Con l’ordinanza n. 8948 del 14.05.2020, la Cassazione afferma che ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate, a condizione che il dipendente dimostri il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia.
Il fatto affrontato
Il lavoratore ricorre giudizialmente nei confronti dell’INAIL al fine di ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia da cui era affetto, causata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, ritenendo non indennizzabili le malattie derivanti da situazioni di c.d. costrittività organizzativa, come il mobbing dedotto nel ricorso.
L’ordinanza
La Cassazione - nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che deve essere coperto dall’assicurazione sociale, non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la stessa.
Secondo i Giudici di legittimità sono, dunque, indennizzabili tutte le malattie generate da rischi riguardanti la lavorazione, le modalità di svolgimento della prestazione, nonché l'organizzazione del lavoro.
Deve, infatti, ritenersi incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica. Per la sentenza, ne consegue che l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie di cui sia provata la causa di lavoro.
Su tali presupposti, la Suprema Corte, ritenendo provato il nesso di causalità tra la condotta datoriale ed il mobbing denunciato dal lavoratore, accoglie il ricorso dal medesimo presentato.
A cura di Fieldfisher