretto rispetto al luogo abituale della prestazione in esecuzione del contratto e alla sede di assunzione, tale da determinare l’applicazione delle norme imperative vigenti nel Paese in cui ci si trova in smart working.  

Al momento, sul punto, non sembra siano state emanate indicazioni specifiche. 

La Commissione europea ha fornito alcune suggestioni nel “Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980” del 14 gennaio 2003 laddove sottolinea che l’ultimo paragrafo dell’art. 6 (art. 8 sub Convenzione Roma I) sembra autorizzare, con riferimento al “telelavoro internazionale”, un collegamento tra contratto di lavoro e luogo di esecuzione abituale, pur manifestando alcuni dubbi, “seppur alcuni ritengono opportuno che il concetto del collegamento più stretto venga precisato, per permettere un riferimento esplicito alla casistica del telelavoro internazionale”.

E’ da chiedersi se l’apertura manifestata con riferimento al telelavoro sia mutuabile per lo smart working. Non può non rilevarsi, infatti, la differenza tra i due istituti che riguarda proprio la sussistenza di una postazione fissa al di fuori dei locali aziendali. 

Nel telelavoro, la postazione è in un luogo “altro” rispetto alla sede dell’impresa, ma comunque fisicamente determinato ed espressamente indicato dalle parti nell’accordo di telelavoro. 

Tale configurazione è coerente con la modalità organizzativa relativa al tempo di lavoro: il telelavoratore ha gli stessi vincoli di orario di un lavoratore “in sede”. 

Come emerge anche dall’Accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002 recepito in Italia con Accordo interconfederale del 9/6/2006, il datore di lavoro deve poter accedere nel luogo di svolgimento del telelavoro ai fini della salute e sicurezza. 

Diversamente, lo smart working – o meglio il “lavoro agile” - come disciplinato dalla Legge 81/2017 si caratterizza proprio per l’assenza di uno specifico legame con il luogo di svolgimento della prestazione. L’art. 18 della Legge 18 espressamente lo caratterizza per l’assenza di “vincoli di orario o di luogo di lavoro”, in cui la prestazione è eseguita senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivante dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 

D’altronde, in astratto, il lavoratore in smart working ben potrebbe essere itinerante, non stanziato in un unico Paese. 

In questo contesto, sembra che sussistano argomenti per sostenere che il luogo in cui il lavoro è svolto in smart working non possa essere valutato come avente con il contratto di lavoro un collegamento più stretto rispetto al luogo abituale di esecuzione del contratto e rispetto al luogo di assunzione. 

Certo, la irrilevanza del luogo di svolgimento della prestazione può essere più complicato da sostenere nell’ipotesi in cui il lavoro in smart working si atteggi, nelle modalità organizzative, a telelavoro (luogo di svolgimento della prestazione in un unico posto fisso, orari definiti, non temporaneità del lavoro agile). 

Smart working all’estero e regime previdenziale 

Dal punto di vista previdenziale, ai rapporti di lavoro con elementi di internazionalità trova applicazione il Reg. 883/2004. 

La regola, in ambito previdenziale, è che trovi applicazione la legge previdenziale del luogo in cui è esercitata l’attività lavorativa. 

Una deroga a tale regola è prevista in caso di distacco in altro Paese. 

Il distacco presuppone, come noto, lo svolgimento di lavoro in favore di altro datore di lavoro nell’interesse dell’impresa distaccante per un periodo temporaneo (non oltre 24 mesi). 

Sono evidenti le differenze rispetto allo smart working , in cui il lavoratore non svolge l’attività per un'altra impresa per realizzare un interesse del proprio datore di lavoro, ma piuttosto realizza un proprio interesse. 

Tuttavia, la circostanza che il lavoratore, seppur all’estero, svolga la propria prestazione in favore del proprio datore di lavoro e la temporaneità dello svolgimento della prestazione all’estero portano a ritenere che possa, per analogia, considerare applicabile la legge del Luogo del datore di lavoro che ha autorizzato lo smart working.

In alternativa, dovrebbe trovare applicazione l’art. 13 del Regolamento che disciplina l’ipotesi in cui l’attività sia esercitata in due o più stati membri. 

Lo smart working andrebbe allora identificato con lo svolgimento abituale di attività subordinata in altro Stato membro, con conseguente applicazione della legge dello Stato di residenza del lavoratore (se questo esercita una parte sostanziale della sua attività nello Stato di residenza, appunto) ovvero della legge dello Stato in cui il datore di lavoro ha la propria sede legale.

Avv. Silvia Lucantoni - Fieldfisher