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Decreto Agosto : “ Blocco ” o “ sblocco ” dei licenziamenti - disposizioni non chiare


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La legislazione più recente, emanata in risposta alle molteplici esigenze rese attuali dall’emergenza epidemiologica, ha rinverdito la tradizione delle disposizioni legislative niente affatto chiare.

Ne costituisce un esempio l’art. 14 del cosiddetto Decreto Agosto (d.l. n. 104 del 14 agosto 2020), che pure tratta di un argomento quanto mai delicato come i licenziamenti per ragioni aziendali.

Per comprendere i primi passaggi dell’art. 14, è necessario avere presente quanto previsto dalle precedenti disposizioni del Decreto Cura Italia (d.l. n.18/2020) che già si occupava del tema nel suo art. 46.

A riprova del variabile (e incerto) incedere della legislazione, dell’art. 46 abbiamo avuto ben tre versioni, fino all’ultima dovuta a modifiche ad esso apportate dal Decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020).

In breve, il Decreto Agosto, in virtù dell’ultima versione del predetto art. 46, è preceduto da una normativa che protraeva fino al 17 agosto la preclusione dei licenziamenti collettivi e dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e in analoga prospettiva Interveniva sulle relative procedure.

Per questo, il nuovo Decreto Agosto può parlare di preclusioni e sospensioni che restano ferme. Ciò, peraltro, secondo una tecnica di intervento, come ci si accinge ad vedere, diversa da quella propria del precedente art. 46.

2. L’art. 14 del Decreto Agosto

Un primo punto da sottolineare attiene alla successione dei vari provvedimenti legislativi. 

L’entrata in vigore del Decreto Agosto il 15 di tale mese - e, quindi, prima della scadenza dei vincoli fissati dall’art. 46 - fa sì che non si abbiano periodi scoperti, fermo restando che a partire dal 15 agosto i vincoli sono quelli di cui all’art. 14 (per effetto dell’abrogazione tacita delle disposizioni recate dall’art. 46).

Alla luce di quanto già previsto dal precedente art. 46, l’art. 14, comma 1, può dire che restano fermi dei vincoli al potere dei datori di lavoro di recedere dai rapporti di lavoro ma, come si è già sottolineato, l’art. 14 li ridefinisce in termini alquanto diversi rispetto a quelli proprio della normativa precedente.

L’art. 46 ha avuto fin dall’inizio due caratteristiche: da una parte, ha riferito il “blocco” ai datori di lavoro senza distinguere fra di loro e, dall’altra, ha indicato un preciso termine finale del “blocco”.

L’art. 14 imbocca una via diversa: da una parte, adotta criteri che collocano in maniera differenziata i datori di lavoro rispetto al “blocco” e, dall’altra, non indica un generale termine finale del “blocco”.

L’incipit della nuova disposizione è volto ad indicare i datori di lavoro soggetti al “blocco”.

Si tratta, in primo luogo, dei datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito degli ammortizzatori previsti dal Decreto Agosto.

La disponibilità delle ulteriori 18 settimane di cui all’art. 1 del Decreto - utilizzabili nel periodo 13 luglio /31 dicembre 20202 - blocca temporaneamente il potere di recedere.

L’altra categoria di datori di lavoro che incappano nel “blocco” è individuata in quelli che non hanno fruito integralmente dell’esonero del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3 del Decreto.

Avendo presente quanto previsto da quest’ultima disposizione, si tratta dei datori di che, nel mese di maggio e giugno, hanno fruito degli ammortizzatori sociali ugualmente legati all’emergenza epidemiologica ma aventi fonte nel Decreto Cura Italia (d.l. n. 18/2020 e successive modificazioni e integrazioni) e che, per questo, possono richiedere l’esonero contributivo per un periodo fino al doppio delle ore di ammortizzatore sociale fruite nei predetti mesi ( nel limite massimo di quattro mesi).

L’art. 14, come si è appena visto, si esprime facendo riferimento a condizioni che perpetuano i divieti.

Da esso è possibile ricavare, indirettamente, le condizioni che ne determinano il superamento. Condizioni individuabili nell’esaurimento delle 18 settimane di ammortizzatore sociale o nell’esaurimento del periodo di esonero, che ai fini dell’esercizio del potere di recedere vengono ad apparire come una sorta di onere e non come meri diritti.

Ciò premesso, restano da chiarire meglio le implicazioni che derivano dalla compresenza dei due diversi criteri di individuazione dei destinatari del “blocco” e, quindi, di chi può considerarsi non più astretto dai divieti.

Nella formulazione legislativa, i predetti criteri sono separati da un “ovvero”, impiegato come congiunzione disgiuntiva (e non in funzione esplicativa).

