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Corte Costituzionale: pensione di reversibilità, il figlio nato fuori dal matrimonio è equiparabile a quello orfano


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Con la sentenza n. 100 del 19.04.2022, la Corte Costituzionale esorta il legislatore ad apportare una modifica alla disciplina prevista in materia di reversibilità in favore dei figli nati fuori dal matrimonio, equiparando detta situazione a quella dei minori che abbiano perduto entrambi i genitori, con conseguente riconoscimento della pensione nella misura del 70%.

Il caso affrontato

All’esito del riconoscimento della pensione di reversibilità del padre in favore del figlio nato da una relazione extraconiugale nella misura del 20%, la madre del minore ricorre giudizialmente al fine di ottenere la rideterminazione in melius della quota spettante al bambino.
La Corte dei Conti sezione giurisdizionale per il Lazio, adita in merito, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, secondo comma, della L. 903/1965, nella parte in cui in favore del figlio minorenne che sia nato da due persone non unite da vincolo coniugale prevede l’attribuzione di una quota della pensione di riversibilità (20%) identica a quella del figlio nato in costanza di matrimonio (che concorre per la pensione insieme all’altro genitore superstite), anziché di una maggior quota (70%) come quella spettante al minore che abbia perduto entrambi i genitori.

La sentenza

La Corte Costituzionale rileva, preliminarmente, che – ai fini dell’ottenimento della pensione di reversibilità – la condizione del figlio nato fuori dal matrimonio è comparabile a quella del figlio orfano di entrambi i genitori.

Secondo la sentenza, infatti, è lesiva degli artt. 3 e 30 della costituzione la norma che prevede che:
- da un lato, il figlio nato all’interno di un matrimonio possa beneficiare direttamente della quota di pensione pari al 20% a lui spettante e, indirettamente, della quota del 50% spettante al coniuge superstite e genitore dello stesso;
- dall’altro lato, il figlio nato fuori dal matrimonio possa beneficiare solo della quota del 20% a lui riconosciuta, senza poter usufruire, neanche in modo indiretto, di quell’assistenza proveniente dall’altro genitore superstite (al quale non spetta alcuna quota, poiché non coniugato).

Per i Giudici, tuttavia, non è possibile una rideterminazione diretta e autonoma delle quote, posto che ciò integrerebbe un intervento manipolativo e, come tale, invasivo dell’ambito di discrezionalità riservata al legislatore.

Su tali presupposti, la Consulta dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, segnalando tuttavia la necessità di un tempestivo intervento del legislatore, volto a disciplinare l’istituto della reversibilità nel rispetto del principio del vincolo di solidarietà familiare.

A cura di Fieldfisher