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Crisi aziendali: nuovi strumenti per il sostegno al reddito e per la formazione dei lavoratori.


La crisi derivante dalla pandemia COVID sollecita certamente ad individuare strumenti che aiutino le imprese ed i lavoratori a superare la crisi contingente ma ciò non appare sufficiente. Se alziamo gli occhi dalla fase drammatica che stiamo vivendo ed innalziamo lo sguardo verso l’orizzonte, emerge con sempre maggiore forza il bisogno di strumenti che accompagnino nella transizione verso un nuovo sistema produttivo. In proposito risulta sempre più diffusa la convinzione che sia necessario supportare imprese e lavoratori nei mutamenti che nel prossimo futuro, una volta superata la pandemia, segneranno il processo di modernizzazione dell’economia europea, in particolare mediante misure per accelerare la duplice transizione verde e digitale del sistema produttivo. 

Si tratta di sfide molto impegnative per affrontare le quali non è sufficiente la strumentazione di politica del lavoro a disposizione, quella che abbiamo conosciuto ed usato fino ad ora, né a livello comunitario, né a livello nazionale. Invero il nostro Paese ha qualche punto di forza: ad esempio la consolidata tradizione nel campo del sostegno economico a lavoratori sospesi dal lavoro per ragioni economiche (penso alla ultra-sessantennale esperienza della Cassa integrazione guadagni, che ci assegna una sorta di primogenitura in materia e che è stata assunta a riferimento da molti Paesi europei per fronteggiare la grande crisi del 2009 e riproposta e potenziata ora nell’emergenza COVID).

Dobbiamo però riconoscere che su altri terreni ci è richiesto uno sforzo aggiuntivo rispetto ai nostri partners europei: abbiamo fatto spesso fatica, anche nei momenti migliori della vita economica del nostro Paese, a promuovere politiche di riqualificazione dei lavoratori sospesi per un loro qualificato reinserimento in azienda o politiche di ricollocazione sul mercato del lavoro, basate sull’offerta di servizi per l’impiego e su attività di formazione professionale.

Se vogliamo affiancare il nostro sistema produttivo affinché possa essere sempre più competitivo sui mercati internazionali e, nel contempo, vogliamo sostenere i lavoratori disoccupati o a rischio di disoccupazione dotandoli di una protezione sociale “piena” (cioè di un complesso di misure che naturalmente comprendono anche il sostegno al reddito ma che lo accompagnano con servizi per l’impiego ed attività di formazione, cioè con quegli strumenti che in Europa si sono dimostrati particolarmente efficaci nella tutela contro il rischio di disoccupazione), dobbiamo ripensare, affinare e potenziare la nostra strumentazione di politica del lavoro.

Ed è forse giunto il momento favorevole per dare corpo ad un progetto di riforma così ambizioso, peraltro già delineato circa 25 anni fa e mai compiutamente realizzato; in particolare, possiamo cogliere le opportunità derivanti dalle sospensioni dal lavoro al fine di innalzare le competenze professionali dei nostri lavoratori, migliorando nel contempo la competitività delle imprese.

A questo fine si presenta quanto mai interessante perseguire il connubio di periodi di sospensione per CIGS con attività di formazione continua e di politica attiva del lavoro.

In proposito i nodi da sciogliere riguardano non solo e non tanto il finanziamento dei servizi per l’impiego e delle attività formative quanto un aspetto non meno importante per la realtà italiana e cioè la capacità di tradurre in effettivi interventi le previsioni legislative e gli impegni assunti in sede istituzionale o in sede contrattuale. E’ infatti dato di esperienza comune per chi si occupa di politiche attive del lavoro quanto risulti faticoso trasformare in interventi dotati di effettività i progetti di politica attiva del lavoro per lavoratori in CIGS (ciò anche nelle situazioni più deboli sotto il profilo occupazionale, quali le cigs per cessazione di attività o quelle in deroga ai limiti massimi di durata o quelle in cui sia stato stipulato un accordo aziendale di ricollocazione con relativo piano di ricollocazione) o per lavoratori disoccupati (la triste esperienza nel 2017 della sperimentazione dell’Assegno di ricollocazione insegna). 

