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Mobilità transnazionale, Certificazione A1 e accertamenti INPS: l'evoluzione della giurisprudenza UE.


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Premessa - Lo svolgimento di attività lavorativa in fattispecie che presentano elementi di internazionalità produce implicazioni non solo in relazione alla disciplina statale applicabile al rapporto di lavoro ma anche alla relativa normativa previdenziale.

Il Reg. CE n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (detto anche “Regolamento di base”), sancisce un principio cardine: l’unicità della legislazione previdenziale applicabile. Il Reg. CE n. 987/2009 (detto anche “Regolamento di applicazione”) definisce le modalità di applicazione del Regolamento di base.

È a tali due Regolamenti che occorre, dunque, fare riferimento per orientarsi nell’ambito della legislazione previdenziale comunitaria.

Secondo la regola generale, la legge previdenziale applicabile al rapporto di lavoro, sia esso subordinato o autonomo, è quella dello Stato in cui l’attività lavorativa è svolta, c.d. lex loci laboris (v. art. 11 Reg. 883/2004).

Tuttavia, in alcune situazioni specifiche – come, ad esempio  tra l’altro, nell’ipotesi di distacco o di svolgimento dell’attività in più Stati membri (artt. 12 e 13 Reg. 883/2004) – la legge previdenziale applicabile è individuata sulla base di criteri diversi che possono portare all’applicazione della legge dello Stato in cui il lavoratore ha la residenza o in cui il datore di lavoro esercita la propria attività ovvero ha la sede o il domicilio.

In tali ipotesi, l’unica legge previdenziale applicabile è oggetto di certificazione nell’apposito documento denominato “Certificazione A1” (art. 19, comma 2, Reg. 987/2009).

Certificazione A1 e relativa procedura di rilascio - La Certificazione A1 attesta la legislazione previdenziale applicabile al rapporto di lavoro (subordinato o autonomo), fino a quale data e a quali condizioni e, conseguentemente, il non assoggettamento alla legge previdenziale di altro Stato dell’UE (v. art. 19 Reg. 987/2009).

Tale certificazione è rilasciata al termine di una procedura, attivata - in caso di distacco - dal datore di lavoro presso l’istituzione dello Stato la cui legislazione è applicabile ovvero - in caso di svolgimento dell’attività in più Stati membri - dal lavoratore presso l’istituzione del proprio Stato di residenza.

L’istituzione previdenziale ricevente emette una determinazione iniziale della legislazione applicabile all’interessato sulla base delle norme regolamentari applicabili alla fattispecie concreta (v. artt. 15 e 16 Reg. 987/2009) e ne dà informazione alle istituzioni degli Stati membri coinvolti nella fattispecie.

Tale determinazione iniziale è provvisoria e diventa definitiva una volta decorsi due mesi dalla data in cui è comunicata alle istituzioni degli Stati membri interessati.

In caso di incertezza sull’identificazione della legge applicabile, entro la fine del suddetto periodo di due mesi, le istituzioni degli Stati membri, su richiesta di una o più di esse, determinano la legge applicabile di comune accordo.

In caso di divergenza di punti di vista tra le istituzioni interessate, le stesse cercano un accordo.

Nelle more, la persona interessata è soggetta in via provvisoria alla legislazione di uno degli Stati membri in disaccordo, secondo il seguente ordine:

1.    la legislazione dello Stato membro in cui la persona esercita effettivamente la sua attività professionale, subordinato o autonoma, se questa è esercitata in uno Stato membro;

2.    la legislazione dello Stato membro di residenza, se la persona interessata esercita attività subordinata o autonoma in due o più Stati membri e svolge parte della sua attività nello Stato membro di residenza o se la persona interessata non esercita attività subordinata o autonoma;

3.    in tutti gli altri casi, la legislazione dello Stato membro di cui è stata chiesta in primo luogo l’applicazione se la persona esercita una o più attività in due o più Stati membri (v. art. 6 Reg. 987/2009).

Se, trascorso un mese dalla data in cui è sorta la divergenza, le istituzioni competenti non trovano un accordo, la questione può essere sottoposta alla commissione amministrativa per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale di cui all’art. 71 reg. 883/2004, la quale cerca di conciliare i punti di vista entro i sei mesi successivi alla data in cui la questione è sottoposta (art. 6, comma 3, Reg. 987/2009).

