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Legge di bilancio 2021: modifiche al contratto di espansione


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1.Il contratto di espansione nella regolamentazione antecedente la legge di bilancio

Disciplinato dall'art. 41 del d.lgs. n. 148/2015, il contratto di espansione (cde) è istituto che ha raccolto diffusi consensi in ragione dell'insieme delle esigenze aziendali a cui è in grado di dare una risposta.

Non finalizzato ad affrontare situazioni di vera e propria crisi aziendale, il cde è destinato piuttosto a fronteggiare processi di cambiamento delle aziende, come evidente fin dall'incipit dell'art. 41 che colloca tale contratto "nell'ambito di processi di reindustrializzazione e riorganizzazione delle imprese ... che comportano, in tutto o in parte, una struttura/e modifica dei processi aziendali finalizzati al progresso e allo sviluppo tecnologico delle attività ...".

E' evidente che processi del genere non solo sono già in atto ma sono anche incentivati in funzione della rivoluzione green e della trasformazione digitale, come è evidente che tutto ciò ha riflessi sul personale delle aziende.

L'interesse per il cde è legato proprio al fatto che affronta con varietà di soluzioni le ricadute del cambiamento sul personale, varietà che a dire il vero segna anche la particolare complessità del cde.

Riqualificazione del personale già occupato con un sostegno pubblico legato alla possibilità di utilizzare le integrazioni salariali straordinarie, assunzioni di giovani per acquisire "nuove professionalità", incentivo all'esodo delle persone più vicine alla pensione: sono tutti aggiustamenti valorizzati con lo scopo di assicurare una adeguatezza qualitativa, prima ancora che quantitativa, del capitale umano rispetto alle profonde innovazioni in atto e comunque auspicate.

 

2. L'art. 1, comma 349, della legge di bilancio 2021: un anno in più e un campo di applicazione più inclusivo

Il comma 349 modifica vari passaggi della preesistente disciplina legislativa del cde, seguendo uno schema unitario.

Tutte le innovazioni introdotte sono inserite nell'art. 41 del d.lgs. n. 148/2015, che continua a rappresentare la fonte generale di regolazione del contratto di espansione con contenuti - ormai - che derivano ampiamente anche dalla legge di bilancio.

Il cde è stato fin dall'inizio concepito come uno strumento da sperimentare e, peraltro, in un arco temporale ristretto e, in particolare, limitato agli anni 2019 e 2020.

La legge di bilancio arricchisce l' art. 41 con un comma 1-bis e questo estende la sperimentazione a tutto il 2021 e, peraltro, con una speciale disciplina applicabile nel corso del 2021.

Il cde, introdotto in via sperimentale, fin dall’inizio è stato riservato solo ad alcune imprese: quelle con un organico superiore a 1000 unità lavorative.

Limite che, quanto si è pensato ad adeguamenti della disciplina inizialmente dettata per il cde, è stato il primo ad essere considerato meritevole di revisione a favore dell'ampliamento del suo campo di applicazione.

Ebbene, la legge di bilancio dà seguito a quanto diffusamente pensato, ma con notevole cautela.

In virtù del comma 1-bis aggiunto all'art.41, per il 2021 possono accedere al cde le imprese con organico non inferiore a 500 unità lavorative.

Fin qui le innovazioni introdotte appaiono di facile comprensione.

Altre appaiono decisamente problematiche.

In particolare, il comma 1-bis evoca anche la soglia minima di 250 unità lavorative, “calcolate complessivamente nelle ipotesi di aggregazione stabile di imprese con un’unica finalità produttiva o di servizio”.

Già l’individuazione di questa innovativa fattispecie - l’aggregazione stabile di imprese - sarà verosimilmente fonte di incertezze nella pratica.

La nuova fattispecie, sempre nel comma 1-bis, è considerata “limitatamente agli effetti del comma 5-bis”. Previsione, questa, che fa emergere come un problema l’individuazione dei destinatari della complessiva regolamentazione legislativa - vecchia e nuova - del cde.

 

2.1. Le misure di sostegno all’esodo; l’indennità a carico dei datori di lavoro

La legge di bilancio è concentrata sulla parte della disciplina del cde riguardante l’incentivo all’esodo.