Da qui l’interpretazione che può darsi, secondo cui i due criteri operano disgiuntamente: il datore, che abbia esaurito le nuove 18 settimane di ammortizzatore sociale, viene ad avere un potere di recedere non più precluso dalla normativa speciale; il datore di lavoro, che si è avvalso pienamente dell’esonero contributivo, vede ugualmente liberato il potere di recedere.

Interpretazione, questa, che porta anche a ritenere che la disponibilità degli ammortizzatori sociali recati dal Decreto Agosto non preclude i recessi ove l’esonero contributivo, magari disponibile solo per un breve periodo, è stato comunque utilizzato ed esaurito.

2.1. Considerazioni critiche di carattere generale sulla normativa relativa al “blocco” dei licenziamenti sono venute da più parti.

Rispetto alla nuova normativa, può osservarsi che anche il modo della ridefinizione di tale normativa dà adito a critiche.

Le ragioni che possono aver portato le aziende ad attivare o a non attivare gli ammortizzatori sociali nel periodo maggio/giugno sono le più.

Fondare lo “sblocco” su quanto accaduto in quel periodo può, pertanto, condurre ad esiti irragionevoli e a disparità non giustificabili fra imprese.

Ciò, peraltro, in un quadro di incertezze. Se un breve periodo di esonero può determinare il superamento del “blocco”, a quali regole sono soggetti i datori di lavoro che, di fatto o per previsione legislativa ( come i datori di lavoro agricoli), non hanno possibilità di ricorrere all’esonero ?

L’integrale utilizzazione del nuovo periodo di ammortizzatori sociali residua, in casi del genere, come l’unica strada percorribile per pervenire allo “sblocco” ?

2.2. L’art. 14 non esaurisce l’attenzione che il Decreto Agosto dedica al rapporto fra esonero e licenziamenti. Proprio nell’articolo dedicato in generale all’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, è contenuta la seguente disposizione: “Al datore di lavoro che abbia beneficiato dell’ esonero … si applicano i divieti di cui all’articolo 14 del presente decreto”.  

Nel valutare questa disposizione, occorre guardarsi da una interpretazione che porti a considerare bloccato il potere di recedere del datore di lavoro che si sia avvalso dell’esonero.

Questa, infatti, sarebbe un’interpretazione che priverebbe di qualsiasi valenza quanto l’art. 14 afferma, facendo (indirettamente) riferimento allo “sblocco” destinato a valere successivamente alla fruizione dell’esonero.

Un modo per conciliare le due disposizioni è, a ben vedere, individuabile.

La disposizione dell’art. 3 fa riferimento ai divieti di licenziare ma, come si è riportato, ai divieti di cui al successivo art. 14 e non ad altro.

La fonte legislativa che decide del rapporto fra esonero e potere di licenziare è, pertanto, rappresentata dall’art 14, comma 3, e questo evidenzia l’utilizzo dell’esonero come fattore che abilita lo “sblocco”.

3. E gli esuberi originati da cause diverse dall’emergenza epidemiologica?

L’art. 14, comma 1, indica come causale dei nuovi ammortizzatori gli “eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. 

Questa circostanza, nel quadro di una più ampia visione critica del “blocco” dei licenziamenti, ha concorso a far ipotizzare che gli esuberi di personale dovuti a fattori strutturali - diversi dalle causale evidenziata ai fini dell’accesso agli ammortizzatori - siano ormai al riparo dal “blocco”.

Questa interpretazione è certamente apprezzabile sotto il profilo del risultato pratico cui conduce e, prima ancora, ha dalla sua una considerazione di fondo.

La legge tuttora blocca i licenziamenti offrendo l’alternativa rappresentata dall’ulteriore pacchetto di 18 settimane di ammortizzatori sociali.

Se tale alternativa non sussiste, perché l’azienda non subisce “eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, non si giustifica il “blocco” alla luce della stessa ratio del Decreto.

E’ dubbio, tuttavia, che l’interpretazione sarà condivisa dai soggetti istituzionali che a livello amministrativo si pronunceranno sull’interpretazione/applicazione della recente normativa.

4. Le situazioni esentate

L’art. 14 evidenzia una serie di situazioni aziendali sottratte alle preclusioni e sospensioni che lo stesso prevede. 

Della liquidazione delle società si tratta tradizionalmente come di una fattispecie a formazione successiva, che passa attraverso il procedimento di liquidazione e culmina nella cancellazione della società dal registro delle imprese (artt. 2484/2495).

Il modo in cui l’art. 14, comma 3, fa riferimento alla messa in liquidazione delle società porta a ritenere che il mero accertamento di una causa di scioglimento della società non sia sufficiente a tenere al riparo dal “blocco”.