Quando è stabilito che la legislazione applicabile non è quella dello Stato membro individuato in via provvisoria, l’istituzione identificata come competente è considerata tale con effetto retroattivo, come se la divergenza dei punti di vista non fosse esistita, al più tardi a decorrere dall’affiliazione provvisoria (art. 6, comma 4, Reg. 987/2009).

Su richiesta dell’istituzione individuata come competente, presentata entro 3 mesi dalla determinazione della legislazione applicabile, l’istituzione che ha percepito a titolo provvisorio contributi li trasferisce all’istituzione individuata come competente per lo stesso periodo.

I contributi trasferiti sono ritenuti come erogati retroattivamente all’istituzione individuata come competente (artt. 6, comma 5, e 73 Reg. 987/2009).

L’istituzione competente dello Stato membro la cui legislazione diventa applicabile informa l’interessato e, se del caso, il suo o i suoi datori di lavoro, degli obblighi previsti da tale legislazione, fornendo anche l’aiuto necessario all’espletamento delle formalità richiesta (art. 16, comma 5, e 19, comma 1, Reg. 987/2009).

Certificazione A1 e sua vincolatività - Come rilevato, il processo di individuazione della legge previdenziale applicabile ad un rapporto di lavoro con elementi di internazionalità può concludersi in tempi più o meno rapidi a seconda che sorga o meno contestazione fra le istituzioni coinvolte.

L’esito di tale processo è racchiuso, come evidenziato, nella Certificazione A1, che attesta quale sia l’unica legislazione previdenziale applicabile al rapporto di lavoro.

Sennonché, può accadere che, nell’ambito delle procedure di accertamento dell’INPS - nonostante emerga che i lavoratori, i cui rapporti di lavoro sono oggetto di accertamento, siano in possesso della Certificazione A1 attestante l’assoggettamento degli stessi alla legge previdenziale di altro Stato membro – lo stesso Istituto intimi la regolarizzazione contributiva, mediante versamento dei contributi omessi e relative sanzioni.

A fronte di simili iniziative dell’INPS, occorre chiedersi quale sia il valore della Certificazione A1 emessa dall’istituzione dello Stato emittente e, in particolare, se essa possa essere contestata o disattesa dagli istituti degli altri Stati membri.

La risposta a tale quesito si trova nel Reg. 987/2019 che, all’art. 5, intitolato “Valore giuridico dei documenti e delle certificazioni rilasciati in un altro Stato membro”, chiarisce: “I documenti rilasciati dall’istituzione di uno Stato membro che attestano la situazione di una persona ai fini dell’applicazione del regolamento di base e del regolamento di applicazione, nonché le certificazioni su cui si è basato il rilascio dei documenti, sono accettati dalle istituzioni degli altri Stati membri fintantoché essi non siano ritirati o dichiarati non validi dallo Stato membro in cui sono stati rilasciati”.

Il medesimo art. 5 individua una specifica procedura nell’ipotesi in cui l’istituzione dello Stato membro che riceve il documento abbia dubbi sulla validità del documento medesimo o sull’esattezza dei fatti su cui si basano le indicazioni che vi figurano.

Tale procedura si snoda nei seguenti passaggi:

•  l’istituzione che riceve il documento chiede all’istituzione che lo ha emesso i chiarimenti necessari e, se del caso, il ritiro del documento;

•   l’istituzione emittente riesamina i motivi che hanno determinato l’emissione del documento e, se necessario, procede al suo ritiro;

•   in caso di dubbio sulle informazioni fornite dalla persona interessata, sulla validità del documento o sulle certificazioni o sull’esattezza dei fatti su cui si basano le indicazioni che vi figurano, l’istituzione del luogo di residenza procede, qualora le sia possibile, su richiesta dell’istituzione competente, alle verifiche necessarie di dette informazioni o detto documento;

•  in mancanza di accordo tra le istituzioni interessate, la questione può essere sottoposta alla commissione amministrativa, per il tramite delle autorità competenti, non prima che sia trascorso un mese dalla data in cui l’istituzione che ha ricevuto il documento ha sottoposto la sua richiesta;

•  la commissione amministrativa cerca una conciliazione dei punti di vista delle istituzioni interessate entro i 6 mesi successivi alla data in cui la questione le è stata sottoposta.