Il comma 5 dell’art. 41 - preesistente e non modificato - tratta della possibilità che lavoratori, distanti non più di 60 mesi dalla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia o alla pensione anticipata, non si oppongano al licenziamento collettivo, venendo a fruire di una indennità a carico del datore di lavoro “comprensiva della NASPI” e commisurata al trattamento pensionistico lordo calcolato considerando il momento di cessazione del rapporto di lavoro.

E’ ancora il comma 5 a prevedere che, qualora la pensione che il lavoratore può maturare per prima è la pensione anticipata e non quella di vecchiaia, il datore di lavoro, in attuazione del cde, dovrà versare anche la contribuzione necessaria per la maturazione del diritto, escludendo i periodi coperti dalla contribuzione figurativa coperti dalla NASPI (con la circolare n. 16/2019, il Ministero del lavoro ha ribadito che le cessazioni dei rapporti di lavoro avvengono tecnicamente per il tramite di licenziamenti collettivi che comportano per I lavoratori interessati il diritto alla NASPI).

L’innovazione apportata dalla legge di bilancio, per gli aspetti che stiamo considerando, si concretizza nell’aggiunta del comma 5-bis all’art. 41.

La prima parte del nuovo comma ricalca, in linea di massima, quanto previsto dal comma 5, ma con alcune differenze.

Il comma 5, come si è già visto, ai fini dell’accompagnamento alla pensione, fa riferimento al momento della maturazione del diritto; il comma 5-bis fa riferimento al momento della “prima decorrenza della pensione”.

A stregua del comma 5-bis possono essere coinvolti nell’esodo anticipato i lavoratori per il quali nei successivi 60 mesi si colloca la maturazione del diritto e anche la “finestra” trimestrale di spostamento della decorrenza del trattamento pensionistico (art. 15 d.l. n. 4/2019).

Questo fa percepire una differenza fra i due commi, anche se la predetta la circolare ministeriale induce a ridimensionarla.

Secondo la circolare, infatti, anche in base al comma 5 “nel calcolo dei cinque anni, nel caso di pensione anticipata, dovrà essere conteggiata anche la finestra di tre mesi introdotta dall’art. 15 del decreto-legge n.4/2019”.

Una ulteriore diversità di formulazione dei due commi si ritrova nei passaggi dedicati alla indennità a carico degli ex datori di lavoro, fermo restando che per ambedue i commi l'indennità è calcolata dall'lnps secondo le regole pensionistiche.

Il nuovo comma, in particolare, stabilisce che l'indennità è ridotta di un importo equivalente alla somma delle prestazioni NASPI "per l'intero periodo di spettanza teorica della NASpi al lavoratore".

Di conseguenza, ricordando che la durata massima della NASPI non può superare la metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni, si dovrà:
- individuare il periodo massimo di spettanza della prestazione;
- calcolare la somma fruibile per l'intero periodo a titolo di NASPI.

Una volta effettuata questa operazione, l'importo che ne deriva potrà essere dedotto dall'indennità dovuta dal datore di lavoro.

Per quanto afferma il comma 5-bis, sembra che l'importo complessivo della NASPI possa essere impiegato, a riduzione dell'indennità gravante sull'ex datore di lavoro, senza dover attendere la corresponsione delle singole mensilità di NASPI.

Ciò con riflessi convenienti per i datori di lavoro in particolare in casi in cui, rispetto al momento di maturazione della pensione, il periodo di anticipo dell'uscita dall'azienda sia inferiore al periodo di teorica spettanza della NASPI.

Condividendo questa interpretazione, la diversità rispetto a quanto previsto dal comma 5 risulta sostanziale.

Quest'ultimo, infatti, consente al datore di lavoro di limitarsi ad integrare la NASPI fino a raggiungere la misura della indennità calcolata con le regole pensionistiche al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma ciò solo di mese in mese con proiezione nel periodo di durata della NASPI stessa.

La differenza fra i due diversi meccanismi è verosimilmente rilevante anche a proposito della riduzione applicata "a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione" della NASPI (art. 4 d.lgs. n.22/2015).

Il meccanismo di cui al comma 5 vi è naturalmente esposto; il meccanismo di cui al comma 5-bis, almeno parzialmente, dovrebbe sfuggirvi.

