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Il reddito minimo nella politica sociale UE e in alcuni Paesi europei


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Il dibattito attuale sull'introduzione di un reddito minimo a livello europeo si iscrive in una situazione di persistente crisi sociale che, dopo la crisi finanziaria del 2008 e nonostante una certa ripresa economica, genera un fenomeno massiccio di esclusione. Ciò anche a causa di significativi effetti di redistribuzione del reddito e, pertanto, di aumento delle disuguaglianze, che stanno minando la coesione sociale.

ANPAL ha così voluto approfondire il dibattito inerente una possibile iniziativa in ambito europeo che mira ad adottare disposizioni comuni sul salario minimo per rilanciare la politica europea di coesione sociale. Il documento, intitolato “ Il Reddito minimo nella Politica sociale UE e in alcuni Paesi europei “ si articola in cinque capitoli dedicati agli sviluppi della politica sociale europea e dei relativi dispositivi adottati da alcuni Paesi, in particolare Francia e Germania.

A fronte dell’inefficacia del metodo aperto di coordinamento con cui vengono gestiti i temi della sicurezza sociale, materia a competenza concorrente, la proposta di un intervento normativo comunitario vincolante per gli Stati membri sul reddito minimo è all’ordine del giorno dell’agenda europea. Si tratta di una questione sensibile e controversa, eminentemente politica, sebbene il dibattito si sia prevalentemente focalizzato sull’esistenza o meno di una base giuridica per una normativa europea su tale materia.

Tra i principali sostenitori del ricorso a un atto legislativo europeo sono il Governo federale tedesco e la Rete europea EMIN. Il primo ha preannunciato l’impegno a portare avanti l’iniziativa di un framework comune, vincolante per gli Stati membri, in materia di reddito minimo (e di salario minimo) nella seconda metà del 2020, in occasione della Presidenza tedesca dell’UE, mentre la 4 seconda, finanziata dalla Commissione UE, ha sviluppato analisi e proposte in merito a standard comuni per la definizione di schemi nazionali di reddito minimo dignitosi, ovvero adeguati, accessibili e abilitanti, e a una metodologia di calcolo di un livello dignitoso di reddito minimo (reference budget).

Nel dibattito recente, due aspetti sono in particolare evidenza: la condizionalità degli schemi di workfare e il salario minimo.

Tutti i sistemi nazionali hanno in comune un rafforzamento del vincolo di condizionalità, prevedendo una controprestazione alla concessione di un eventuale sussidio, in forme differenziate, con un mix tra elementi demanding (es. accettazione di lavoro non retribuito o poco pagato; lavori poco qualificati; sanzioni) e enabling (es. offerta di servizi di supporto).

Il secondo tema è la determinazione di salari minimi nazionali : questi sono intesi da un lato come misura di contrasto al fenomeno in crescita della povertà lavorativa (in-work poverty), che riguarda molti beneficiari di reddito minimo, e dall’altro, sul piano internazionale, di lotta al dumping salariale messo in atto dai Paesi con minori tutele nei confronti dei Paesi più avanzati, anche all’interno della UE.

Esistono posizioni differenti a questo proposito, tra chi considera il salario minimo una misura alternativa al reddito minimo e chi invece ritiene che essi siano strumenti differenti per prevenire e contrastare le disuguaglianze sociali e del mercato del lavoro. Il salario minimo rappresenta inoltre un riferimento comune in molti dispositivi sociali, volti a sostenere il reddito delle persone con poche risorse senza tuttavia disincentivare il ritorno al lavoro per coloro che sono in grado di lavorare.

Come per il reddito minimo anche per il salario la questione del livello è molto importante: si tratta di trovare, nel primo caso, un punto di equilibrio tra un reddito dignitoso e l’incentivazione al lavoro e, nel secondo caso, tra capacità di auto-sostentamento attraverso il lavoro e comportamenti di impresa, assumendo un trade-off tra costo del lavoro e occupazione e considerando il possibile impatto del salario minimo sulla contrattazione collettiva.

Come già detto, i Paesi presi in considerazione in questo documento per gli approfondimenti sono Francia e Germania. Al netto delle differenze tra sistemi, i due Paesi considerati presentano performance economiche e indicatori sociali del rischio di povertà e di redistribuzione del reddito migliori della media comunitaria, così come volumi di spesa per la protezione e per l’inclusione sociale mediamente più elevati. Tuttavia, le valutazioni concordano nel rilevare per i dispositivi di reddito minimo di entrambi i Paesi un limitato impatto dei trasferimenti sociali sulla povertà, in ragione della non adeguatezza dei livelli di reddito minimo, significativamente al di sotto della soglia di povertà, e dunque insufficienti a consentire la fuoriuscita dalla condizione di necessità.

Fonte: ANPAL