Con la risoluzione n. 50/2025, l’ Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’ art. 30-ter del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 ( c.d. Decreto IVA ) in ipotesi di indebita applicazione dell’ IVA ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi accertata in via definitiva dagli uffici dell’ Amministrazione finanziaria.
Più specificamente, si fa riferimento ad una fattispecie che sovente ricorre nella prassi degli accertamenti fin nelle aule giudiziarie, per cause aventi ad oggetto la riqualificazione di contratti di appalto in somministrazione ( illecita ) di manodopera.
Tali pratiche vengono messe in atto spesso con intenti fraudolenti non solo per aggirare la disciplina giuslavoristica, contributiva e assicurativa, ma anche per ricevere lo sconto IVA su basi imponibili più elevate, con esercizio della detrazione da parte del committente. A ciò si aggiunga che la configurazione della somministrazione di manodopera, in luogo del contratto di appalto, comporta, oltre all' indetraibilità dell’Iva, anche l’indeducibilità dell’Irap.
Ebbene, nelle ipotesi come quella evidenziata, ovvero nelle ipotesi di pagamento di Iva accertata in via definitiva dall’amministrazione finanziaria, il cedente/prestatore può presentare domanda di restituzione dell' imposta indebitamente versata all’erario ?
In generale, ricorda l’ Agenzia , questa possibilità è condizionata dalla restituzione al cliente dell’ IVA ingiustamente addebitata tramite rivalsa, al fine di evitare un indebito arricchimento del cedente/ prestatore. A sua volta, il cliente cessionario/committente deve aver restituito all’ Erario l’ imposta a seguito di accertamento definitivo. Solo a quel punto può attivarsi il processo di restituzione a favore del fornitore, ma comunque entro il termine decadenziale di 2 anni dalla data in cui la restituzione al cessionario è avvenuta.
Questo sistema di recupero è disciplinato dal predetto art. 30-ter, il quale:
- - al comma 1 stabilisce che il soggetto passivo può presentare la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza entro due anni dalla data del versamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione
- - al comma 2 prevede che, nel caso in cui l’applicazione dell’Iva indebita sia stata accertata in via definitiva dall’amministrazione, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.
In relazione ad entrambe le disposizioni, poi, il successivo comma 3 esclude la restituzione dell’imposta qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.
Alla luce di quest’ultima disposizione, l’ Agenzia conclude che in un contesto di frode, se a seguito di controlli delle Entrate il rapporto contrattuale viene riqualificato, e di conseguenza viene escluso per invalidità del titolo il diritto alla detrazione Iva relativa al contratto di appalto, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini Iva, non si potrà procedere ad alcuna restituzione dell’imposta. L’accertamento della frode comporta, dunque, l’ automatica inammissibilità della richiesta di rimborso, anche se il contribuente abbia successivamente restituito l’importo al cliente.
Questa preclusione non appare conforme ai principi di neutralità e proporzionalità, principi che la Corte di Giustizia UE, nella causa C-712/17, ha ammesso pur in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, riconoscendo all’emittente di una fattura relativa a un’operazione inesistente di richiedere il rimborso dell’imposta indicata su tale fattura, debitamente versata all’Erario.
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