Tale procedura attua, a livello pratico, il principio di cooperazione previsto dall’art. 76 Reg. 883/2004. Tale disposizione prevede un reciproco obbligo di informazione e di cooperazione a carico delle istituzioni competenti e delle persone cui si applica il regolamento medesimo al fine di garantire la corretta applicazione dello stesso.

Tale obbligo di comunicazione e di informazione implica che in caso di difficoltà di interpretazione o di applicazione del Regolamento, tali da mettere in causa i diritti di una persona cui esso è applicabile, l’istituzione dello Stato membro competente o dello Stato membro di residenza della persona in causa contatta l’istituzione/l’istituzione dello o degli Stati membri interessati. In assenza di una soluzione entro un termine ragionevole, le autorità interessate possono adire la commissione amministrativa.

Il principio di vincolatività dei Certificati A1 introdotto nei Reg. 883/2004 e 987/2009 è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia formatasi sotto la vigenza dei precedenti Regolamenti n. 1408/71 e n. 574/72, quando la certificazione in questione era denominata Certificazione E101. 

In particolare, con sentenza del 2 aprile 2020, CRPNPAC c. Vuelig Airlines SA (C-370/17 e C-37/18), la Corte di Giustizia ha affrontato la questione circa la disapplicabilità dei Certificati E101 ad opera dei giudici di uno Stato membro, aditi nell’ambito di un procedimento giudiziario avviato nei confronti di un datore di lavoro per fatti idonei a rivelare l’ottenimento o l’utilizzo fraudolento dei suddetti certificati nei confronti di lavoratori che svolgono la loro attività nel medesimo Stato membro.

A riguardo, la Corte di giustizia ha rilevato che:

• pur in presenza di indizi circa la frode, in forza del principio i leale cooperazione e reciproca fiducia fra Stati membri, il certificato E101 “si impone all’istituzione competente ed ai giudici dello Stato membro ospitante, in quanto crea una presunzione di regolarità dell’iscrizione del lavoratore interessato al regime previdenziale dello Stato membro la cui istituzione competente ha emesso detto certificato … pertanto, fintantoché il certificato non venga ritirato o invalidato, l’istituzione competente e i giudici dello Stato membro ospitante devono tenere conto del fatto che il lavoratore interessato è già soggetto alla normativa previdenziale dello Stato membro la cui istituzione competente ha emesso il certificato”.

Nel medesimo senso si sono pronunciate la sentenza Banks del 30 marzo 2020, Bank (C-170/97), punti da 40 a 48,  la sentenza FIS del 10 febbraio 2020, punti da  53 a 59 (C-202-97), la sentenza Herbosch del 26 gennaio 2006 (C-2/05), punti da 24 a 33) e la sentenza A-Rosa Flussschiff del 27 aprile 2017 (C-260/15) che – tra l’altro – sottolineano come la soluzione contraria potrebbe pregiudicare il principio dell’iscrizione dei lavoratori subordinati ad un unico regime previdenziale, come pure la prevedibilità del regime applicabile e, quindi, la certezza del diritto;

• l’attuazione della procedura di cooperazione “prima di un eventuale accertamento definitivo di frode da parte delle autorità competenti dello Stato membro ospitante, assume particolare importanza, dal momento che essa è idonea a consentire all’istituzione competente dello Stato membro emittente e a quella dello Stato membro ospitante di avviare un dialogo e di collaborare strettamente al fine di verificare e di raccogliere, ricorrendo ai poteri di indagine di cui rispettivamente dispongono in base al loro diritto nazionale, ogni elemento di fatto o di diritto che possa infirmare o, al contrario, confermare la rispondenza a realtà dei dubbi espressi dall’istituzione competente dello Stato membro ospitante quanto alla circostanza in cui è avvenuto il rilasciato dei certificati”;

• “…se l’istituzione competente dello Stato membro ospitante potesse, in ragione della sola presenza di indizi concreti dell’esistenza di una frode, disapplicare unilateralmente i certificati E101 emessi dall’istituzione competente di uno Stato membro … aumenterebbe il rischio che siano dovuti contributi, in violazione del principio di unicità della legislazione nazionale applicabile …, al regime previdenziale dello Stato membro ospitante, nonostante il fatto che siano già stati versati contributi, per gli stessi lavoratori, al regime previdenziale dello Stato membro di cui tali certificati attestano l’applicabilità della normativa nazionale”;

