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Whistleblowing e tutela dei segreti di interesse aziendale


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1.Il sistema di segnalazione di illeciti interno delle aziende.

La legge n. 179/2017 - “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” - mostra di credere molto nell’utilità di “segnalazioni” che incrementino il bagaglio informativo degli organismi che, a stregua del decreto legislativo n. 231/2001, all’interno delle aziende private sono impegnati nella prevenzione dei reati considerati dallo stesso decreto. La legge, oltre a regolare direttamente il sistema delle “segnalazioni” da inserire nel modello di organizzazione e gestione di cui al predetto d.lgs. n. 231/2001, interviene anche sulle presupposti di applicazione di altre disposizioni - art. 2105 c.c., art. 622 c.p, art. 623 c.p. - che normalmente presidiano la non circolazione di informazioni che è interesse delle aziende mantenere riservate.

2. L’art. 2105 c.c. come fonte di un obbligo riservatezza del lavoratore.

Come è noto, l’art. 2105 c.c., relativo al cosiddetto “segreto aziendale”, chiede al lavoratore di non “… divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Si tratta di un obbligo funzionale alla protezione della capacità concorrenziale dell’impresa e, quindi, della sua posizione nel mercato, l’inosservanza del quale “… può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità delle infrazioni …” (art. 2106 c.c.). L’imprenditore, nello sviluppo della sua attività, costruisce una particolare organizzazione e particolari accorgimenti e processi tecnici. L’art. 2105 intende difendere quanto caratterizza l’azienda rispetto le imprese concorrenti, considerando sanzionabile il comportamento del lavoratore che, tramite il trasferimento di informazione ad altri, tenda ad annullare il proprium organizzativo e tecnico dell’impresa di sua appartenenza. Più volte la giurisprudenza ha ritenuto che il lavoratore non viola doveri di lealtà e correttezza verso il datore di lavoro ove trasmetta informazioni riguardanti l’impresa da cui dipende per fini in senso lato di giustizia. Così, ad esempio, la Cassazione, in relazione al comportamento di un lavoratore consistito nell’aver copiato la distinta di una spedizione di merce venduta a terzi dalla società datrice di lavoro senza relativa documentazione fiscale e nell’aver trasmesso la fotocopia alla Guardia di finanza, ha sottolineato che “… l’obbligo di cui all’art. 2105 e quelli ad esso collegati di correttezza e buona fede devono essere considerati funzionali soltanto in relazione ad una attività lecita dell’imprenditore, non potendosi di certo richiedere al lavoratore la osservanza di detti obblighi, nell’ambito del dovere di collaborazione con l’imprenditore, anche quando quest’ultimo intende perseguire interessi che non siano leciti …” (Cass.12528/2004). In altri casi, la Cassazione, avendo presente che il lavoratore aveva depositato in giudizio documenti aziendali al fine di sostenere proprie rivendicazioni nei confronti dell’azienda, ha sostenuto la prevalenza del diritto di difesa su eventuali esigenze di segretezza dell’azienda (ferma restando la necessità di verificare con rigore la legittimità del modo in cui il lavoratore si era impossessato dei documenti). La stessa Cassazione, inoltre, ha anche sottolineato che la scelta del lavoratore di avvalersi dei documenti aziendali inserendoli nel fascicolo depositato in cancelleria non poteva considerarsi equivalente ad una “… divulgazione (idest, di rendere noto a tutti, o ad una vasta cerchia di persone, un fatto o un contenuto di uno scritto) dei documenti aziendali” …”.