Ciò detto, e riconosciuto dunque che il nostro Paese non ha alle spalle una robusta tradizione di intreccio tra ammortizzatori sociali e politiche attive, dobbiamo guardare oltre. Per tutto quello che abbiamo detto, il Paese ha la necessità di attrezzarsi per intraprendere una nuova direzione. Trasformare i processi produttivi di beni e servizi applicando le nuove tecnologie (penso a Industria 4.0, allo smart-working, ecc,) o applicando regole che riducano al minimo l’impatto ambientale (penso alla c.d. green economy) vuol dire anche poter disporre di personale con competenze in parte nuove o in alcuni casi molto diverse da quelle acquisite in passato. I nostri lavoratori dovranno innalzare o modificare le loro competenze; le nostre imprese avranno sempre più la necessità di reperire nuove figure professionali qualificate. Si pone dunque il problema dell’attivazione diffusa di iniziative di formazione professionale; e quale opportunità migliore per avviare questo processo di quella derivante da una fase economica che non richiede il pieno impiego delle maestranze? 

E’ questa la ragione per cui vale la pena soffermare l’attenzione sui nuovi strumenti nati recentemente su iniziativa dell’Unione europea nell’ambito delle azioni di contrasto ai gravi problemi economici ed occupazionali generati dalla pandemia COVID: mi riferisco ovviamente ai programmi promossi da NEXGENERATION EU ma, più in particolare, al Fondo SURE ed al programma REACT- EU, che prefigurano interessanti ed immediate ricadute sul piano nazionale. L’Italia è sospinta, grazie anche a questa nuova strumentazione, a perseguire sistematicamente l’intreccio tra politiche passive e politiche attive del lavoro.

Venendo all’esame del quadro normativo nazionale, penso in primo luogo al Fondo Nuove Competenze, istituito da uno dei decreti-legge estivi emanati dal Governo italiano e convertito, con modifiche ed integrazioni, dalla legge n. 17 luglio 2020, n. 77.

E non posso, non richiamare le misure di politica attiva del lavoro previste dalla recente legge di Bilancio. Il sintetico panorama descritto rinnova ed amplia “la cassetta degli attrezzi” di chi opera nel campo delle politiche del lavoro e non si rassegna al mero ricorso agli ammortizzatori sociali.  

Grazie alle risorse di SURE è possibile, ad esempio, immaginare di potenziare gli interventi di cassa integrazione mentre grazie al Fondo nuove competenze, in abbinamento con l’intervento dei Fondi interprofessionali, è possibile irrobustire l’offerta di formazione continua per i lavoratori temporaneamente eccedenti, sia in vista di un reinserimento più qualificato nell’azienda di provenienza, sia (come vedremo) in vista di una ricollocazione all’esterno. In sintesi, possiamo dunque registrare con favore che i più recenti interventi in materia, sia sul piano comunitario che su quello nazionale, non si limitano a predisporre le tradizionali misure di politica passiva ma promuovono il loro abbinamento con interventi di politica attiva. 

2. Il Fondo SURE 

Il Fondo SURE (SURE è l’acronimo di Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) è finalizzato, come lascia intendere il nome, al “sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione derivanti dall’emergenza provocata dalla pandemia di coronavirus”. 

Tramite questo Fondo la Commissione prevede di concedere “assistenza finanziaria per un importo fino a 100 miliardi di EUR in forma di prestiti agli Stati membri colpiti dalla pandemia”. Queste risorse saranno utilizzabili dai singoli Stati per coprire i costi direttamente connessi all'istituzione (ove il Paese fosse al momento sprovvisto di strumenti di questo tipo) o all'estensione (qualora misure simili fossero già presenti) di regimi nazionali di riduzione dell'orario lavorativo e di altre misure analoghe riguardanti i lavoratori autonomi”.  

Sure ha una finalità precisa ed invero originale nel panorama della strategia europea a sostegno dell’occupazione: esso è finalizzato a consentire il “finanziamento dei regimi di riduzione dell'orario lavorativo mirati ad attenuare gli effetti socio-economici negativi causati dalla pandemia di Covid 19”.

Siamo, dunque, in presenza di misure che non sembrano prefigurare sostegni al reddito in caso di disoccupazione ma sostegni al reddito per prevenire la disoccupazione, nell’intento di evitare, per quanto possibile, licenziamenti “per ragioni economiche”. E’ lo schema di intervento che noi italiani conosciamo bene, avendo da decenni esperienza di uno strumento che persegue proprio queste finalità: la cassa integrazione guadagni, istituto che, come è noto, consente all’impresa, pur in presenza di una eccedenza di manodopera accertata, di scegliere, in via temporanea, la sospensione del rapporto di lavoro al posto della cessazione del rapporto.  

Questo schema, basato sulla ruduzione dell’orario di lavoro con un sussidio dello Stato ad integrare la retribuzione perduta dal lavoratore, è ormai presente, pur con regole variegate, in diversi Paesi europei.  