L’art. 14, comma 3, richiede, infatti, anche la cessazione “… dell’attività dell’impresa … senza continuazione, anche parziale, dell’attività … ”, facendo così risultare non sufficiente il semplice avvio del procedimento di liquidazione.

Si può discutere del riferimento, ancora dell’art. 14, comma3, alla definitività della cessazione dell’attività dell’impresa.

Al riguardo, non si ritiene che, ai fini del superamento del “blocco”, sia necessario l’esaurimento della fattispecie estintiva della società con la cancellazione dal registro.

Nel momento in cui la società entra nella fase della liquidazione e vi entra in virtù di cause di scioglimento che operano di diritto, la cessazione della attività è per definizione definitiva, senza che l’astratta possibilità della “revoca dello stato di liquidazione” (art. 2487-ter) pregiudichi tale naturale caratteristica della cessazione dell’attività da parte di società in liquidazione.

La trattazione da parte dell’art. 14, comma 3, dei casi di società in liquidazione si conclude con un passaggio che sembra prevedere questo: il “blocco” continua ad applicarsi qualora nel corso della liquidazione si abbia un trasferimento di azienda o di ramo di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. .

Ebbene, se questo si verifica, è facile osservare che è la regola cardine dell’art. 2112, secondo la quale il trasferimento si realizza con la continuità dei rapporti di lavoro, a tenere lontani i licenziamenti.

Si è inteso a far riferimento al trasferimento di aziende in crisi ?

Ponendosi dal punto di vista del salvataggio di aziende in crisi, emergono, del resto, ulteriori motivi di perplessità avverso soluzioni tipo “blocco” che, se applicate, appaiono in grado di demotivare potenziali acquirenti.

L’altra fattispecie considerata capace di disinnescare il “blocco” è individuata nell’accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che preveda incentivi alla risoluzione dei rapporti di lavoro.

La formulazione non è affatto soddisfacente, per il fatto che sembra non legittimare le strutture sindacali aziendali.

In ogni caso, per come la fattispecie è definita a livello legislativo, il “disco verde” è dato, a monte, dai sindacati ed è previsto un incentivo a favore dei lavoratori: a questo risulta legata la rimozione del divieto, peraltro non per tutti i dipendenti dell’impresa ma solo per i lavoratori che individualmente aderiscono all’accordo.

Per dare un senso alla complessiva disciplina approntata, non solo al passaggio che fa riferimento alla non applicazione del divieto di licenziare ma anche a quello che prevede l’erogazione della NASPI ai lavoratori aderenti all’accordo, deve ritenersi che si sia voluto far riferimento anche alla risoluzione consensuale (in analogia, in qualche modo, con quanto previsto dall’art. 7 della l. n. 604/1966).

Ricorrendo dei licenziamenti, la spettanza del trattamento di disoccupazione è, infatti, scontata. Il riferimento alla NASPI assume un senso se, operando l’accordo sindacale come fattore abilitante la rimozione del divieto di porre fine ai rapporti di lavoro per iniziativa del datore di lavoro, a tale esito si perviene con atti di risoluzione consensuale.

L’ulteriore ipotesi di esclusione del divieto di licenziamento è dato dal fallimento del datore di lavoro/imprenditore.

Il fallimento non legittima, di per sé, il licenziamento (art. 2119 c.c.; art. 72 l. fallimentare).

Vigente l’art. 46 del Decreto Cura Italia, si erano registrate preoccupazioni provenienti da curatori fallimentari che sottolineavano situazioni del genere: dalla legislazione fallimentare discendeva, come discende, la sospensione dei rapporti di lavoro; dall’art. 46 derivava il divieto di licenziare, con il risultato che i lavoratori restavano senza la retribuzione ma anche senza la possibilità di ricevere il trattamento di disoccupazione.

A queste situazioni, cerca di ovviare l’art. 14, comma 3, considerando la dichiarazione del fallimento come elemento che fa superare il divieto.

Ove nel caso concreto i licenziamenti siano effettivamente disposti, i lavoratori potranno fruire del sostegno rappresentato dalla NASPI.

Già si è visto, come l’art. 14 presti attenzione al dato di effettività rappresentato dalla continuazione o meno dell’attività dell’impresa.

Nel caso delle imprese coinvolte nella procedura fallimentare, l’attenzione verso tale aspetto porta a far riferimento all’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito (art. 104 l. fallimentare).

Il divieto di licenziamento, infatti, è tenuto fermo “… quando … sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa …”.

Negli casi considerati espressamente dalla legge - cessazione dell’esercizio provvisorio inizialmente disposto; lavoratori addetti a rami di azienda non interessati dall’esercizio provvisorio - il divieto viene, invece, accantonato.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo - Partner Fieldfisher