“… se successivamente dovesse risultare che taluni contributi sono stati indebitamente versati al regime previdenziale di quest’ultimo Stato membro (ndr, competente) vi è il rischio che tali contributi non possano essere rimborsati, per esempio a causa di norme sulla prescrizione applicabili in detto Stato membro”

•  “Correlativamente, la mancata attuazione della procedura …sarebbe idonea ad aumentare il rischio di assoggettare i lavoratori interessati ai regimi previdenziali di più Stati membri, con tutte le complicazioni che un tale cumulo potrebbe comportare

•  Ne deriva che la procedura costituisce “un presupposto obbligatorio al fine di determinare se siano soddisfatte le condizioni per l’esistenza di una frode e, pertanto, di trarre qualsiasi conseguenza utile per quanto riguarda la validità dei certificati E101 … e la normativa previdenziale applicabile ai lavoratori interessati”.

• “Ne consegue che la presenza di indizi concreti che inducano a ritenere che certificati E101 siano stati ottenuti o fatti valere in modo fraudolento deve indurre l’istituzione competente dello Stato membro ospitante non a constatare unilateralmente l’esistenza di una frode e a disapplicare tali certificati, ma ad avviare prontamente la procedura … affinché l’istituzione che ha emesso tali certificati, cui si rivolge l’istituzione dello Stato ospitante, proceda, entro un termine raginevole, in forza del principio di leale cooperazione, al riesame della fondatezza del rilascio dei certificati alla luce di tali indizi e, se del caso, decida di annullarli o ritirarli”.

• “In tale contesto, quando un giudice dello Stato membro ospitante è adito nell’ambito di un procedimento giudiziario avviato nei confronti di un datore di lavoro sospettato di aver ottenuto o fatto valere in maniera fraudolenta certificati E101, esso non può  a sua volta ignorare la procedura…”. Tale superamento arbitrario della procedura da parte dello stato ospitante comprometterebbe, infatti, il sistema istituito dai Regolamenti comunitari, fondati sulla leale cooperazione tra Stati membri.

Nello stesso senso, anche la sentenza Herbosch, punto 30 e la sentenza A-Rosa Flussschiff sopra citate.

•  L’avvio della procedura è, peraltro, auspicabile anche sotto il profilo dell’economia processuale, potendo il suo esito rendere superfluo il ricorso ai giudici dello Stato ospitante.

Ragionando a contrario, la sentenza in questione ha ammesso la possibilità per il giudice di uno Stato membro di disapplicare i certificati E101 nell’ambito di un procedimento giudiziario solo dopo avere verificato che:

a)    la procedura sia stata avviata prontamente e che l’istituzione competente dello Stato membro emittente sia stata posta in grado di riesaminare la fondatezza del rilascio di detti certificati alla luce degli elementi concreti, presentati dall’istituzione dello Stato membro ospitante, che facciano ritenere che gli stessi certificati siano stati ottenuti o fatti valere in modo fraudolento;

b)    l’istituzione competente dello Stato membro emittente si è astenuta dal procedere a tale riesame e dal prendere posizione, entro un termine ragionevole, su detti elementi, se del caso, annullando o ritirando i certificati di cui trattasi. 

I principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria sotto i previgenti Regolamenti comunitari non hanno potuto che essere confermati anche dalla giurisprudenza formatasi con riferimento ai Regolamenti vigenti, anche alla luce dell’introduzione del citato art. 5 Reg. 987/2009.

In particolare, con la sentenza Fu del 2 marzo 2023 , C-410/21 e C-661/21, la Corte ha ancora una volta sottolineato che la decisione dell’istituzione emittente di revocare un certificato A1 deve essere adottata nell’ambito della procedura di dialogo e di conciliazione tra istituzioni, qualora, dopo avere riesaminato la fondatezza del rilascio di tale certificato, detta istituzione ritenga che il suo regime di sicurezza sociale non sia applicabile al lavoratore interessato. Secondo la sentenza in questione, “ammettere che l’istituzione emittente possa privare, anche solo provvisoriamente, un certificato A1 dei suoi effetti vincolanti senza avere preventivamente riesaminato la fondatezza del suo rilascio né determinato quale sia il regime di sicurezza sociale applicabile al lavoratore interessato equivarrebbe a disattendere le modalità di applicazione e la finalità della procedura in parola, nonché il principio di leale cooperazione su cui si basa detta procedura.