 

2.2. Gli oneri contributivi

Il comma 5-bis, considerando gli oneri contributivi gravanti sui datori di lavoro, segue lo stesso schema illustrato nel precedente paragrafo.

Avendo all'evidenza presente il caso in cui è in gioco la maturazione della pensione anticipata e, quindi, il pagamento di contributi previdenziali da parte dell'ex datore di lavoro, il nuovo comma prevede "la somma della contribuzione figurativa" inerente alla NASPI e la detrazione della stessa dai "contributi utili al conseguimento del diritto alla pensione anticipata".

Per le imprese o gruppi di imprese con un organico superiore a 1000 unità lavorative, lo "sgravio" contributivo può essere maggiore.

Ove siano attuati "piani di riorganizzazione o di ristrutturazione di particolare rilevanza strategica, in linea con i programmi europei ...” e siano effettuate assunzioni di un lavoratore per ogni tre che accedono all'esodo, la riduzione degli oneri contributivi legati all'accompagnamento alla pensione anticipata sarà incrementata: il sottraendo dai contributi a carico del datore di lavoro è costituito da ulteriori 12 mesi di contribuzione figurativa calcolata sulla base dell'ultima mensilità di spettanza teorica della NASPI.

La portata del riferimento alla "particolare rilevanza strategica" dei piani sarà da chiarire in sede applicativa.

Da subito può prospettarsi che il riferimento a "gruppi di imprese" consente di considerare destinatarie dell'incremento della agevolazione contributiva anche imprese che, da sole, non raggiungono le 1000 unità.

Per come è scritta la nuova normativa, può, inoltre, sostenersi che il rapporto fra assunzioni ed esodi rilevi solamente ai fini dell'incremento della riduzione degli oneri contributivi.

 

2.3. La domanda all'lnps; anche la fideiussione ...

Il nuovo comma 5-bis ricalca, in alcuni passaggi, quanto già previsto a proposito della cosiddetta iso-pensione dall' art. 4 della I. n. 92/ 2012.

Il datore di lavoro deve presentare domanda all'lnps perché il cde possa avere attuazione per quanto riguarda l'indennità spettante ai lavoratori che accedono all'esodo incentivato.

Come ugualmente è stabilito per la iso-pensione, la domanda deve essere accompagnata da una garanzia bancaria a salvaguardia dell'adempimento degli obblighi su di lui gravanti. Mensilmente, inoltre, lo stesso datore deve versare all'lnps la provvista per l'indennità e la contribuzione figurativa.

Il tutto, si può aggiungere, tenendo conto delle riduzioni previste sia riguardo alla indennità che alla contribuzione e fermo restando che la contribuzione non sarà dovuta ove si raggiunga per prima la pensione di vecchiaia.

Ispirandosi ancora alla disciplina della iso-pensione, la nuova normativa precisa che, ove il datore di lavoro non assicuri la provvista mensile, l'lnps non erogherà le indennità a favore dei lavoratori.

Il che, fra l'altro, consente di precisare l'immagine di questa indennità: calcolata secondo le regole pensionistiche con riferimento all'anzianità al momento della cessazione del rapporto di lavoro, è da richiedere all'lnps e dall'lnps è erogata.

Una sorta, dunque, di pre-pensionamento pagato da privati e amministrativamente gestito dall'lnps.

 

2.4. La chiamata in campo dei fondi di solidarietà

La possibilità che l'indennità a favore dei lavoratori interessati dall'esodo possa essere riconosciuta per il tramite dei fondi di solidarietà bilaterali, già prevista per le indennità di cui al comma 5, è ora estesa anche alle indennità di cui al comma 5-bis, in ambedue i casi senza l'obbligo di modificare gli statuti dei fondi.

 

2.5. La formazione e la riqualificazione professionale

Altra e particolarmente rilevante innovazione riguarda il sostegno alla formazione e riqualificazione dei lavoratori che rimangono in azienda, con la possibilità di avvalersi delle integrazioni salariali straordinarie.

Fin dall'inizio l'art. 41 ha identificato tali lavoratori individuandoli nei "lavoratori che non si trovano nella condizione di beneficiare della prestazione prevista nel comma 5" e, quindi, nei lavoratori non in grado di acquisire il diritto pensionistico nel quinquennio.

