Stampa

Salario minimo legale – Rischi e opportunità nei DDL


contratto da firmare con salario minimo legale
icona

Anche in Italia periodicamente viene rilanciata la proposta di introdurre un salario minimo legale, cioè una soglia minima al di sotto della quale la retribuzione non può scendere. A parlarne per primo, in tempi relativamente recenti, fu Matteo Renzi.

Considerati i trend topic giuslavoristici, il dibattito sul salario minimo legale non è argomento nuovo in Italia e tanto meno in Europa, dove 22 Stati Membri su 28 si sono dotati di un salario minimo legale ( nella UE si va dal minimo dei 235 euro mensili della Bulgaria al massimo dei 1.999 euro del Lussemburgo ). Tra i sei Paesi che ne sono sprovvisti l’Italia è in compagnia di Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia ma la compagine italiana possiede dei tratti distintivi tali da renderla assai particolare rispetto alle altre.

Per il vicepremier e Ministro del Lavoro Di Maio è ormai diventato un provvedimento “ di bandiera “, oltre che l’ennesima occasione di “ confronto “ con gli alleati di governo della Lega. Un argomento che si rivela, come già accaduto in passato, assai delicato visto che coinvolge questioni volutamente irrisolte per decenni che trovano poi una manifestazione distorta nel dumping contrattuale.

Il duplice obbiettivo del disegno di legge si rivela ambizioso: da un lato il salario minimo legale, per garantire a tutte le categorie di lavoratori non coperte da contrattazione collettiva un compenso adeguato alla qualità e quantità del lavoro, dall’altro una riforma dei sindacati che possa rendere le relazioni industriali più moderne ed efficaci anche mediante una revisione della rappresentatività sindacale.

Con il DDL n. 658, di iniziativa della senatrice Nunzia Catalfo, i Cinque Stelle puntano ora ad un'approvazione più rapida possibile del loro disegno di legge sul salario minimo.

La proposta stabilisce una paga oraria minima di 9 euro al lordo degli oneri contributivi e previdenziali. Questo trattamento verrebbe periodicamente adeguato e applicato a tutti i contratti di lavoro subordinato e parasubordinato, compreso le collaborazioni coordinate e continuative. Un primo elemento positivo della proposta del DDL n. 658 è rappresentato dal riconoscimento della contrattazione collettiva svolta da soggetti rappresentativi come luogo principale dove fissare, e periodicamente aggiornare, il salario minimo legale. Altrettanto positivo è il ricorso alla rappresentatività per individuare la retribuzione di riferimento in caso di rischio dumping contrattuale per una pluralità di contratti collettivi applicabili.

Il vero punto delicato della proposta cinque stelle è l’indicazione del salario minimo legale in misura fissa oltre che l’importo di 9 euro lordi considerato eccessivamente alto. Nel 2016, quando montò il dibattito all’interno del Jobs act, si faceva riferimento ad un range di 6,5- 7 euro l'ora, pari al 50-60% del salario mediano delle imprese italiane. Allora si ebbe il timore che un eccessivo aumento del costo del lavoro avrebbe spinto le aziende a ricorrere a licenziamenti, o a sostituire la manodopera con macchinari o, in ultima istanza, a rivalersi sui prezzi finali dei prodotti a danno dei consumatori.

Secondo le stime ISTAT 2019, l’adeguamento al salario minimo legale di 9 euro porterebbe a 2,9 milioni di italiani un incremento medio annuale di circa 1.073 euro pro-capite, con un impatto sul monte salari di 3,2 miliardi di euro. Allo stesso tempo si avrebbe un consistente rialzo dei costi aziendali e un decisivo impatto sulla competitività delle imprese italiane. Con un simile aggravio di costi a carico delle imprese, il rischio della fuga dalla contrattazione collettiva sarebbe solo una delle possibili conseguenze alla quale si andrebbe ad aggiungere l’aumento del lavoro irregolare.

Sul tema va segnalato anche l’attivismo del Partito Democratico che dapprima ha depositato il DDL n. 310 proposto dal senatore Laus a maggio 2018, ormai superato dal DDL n. 1132 presentato dal senatore Nannicini a metà marzo 2019. Questa nuova e più articolata proposta del PD ( che però non ha ritirato ancora la precedente ) interviene non solo sul salario minimo legale, ma anche sulla rappresentanza, sulla rappresentatività e sulla partecipazione.

Nella proposta PD va vista di buon occhio l’assenza dell’indicazione di una cifra fissa del salario minimo legale e il ricorso, in sua sostituzione, ai trattamenti minimi tabellari stabiliti dai CCNL sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Nonostante ciò anche questo testo comprende alcuni profili problematici già riscontrati in precedenza, che suscitano non poca diffidenza da parte dei sindacati. In primis la proposta di istituire un salario minimo di garanzia negli ambiti non coperti da contrattazione finirebbe per agevolare l’uscita dai CCNL, costituendo una possibile alternativa ai minimi retributivi stabiliti dall’autonomia collettiva. In ultima istanza, anche in questo caso, il salario minimo si tradurrebbe in uno strumento per abbassare salari e tutele dei lavoratori con effetti opposti a quelli attesi. Altrettanto discutibile sarebbe la proposta di affidare ad una Commissione paritetica istituita presso il CNEL dei compiti assai delicati, che andrebbero sottratti all’autonomia negoziale.

Qual’ è allora la soluzione auspicabile alla questione salariale ? La verità è che nella ricerca di una possibile soluzione non si può prescindere dalle specificità di ciascun sistema di relazioni industriali. Quello italiano, a differenza di altri paesi europei, garantisce ancora una fortissima copertura dei contratti collettivi. Le quote di lavoratori che le statistiche e gli studi valutano come non coperti dalla contrattazione sono relativamente pochi, il 10-15 per cento della popolazione lavorativa.

La vera questione, in realtà, è rappresentata non tanto da una generica crisi della contrattazione, quanto invece dalla proliferazione contrattuale di contratti stipulati da soggetti scarsamente rappresentativi, in dumping rispetto ai contratti stipulati da soggetti maggiormente rappresentativi. A questo si aggiunga l'aumento della sotto-occupazione, come nel caso delle false cooperative o le false partite IVA, e la piaga del lavoro irregolare che aggravano ulteriormente la situazione.

La strada da percorrere è un'altra ed è rappresentata dall’attuazione dell’efficacia obbligatoria dei contratti collettivi, già prevista dalla Costituzione all’art. 39, ma lasciata inattuata per volontà stessa delle organizzazioni sindacali. L’attribuzione di un valore legale ai trattamenti economici previsti dai CCNL rappresenta una valida soluzione in grado di rafforzare ulteriormente il ruolo dell’autonomia collettiva.

ACDR