Inoltre, l’assenza di effetti vincolanti del certificato A1 di cui trattasi consentirebbe alle istituzioni degli altri Stati membri di assoggettare il lavoratore interessato ai propri regimi di sicurezza sociale, il che sarebbe idoneo ad aumentare il rischio di cumulo di tali regimi, pregiudicando così il principio di iscrizione dei lavoratori subordinati ad un unico regime, nonché la prevedibilità del regime applicabile e, pertanto, il principio di certezza del diritto. Per di più, l’eventuale cumulo di detti regimi potrebbe compromettere l’obiettivo di agevolare la libera circolazione dei lavoratori e la libera prestazione dei servizi”.

Con la sentenza Zaklad del 16 novembre 2023, C-422/22, la Corte di giustizia ha altresì chiarito che nel caso in cui sia l’istituzione dello Stato membro emittente a decidere di revocare il rilascio di un certificato A1, a seguito di verifiche dalla stessa compiute e non su impulso dell’istituzione dello Stato ospitante, non è necessario che sia seguita la procedura di dialogo e conciliazione.

Invero, chiarisce la Corte, tale procedura deve essere seguita, ai sensi dell’art. 5 Reg. 987/2009, laddove vi sia una domanda di riesame e di ritiro presentata dall’istituzione competente di altro Stato membro, mentre nessuna previsione richiede l’avvio della procedura nel caso in cui la decisione del ritiro d’ufficio provenga dalla stessa istituzione emittente.

Ciò risulta coerente con la previsione dell’art. 76 Reg. 883/2004 che concepisce la procedura di conciliazione come uno strumento volto a risolvere le controversie tra istituzioni competenti. Ne consegue che, in mancanza di controversia, la procedura non necessita di essere seguita.

La più recente sentenza Ex del 23 gennaio 2025 (C-421/2023) ha stabilito che il regolamento 883/2004 si applichi anche nell’ipotesi estrema in cui i certificati A1 siano falsi.

Invero, la falsità dei certificati A1 non esclude, di per sé, l’applicazione del regolamento, poiché tale normativa non richiede necessariamente il possesso di certificati validi per rientrare nel suo ambito di applicazione. La Corte ha, quindi, confermato che spetta al giudice nazionale verificare, alla luce delle condizioni previste dal Regolamento, quale legislazione previdenziale fosse applicabile ai lavoratori interessati.

In ogni caso, ribadisce la Corte, la procedura di dialogo e di conciliazione tra le istituzioni degli Stati membri, prevista dall’art. 76, par. 6, Reg. 883/2004 e disciplinata dal Reg. 987/2009, costituisce uno strumento indispensabile per risolvere controversie riguardanti la validità o l’autenticità dei certificati A1. Tale procedura deve essere rispettata, garantendo la cooperazione tra le istituzioni competenti degli Stati membri per verificare i fatti e determinare la legislazione applicabile.

In particolare la Corte ha ribadito che i certificati A1 vincolano sia le istituzioni che i giudici dello Stato membro ospitante, a meno che, attraverso la procedura di dialogo e conciliazione, non emerga che tali certificati sono stati emessi in modo fraudolento o non autentico. Solo dopo l’espletamento di tale procedura, l’organo giurisdizionale dello Stato ospitante può accertare definitivamente la frode e non tener conto dei certificati.

Conclusioni - Alla luce dell’evoluzione della normativa e della giurisprudenza comunitaria, appare chiaro che l’INPS e l’autorità giudiziaria, così come tutte le istituzioni previdenziali e le autorità giudiziarie di tutti gli Stati membri, non possano ordinare il versamento di contribuzione in favore dell’INPS laddove la Certificazione A1 attesti l’applicazione della legge previdenziale di altro Stato membro.  Tale certificazione, infatti, è vincolante per tutti gli Stati membri e la sua disapplicazione arbitraria determina una violazione dei principi di leale cooperazione tra gli Stati membri, di unicità della legislazione applicabile nonché di libera circolazione dei lavoratori.

a cura di Silvia Lucantoni, Partner del dipartimento Labour di WST Law & Tax