Nel decennio scorso infatti importanti Paesi hanno adottato strumenti simili, anche se non identici, alla nostra Cassa integrazione guadagni. Ricordo, per tutti, il “Kurzarbeit” tedesco, gli istituti “Chomage partiel” ed “ARME” in Francia e l’Expediente de Regulation Temporal de empleo (ERTE) spagnolo, introdotti negli ultimi anni ed ora fortemente valorizzati dai rispettivi Governi per contrastare la crisi da COVID . Si noti però una differenza rispetto all’esperienza italiana: nei Paesi sopra citati vi è la tendenza ad abbinare strutturalmente il sostegno al reddito alle poltiche attive. 

3. Il programma REACT-EU 

Il Parlamento europeo ha approvato anche REACT-EU, un pacchetto da 47,5 miliardi di euro per contribuire a mitigare gli effetti immediati della crisi di COVID-19 nelle regioni dell'UE; l’intento è quello di contribuire a una “ripresa verde, digitale e resiliente” dell'economia europea aggiungendo nuove risorse supplementari ai programmi esistenti della politica di coesione. Si vuole così sostenere la ripresa economica e sociale, pur nel contesto della pandemia, affinché possa proseguire senza difficoltà e senza interruzioni, mantenendo ferma la prospettiva di coesione regionale europea. REACT-EU è dunque un'iniziativa che prosegue ed estende la risposta dell'UE alla crisi del coronavirus e le misure per il superamento degli effetti della crisi.

Gli aiuti saranno erogati attraverso i Fondi strutturali dell'UE. Più precisamente i Paesi UE potranno destinare parte delle risorse al Fondo sociale europeo, al Fondo per gli aiuti europei agli indigenti (FEAD), all'Iniziativa a favore dell'occupazione giovanile e ai programmi transfrontalieri (Interreg). Gli investimenti dovranno essere concentrati sui settori più colpiti dalle ripercussioni economiche della pandemia. 

Un pregio di REACT-EU è la sua notevole flessibilità: i singoli Paesi possono variare in corso d’opera la destinazione tra i diversi Fondi strutturali. 

All’Italia sono stati assegnati 13,5 miliardi. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella versione del 12 gennaio 2021 ripartisce le risorse su sette aree e riserva al SUD i due terzi dei fondi.

La gran parte delle risorse è destinata ad incentivi alle assunzioni da parte di imprese che hanno sede nel Mezzogiorno (circa 4,5 miliardi).  

Circa un miliardo e mezzo è destinato al finanziamento del Fondo nuove competenze e ad altre politiche attive, con una riserva del 75% per il Mezzogiorno.

Le risorse residue sono destinate a promuovere la transizione del sistema produttivo a processi sostenibili e green, al rafforzamento del sistema sanitario e dell’istruzione scolastica ed universitaria.

4. Recenti innovazioni ad opera della legislazione nazionale.

4.1 Il Fondo Nuove Competenze

Nel panorama delle misure introdotte a contrasto dell’emergenza epidemiologica e della conseguente crisi economica, si distingue, per le finalità non strettamente contingenti, il “Fondo nuove competenze” istituito dall’art. 88 del d. l. n. 34/2020 conv. dalla legge n. 77/2020 (v. allegato 1) e incrementato dall’art. 24 del d. l. 14 agosto 2020, n. 104 conv. dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126. 

Il “Fondo nuove competenze” interviene a copertura degli oneri sostenuti dalle imprese e “relativi alle ore di formazione dei dipendenti, comprensivi dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali”.  

Esso solleva quindi le aziende dal costo del lavoro dei lavoratori posti in formazione ed offre un apprezzabile sostegno alla formazione professionale dei lavoratori anche se non finanzia le attività formative. Queste ultime possono invece essere finanziate dai Fondi interprofessionali o dalle Regioni.

E’ in ogni caso uno strumento che si colloca in quel filone di pensiero che vede la formazione quale principale strumento di protezione dei lavoratori dal rischio della disoccupazione e, allo stesso tempo, strumento chiave per le imprese per affrontare adeguatamente le sfide dei mercati.

Il Fondo Nuove Competenze, istituito con questo scopo, si presenta dunque non solo quale misura alternativa ai licenziamenti (già di per sé buona cosa) ma anche alla mera collocazione dei lavoratori in cassa integrazione; esso concorre infatti ad aprire ad una diversa prospettiva per affrontare le eccedenze di personale: persegue infatti l’aggiornamento, la qualificazione o la riqualificazione dei lavoratori.

Con scelta felice, il legislatore valorizza il ruolo delle parti sociali. Il Fondo infatti opera solo se sono stati sottoscritti accordi aziendali o territoriali da parte di “associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operative in azienda ai sensi della normativa e degli accordi interconfederali vigenti” (con formula che richiama l’art. 51 del d. lgs. n. 81/2015). Agli Accordi collettivi è demandata l’individuazione dei fabbisogni di nuove o maggiori competenze in ragione dell’introduzione di innovazioni organizzative, tecnologiche, di processo, di prodotto o di servizi in risposta alle mutate esigenze produttive dell’impresa.