2.1. La “giusta causa” di possibile arricchimento del contenuto informativo delle “segnalazioni”.

  Richiamando l’art. 2105, l’art. 3 della l. 179/2017 prevede che, nelle segnalazioni effettuate nelle forme e nei limiti definiti dai “modelli di organizzazione e di gestione” di cui all’art. 6 del d.lgs. 231/2011 come integrato dalla stessa l. 179, il lavoratore, che si attiva come segnalante, non incontra il limite del segreto aziendale. Come in particolare afferma il predetto art. 3 il perseguimento delle finalità generali di cui alla stessa legge (integrità delle imprese, prevenzione e repressione degli illeciti), a cui le “segnalazioni” sono funzionali, “… costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto di cui … all’articolo 2105 del codice civile”. Il lavoratore, che effettua la segnalazione, può inserivi anche notizie “... attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa …” senza gli si possa eccepire che per questo non ha rispettato l’art. 2105 c.c. Alla luce di quanto espressamente previsto dall’art. 2105 e degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, relativi a fattispecie diverse ma ugualmente rilevanti ai fini della valutazione della più recente normativa, si può senz’altro osservare che la precisazione fornita dalla l. 179 non si pone più di tanto in conflitto con la disposizione del codice civile che tradizionalmente concorre a conformare il contenuto obbligatorio del rapporto di lavoro. Veicolando nella segnalazione delle informazioni che in generale sono coperte da segreto, il lavoratore le affida a soggetti che, nel trattarle, sono a loro volta tenuti alla riservatezza verso l’esterno e, quindi, non può proprio dirsi che il lavoratore segnalante le divulghi in maniera indiscriminata e incontrollabile e, in particolare, non può dirsi che le trasmetta ad altre aziende che magari potrebbero avvalersene in una prospettiva di concorrenza sleale. Come risulta anche dalla giurisprudenza citata, conta molta la finalità perseguita e, nel caso delle segnalazioni, la finalità è di interesse generale, quale è quella della prevenzione e della repressione degli illeciti. Nel caso delle “segnalazioni”, il riconoscimento di una “giusta causa” di trasmissione di notizie da tenere altrimenti riservate è, in effetti, (da dare per) scontata.

3. La “giusta causa” e il segreto professionale.

  Secondo la l. 179/art. 3, la “giusta causa” opera anche se il segnalante veicola attraverso un canale di cui al modello 231 notizie che, di per sé, sono oggetto di “segreto professionale” tutelato dall’art. 622 c.p. L’art. 622, che per l’appunto sanziona la “rivelazione del segreto professionale”, presuppone situazioni in cui il soggetto che rivela le informazioni riservate le ha acquisite non casualmente ma direttamente in ragione del proprio ufficio, ossia nell’esercizio delle funzioni che svolge ed a causa di esse. Si tratta, in sostanza, di un reato proprio, ossia di un reato che può commesso solo da soggetto affidatario del segreto (come nella sentenza n. 17806/2017 della Cassazione, in cui è stata confermata la violazione dell’art. 622 per avere l’imputato comunicato all’esterno informazioni riguardanti i prezzi praticati da alcuni fornitori che lo stesso conosceva nella sua qualità di “credit manager” e di cui gli altri dipendenti dell’azienda, in base alle loro diverse mansioni, non erano in grado di avere conoscenza). Lo stesso articolo aggrava la pena se la rivelazione del segreto professionale è posto in essere da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, liquidatori, revisori contabili. Al di là del ruolo di chi procede alla rivelazione del segreto, l’art. 622 espressamente afferma che l’illecito non sussiste ove sussista una “giusta causa” che motivi la rivelazione. Con tale previsione del codice penale, la l. 179 si combina agevolmente tipizzando, come si è già accennato, una “giusta causa” e facendola coincidere con una “segnalazione” a stregua del modello del decreto 231.

 4. La “giusta causa” e il segreto scientifico e industriale.

L’art. 623 c.p., indipendentemente dall’esistenza di brevetti, tutela il segreto scientifico, ossia le scoperte e le invenzioni scientifiche, nonché il segreto industriale, a sua volta inteso come “applicazioni industriali” individuate dalla giurisprudenza in “ … un quid novi di indubbia utilità nell’ambito delle produzioni industriali “che proprio per la sua utilità fa emergere l’interesse alla segretezza (Cass. 6577/2004). In dottrina, delle “applicazioni industriali” si parla come delle attuazioni pratiche e concrete delle scoperte e delle invenzioni scientifiche. Come l’art. 622, anche l’art. 623 è un reato proprio. Possibile soggetto del reato è chi è venuto a conoscenza del segreto per ragioni del suo “ufficio”. Ebbene, anche a proposito dell’art. 623, la l. 179/art. 3 segue lo stesso schema: consente di veicolare nei “canali” di cui ai modelli 231 anche informazioni facenti parte dei segreti scientifici e industriali.

