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INL - Nota n. 5944/2025 : Maternità, nuove istruzioni per i controlli in azienda.


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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato la nota n. 5944/2025, con la quale fornisce, ai propri ispettori, istruzioni operative in merito all’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro per maternità.  Indicazioni possono essere tratte anche dai datori di lavoro in relazione alla valutazione dei rischi ai quali può essere sottoposta la gestante. La valutazione riportata nel DVR costituisce il presupposto dell’adozione del provvedimento e la sua assenza, come altre carenze della documentazione richiesta, espone il datore di lavoro ad accertamenti ispettivi.

Interdizione ante e post partum - La lavoratrice madre ha diritto un periodo di 5 mesi di congedo di maternità (astensione obbligatoria) potendo scegliere se prendere 2 mesi prima del parto e tre mesi dopo, oppure un mese prima del parto e quattro mesi dopo ( art. 16, D.Lgs. n. 151/2001 ).  

Casi di anticipazione del periodo di interdizione al lavoro a tre mesi dalla data presunta del parto sono previsti all’ art. 17 del D.lgs. n. 151/2001 :

1.       quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli ( art. 7, comma 1 del TU ). In tal caso opera un espresso divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e sollevamento pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi e insalubri (dettagliati negli allegati A e B del T.u. maternità);

2.       quando si presentano gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;

3.     quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino ( art. 17, comma 2, lett. a) );

4.       quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni ( art. 17, comma 2, lett. b) ).  

In quest’ultime due ipotesi, l’ astensione può essere ulteriormente prolungata sino ad un massimo di 7 mesi. Inoltre, mentre in presenza di gravi complicanze della gravidanza o preesistenti forme morbose ( punto 2 ) il provvedimento di interdizione compete all’ ASL, in tutti gli altri casi, ai sensi dell’ art. 6, 7 e 17 del TU, il provvedimento è di competenza dell’ Ispettorato territoriale del Lavoro che lo emette entro 7 giorni dall’inoltro dell’ istanza e relativa documentazione da parte del datore di lavoro.  

Non è infrequente, tuttavia, che, nell’inerzia del datore di lavoro, la lavoratrice avvii nel suo interesse una richiesta di interdizione motivata dalle condizioni di rischio relative alle mansioni svolte .

In tal caso è necessario che all’istanza sia allegata una dichiarazione del datore di lavoro con l'indicazione della mansione o il lavoro vietati cui è adibita la lavoratrice, con la precisazione dell'impossibilità di adibirla ad altre mansioni sulla base di elementi tecnici attinenti all'organizzazione dell'azienda.

Qualora l’istanza pervenuta risulti carente del DVR, ovvero della dichiarazione del datore di lavoro oppure in caso di mancato riscontro ad una richiesta dell’Ufficio, al fine di tutelare la lavoratrice madre in attesa dell’emanazione del provvedimento, l’ITL può valutere l’opportunità di procedere con un accertamento in loco per verificare la sussistenza dei requisiti utili alla emanazione del provvedimento interdittivo. In tali situazioni, il più delle volte, diviene inevitabile l’irrogazione di provvedimenti sanzionatori.  

Nella nota n. 5944/2025 l’ Ispettorato ricorda infatti che il datore di lavoro è tenuto alla  valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento fino a sette mesi dopo il parto ( artt. 28 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008 ), e la valutazione dei rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro ( art. 11 D.Lgs. 151/2001 ). Ed è a questo documento che l’ Ispettorato si affida per l’emissione del provvedimento di interdizione di norma senza accedere nei luoghi di lavoro. 

A tal fine, il datore di lavoro deve in primo luogo attivarsi per individuare le lavorazioni che possano risultare pregiudizievoli per le lavoratrici madri (art. 11) e di conseguenza modificarne temporaneamente le condizioni di lavoro o l'orario di lavoro o le mansioni , adibendole se necessario anche a mansioni inferiori, con conservazione della retribuzione precedente, affinché non siano esposte a rischio.

Per quanto concerne la valutazione circa la possibilità o l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni, nella nota l’ Ispettorato conferma che questa è una prerogativa esclusiva del datore di lavoro, il quale deve tenere conto che, nel perimetro sancito dall’ art. 2082 C.C. , il mutamento delle mansioni, o l'adibizione a mansioni inferiori, assicuri comunque condizioni tali da garantire l'efficienza della propria organizzazione aziendale e non comprometta le finalità economiche dell'impresa.

Tanto più viene ricordato che lo spostamento di mansione non va inteso in senso assoluto, come nel caso in cui non sia disponibile nessuna mansione alternativa a cui adibire la lavoratrice, bensì in senso relativo, cioè quando la mansione alternativa astrattamente reperibile risulti in concreto onerosa per la lavoratrice e poco utile all’ organizzazione aziendale. A norma dell’ art. 1175 c.c. è da ritenersi pertanto inesigibile una prestazione lavorativa tanto ridotta da diventare inutilmente gravosa per la lavoratrice, costretta ad affrontare il disagio di recarsi sul posto di lavoro, per rendere una prestazione lavorativa di scarsa utilità per il datore di lavoro.

Sulla base di tali considerazioni, l’ Ispettorato considera l’accertamento d’ufficio, teso a verificare la veridicità di quanto asserito dal datore di lavoro in ordine all’ impossibilità di spostamento ad altra mansione, una circostanza si eccezionale ma che non può essere esclusa aprioristicamente. Può infatti accadere che, a seguito di accesso ispettivo venga adottato un provvedimento di diniego all'interdizione che dovrà essere debitamente motivato. 

La lavoratrice, seppure nei limiti delle proprie condizioni di salute e di quelli derivanti dalle lavorazioni svolte, può mantenere così un certo grado di autonomia nella scelta del periodo di   astensione obbligatoria, potendo scegliere se prendere 2 mesi prima del parto e tre mesi dopo, oppure un mese prima del parto e quattro mesi dopo, anche grazie all’adibizione a diversa mansione.

WST Law & TAx