Ora, per espressa previsione della legge di bilancio, possono essere interessati al binomio partecipazione alle attività formative/fruizione delle integrazioni salariali anche i lavoratori non in condizione di beneficiare della prestazione di cui al comma 5-bis.

Anche in coerenza con quest'ultima previsione, la legge di bilancio amplia le risorse volte a finanziare le speciali integrazioni salariali: 31, 8 milioni per il 2020, 101 milioni per 2021, 102 milioni 2022.

 

3. Le imprese destinatarie

Dopo aver analizzato le innovazioni introdotte dalla nuova normativa, si può tornare con più elementi sulla questione dei destinatari dell'art. 41 del d.lgs. n. 148/2015 nella più ampia formulazione ora vigente.

A tal fine, è utile considerare i destinatari del cde distinguendoli per dimensione occupazionale stante che, come si è visto, all'iniziale riferimento alle imprese con un organico superiore a 1000 unità lavorative sono stati aggiunti i riferimenti alle imprese con un organico con almeno 500 e 250 unità lavorative nonché ai gruppi di imprese superiori a 1000 unità.

Al riguardo, pensando a cde stipulati nel 2021, si ha modo di osservare quanto segue:

a) lmprese con un organico superiore a 1000
Queste imprese sono destinatarie dell'intera disciplina del cde. Ad esse, alle condizioni previste, si applica l'incremento della agevolazione contributiva.

b) Gruppi con un organico superiore a 1000
A questi si riferisce il comma 5-bis ai fini dell'incremento della agevolazione contributiva.
Perché un'impresa possa avvalersene, si deve trattare di una impresa abilitata ad accedere al cde.
Si può, pertanto, prospettare la seguente interpretazione: possono fruire dell'incremento anche le imprese che, pur non avendo 1000 dipendenti (vedi dopo), sono legittimate ad accedere al cde e, al tempo stesso, appartengono ad un gruppo che complessivamente occupa più di 1000 unità lavorative.

c) Imprese con organico non inferiore a 500 unità ma non superiore a 1000
Queste imprese fruiscono a tutti gli effetti dell'art. 41, senza avere la possibilità di fruire dell'incremento dell'incentivo contributivo. Ove si condivida l'interpretazione sub b), anche queste imprese possono fruire del predetto incremento qualora appartengono ad un gruppo che supera nel complesso 1000 unità.

d) Imprese con un organico non inferiore a 250 unità ma non superiore a 500
A proposito di queste imprese, si incontrano le maggiori difficoltà interpretative.
Il passaggio che ne è fonte è quello presente nel comma 1-bis, che si è già richiamato: le imprese con un organico non inferiore a 250 unità sono sì considerate ma "limitatamente agli effetti di cui al comma 5-bis". Ne può derivare la conclusione secondo cui questa ulteriore fascia di imprese sia legittimata ad accedere solo a parte della disciplina del cde, ossia a quella trattata direttamente dal comma 5-bis per quanto concerne l'accompagnamento alla pensione (anche per il tramite di un fondo di solidarietà).
Per queste imprese si avrebbe, di conseguenza, una specie di cde dimidiato.

 

4. Qualche considerazione conclusiva

Le innovazioni che si sono commentate sono frutto di una legge di bilancio, ossia di una tipologia di leggi a cui non compete la realizzazione di riforme ordinamentali.

E’ già molto, pertanto, quanto la legge del 2021 prevede a proposito del cde.

La legge lascia sul campo dubbi interpretativi ai quali verosimilmente si tenterà di dare risposte a livello Istituzionale e di queste di dovrà tener conto.

Le imprese con livelli occupazionali maggiori fra quelli considerati fruiscono di una disciplina sostanzalmente al riparo da tali dubbi, che fa anche registrare qualche minimo miglioramento.

Resta che anche il cde si avvantaggerebbe di riforme che facciano avanzare in generale la sinergia fra politiche attive del lavoro e politiche passive e che in paticolare, nell’area degli ammortizzatori sociali, prestino la dovuta attenzione al miglioramento, in termini di misura e durata, della disciplina della NASPI come trattamento di disoccupazione involontaria di applicazione generale.

Prof. Avv. Tiziano Treu & Prof. Avv. Angelo Pandolfo - Fieldfisher