4.1. Quali possibili riflessi per chi attraverso la “segnalazione” veicola notizie segrete?

Dopo aver preso atto della scelta della l. 179 di riconoscere una “giusta causa” di rivelazione di notizie (altrimenti) coperte dall’obbligo del segreto, occorre interrogarsi sulle dinamiche che possono aversi una volta che la segnalazione è stata avviata su di uno dei canali del modello 231. Premesso che nelle “attività di gestione della segnalazione” dovrà prestarsi particolare attenzione alla conservazione della riservatezza di notizie che nascono e restano riservate a prescindere da quel tanto di “pubblicità” necessariamente prodotto dalla segnalazione, è opportuno interrogarsi sulle conseguenze che possono derivare dalla conclusione del procedimento innescato dalla segnalazione. La giurisprudenza ha concepito la “giusta causa”, che secondo l’art. 622 c.p. legittima la rivelazione del segreto professionale, come “ … una vera e propria esimente oggettiva che fa venir meno l’antigiuridicità del fatto”, senza che il profilo soggettivo vi abbia una qualche rilevanza (Cass. penale 17806/2017). Nel nostro caso, si deve tener conto della speciale disciplina approntata dall’art. 3 della l. 179. Nel “perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione della malversazioni …” è stata individuata una “giusta causa” di ampliamento dello spettro di notizie veicolabili attraverso le “segnalazioni”, fino a comprendervi notizie tutelate, sotto diversi profili, dai più volte citati articoli dei codici. La possibilità di arricchire il contenuto delle “segnalazioni” con notizie segrete non è ammessa indiscriminatamente ma, sempre per richiesta dell’art. 3, solo con riferimento alle “ipotesi di segnalazione … effettuate nelle forme e nei limiti di cui … all’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231 ...” come modificato dalla l. 179. Da qui lo specifico interrogativo: ove si pervenga alla conclusione che la segnalazione, oltre che infondata, è stata promossa con dolo o colpa grave, che ne è della “giusta causa” di inserimento delle notizie segrete in una “segnalazione”? Potrebbe sostenersi che in casi del genere non si abbia a che fare con una segnalazione effettuata “… nelle forme e nei limiti limiti di cui … all’articolo 6 …” richiesti. Per questo, secondo la tesi che si sta ipotizzando, verrebbe a mancare la “giusta causa” di rivelazione delle notizie, con la conseguente applicabilità delle disposizioni che sanzionano la rivelazione dei segreti (ovviamente ove ricorra l’insieme della condizioni richieste per ciascuno di essi, ivi compreso il dolo generico richiesto sia nella fattispecie di cui all’art. 622 che in quella di cui all’art. 623). Varie ragioni, tuttavia, portano ad una conclusione diversa. L’affidamento delle informazioni ad un canale di cui al modello 231, stante lo specifico e ben circoscritto sbocco a cui conduce, non è una “rivelazione” suscettibile di essere ricondotta agli artt. 622 e 623 del c.p. e, ancor di meno, corrisponde al comportamento considerato criticamente dall’art. 2105 c.c., che considera la “divulgazione” delle informazioni dando così l’idea di una diffusione ampia delle informazioni stesse. La “segnalazione”, che ha una finalità di valenza generale, non è nemmeno potenzialmente in grado di arrecare un vulnus agli interessi che l’art. 2105 e gli artt. 622 e 623 intendono tutelare: la segnalazione, di per sé, non è destinata ad essere fonte di vantaggi diretti per il segnalante; chi tratta le segnalazioni è ben lontano dall’essere un soggetto che possa trarne un profitto proprio o per altri. Inoltre, chi tratta le “segnalazioni” è, a sua volta, tenuto a mantenere riservate le notizie che acquisisce nella gestione della “segnalazione”. La precisazione effettuata dall’art. 3 della l. 179 - l’immissione di notizie nei canali predisposti in attuazione del d.lgs 231 non fa scattare l’applicazione degli artt. 2105 e 622 e 623 - può considerarsi utile ma non necessaria. La non applicazione dei predetti articoli risulta del tutto naturale, anche a prescindere dall’esplicito pronunciamento della l. 179. Il comportamento di chi ha effettuato impropriamente una “segnalazione” di per sé non integra le fattispecie di cui alle citate disposizioni del codici.

5. Whistleblowing e segreto aziendale ai sensi del codice della proprietà industriale.

Il codice della proprietà aziendale (d.lgs. n. 30/2005), che tutela “… le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore …” alle condizioni e nei termini di cui agli artt. 98 e 99 dello stesso codice, non viene menzionato dalla l. 179 nel momento in cui elenca le norme che non si violano per il fatto che si indirizzano informazioni riservate nei canali dei modelli 231. Questa mancanza di indicazioni non legittima, tuttavia, considerazioni diverse da quelle già prospettate. La protezione del know how aziendale, che a stregua del codice si può tutelare esercitando “… il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali informazioni ed esperienze, salvo il caso in cui esse siano state conseguite in modo indipendente dal terzo”, non può considerarsi intaccata da una “segnalazione” sempre sotto la condizione che il segnalante si rivolga a chi è abilitato a gestirle in attuazione del modello 231 nonché dell’obbligo di riservatezza nella gestione della “segnalazione”.

a cura del Prof. Avv. Angelo Pandolfo Fieldfisher