I “criteri e le modalità di applicazione della nuova misura e di utilizzo delle risorse” sono demandati ad un Decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze; ed è per l’appunto in questo provvedimento che possiamo trovare indicazioni più puntuali ed anche qualche sorpresa. In particolare merita di essere sottolineato l’art. 1 del D.M. che, con scelta condivisibile, “reinterpreta” le finalità del Fondo: le attività formative non sono orientate esclusivamente a migliorare le competenze utili all’impresa promotrice (come sembra indicare il primo comma dell’art. 88 della legge) ma possono tendere anche ad “innalzare il livello del capitale umano nel mercato del lavoro” e ad “offrire ai lavoratori competenze e strumenti utili per adattarsi alle nuove condizioni del mercato del lavoro”. Si apre in tal modo la prospettiva di un utilizzo dei percorsi formativi anche per guidare la ricollocazione sul mercato di lavoratori eccedenti.

Quanto ai soggetti che possono erogare la formazione, in questa sede è opportuno notare che anche le imprese, qualora ciò sia previsto dall’accordo sindacale e dimostrino di possedere i requisiti tecnici, fisici e professionali di capacità formativa, possono svolgere il ruolo di soggetto erogatore.

Il finanziamento da parte del Fondo segue un percorso a tappe: è autorizzato da ANPAL che valuta i progetti “sentita la Regione interessata” seguendo il criterio cronologico di presentazione; se il progetto è approvato, il contributo viene erogato dall’INPS mediante il meccanismo dello sgravio contributivo.

Per quanto riguarda il finanziamento delle attività formative il legislatore incoraggia esplicitamente l’intervento congiunto del Fondo Nuove Competenze e dei Fondi interprofessionali (oltre che dei P.O.R. delle Regioni) . 

4.2 Le misure di politica attiva del lavoro nella legge di Bilancio per il 2021. Accanto a norme dedicate ad assicurare la prosecuzione di sostegni al reddito, con riferimento particolare agli interventi di cig in deroga, sono presenti nella legge di Bilancio per il 2021 interessanti misure di politica attiva del lavoro, con una dotazione complessiva di 500 milioni:

 

  • in primo luogo, accedendo a reiterate richieste delle parti sociali, è prevista la riattivazione nel 2021 (a carico del Programma REACT EU) dell’Assegno di ricollocazione per i disoccupati beneficiari da almeno 4 mesi della NASPI, oltre che per alcune categorie di beneficiari della CIGS (invero per un verso riconfermando la concorrenza tra centri per l’impiego e soggetti accreditati e, per altro verso, con qualche revisione delle modalità operative di erogazione dei servizi rispetto alle precedenti deliberazioni ANPAL in materia, sottolineando in particolare la centralità da assegnare alla formazione professionale);
  • inoltre l’attivazione di un programma nazionale denominato GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), anch’esso posto a carico del Programma REACT-EU, che, a quanto è dato capire, subentrerà a partire dal 2022 all’Assegno di ricollocazione; con GOL il Governo si propone di infatti di rendere effettivamente disponibili i servizi di assistenza intensiva alla ricerca di lavoro rivolti però a tutti i lavoratori disoccupati impegnati dal patto di servizio di cui all’art. 20 del d. lgs. N. 150/2015 (seguendo l’iter procedurale ormai diffuso in tutta Europa: convocazione del disoccupato presso il CPI, sua profilazione, sottoscrizione del patto di servizio, partecipazione del lavoratore alle attività concordate).

5. Conclusioni

Dall’Unione europea viene l’ennesima sollecitazione a modernizzare il nostro sistema di servizi per l’impiego, politiche attive e formazione professionale. 

Questi richiami sono accompagnati da significative risorse che rendono meno arduo, almeno sulla carta, il raggiungimento degli obiettivi. 

Rimangono però alcune questioni aperte:

  • l’assetto istituzionale del sistema italiano di politica del lavoro permane regolato da norme costituzionali che inducono più al conflitto che alla cooperazione tra Stato e Regioni;
  • l’organizzazione del sistema è gracile e questo limite può essere superato solo dalla piena attuazione del piano di potenziamento dei Centri per l’impiego e dal coinvolgimento dei soggetti accreditati (seguendo il modello tracciato dall’Assegno di ricollocazione di cui all’art. 23 del d. lgs. N. 150/2015).

Prof. Pier Antonio Varesi – Ordinario di Diritto del lavoro- Università Cattolica S.C.