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Smart working : il punto di vista dei lavoratori dopo la sperimentazione della pandemia


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Durante la fase più acuta della pandemia quasi 9 milioni di occupati hanno lavorato da remoto, molti per la prima volta.

Se prima della pandemia erano 2.458.210 gli occupati (pari all’11%) che lavoravano da remoto, nel 2021 i lavoratori agili sono saliti a 7.262.999 e la quota sul totale degli occupati è balzata al 32,5%. Di questi il 46% vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modo agile almeno un giorno e quasi 1 su 4 tre o più giorni a settimana.  

Sono solo alcuni aspetti evidenziati dal paper realizzato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche (INAPP) intitolato “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, un’indagine svolta su un campione di oltre 45mila interviste (dai 18 ai 74 anni) nel periodo marzo-luglio 2021. 

Dal contributo emerge un’interessante polarizzazione del lavoro agile tra valutazioni positive e negative, ad esempio relativamente alla crescita e sviluppo professionale, alle motivazioni lavorative, allo stress, alle tutele. Nettamente negative le valutazioni sui costi sostenuti, all’isolamento e i rapporti con i colleghi ( vedi grafico sopra ). È invece decisamente positiva la valutazione sulla libertà di organizzare il lavoro e gestire gli impegni familiari, elemento, tuttavia, che merita degli approfondimenti quando associato alle difficoltà riscontrate nel gestire i confini fra vita lavorativa e familiare. Proprio quest’ultimo aspetto genera una valutazione più negativa tra le lavoratrici, in particolare nel pubblico impiego. 

Altrettanto interessante è il quesito riguardante la disponibilità a riconsiderare la propria residenza se il proprio lavoro potesse assumere stabilmente una quota di remoto : 1/3 degli occupati si sposterebbe in provincia, nelle aree interne, nel nostro entroterra; 4 persone su 10 sono attratte dalla natura, da una dimensione sociale più semplice e sostenibile in quanto legata ai cicli dalla natura e a tempi più lenti, o comunque meno stressanti. Una eventuale penalizzazione nella retribuzione verrebbe accettata da 1 lavoratore su 5, segno che un ipotetico miglioramento nella qualità della vita presenta un valore aldilà di quello economico. 

In merito al tema del rischio di connessione continua il settore privato appare più virtuoso, con il 65% dei lavoratori del comparto che dichiara di poter scegliere in modo autonomo quando disconnettersi contro il 50,1% di quelli del pubblico. Per quanto attiene invece alla connessione any-time, a fronte di un dato complessivo del 32,8%, nel pubblico la quota scende al 26,9%, mentre nel privato sale al 34,5%. In merito alla possibilità di fare brevi pause, una quota particolarmente elevata (78,2%) non manifesta criticità, ma oltre il 49% dichiara di potersi disconnettere solo per la pausa pranzo. 

Fonte: INAPP