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Escluso il regime speciale impatriati per il rapporto associativo sospeso del professionista


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Con il principio di diritto n. 6/2023, l' Agenzia delle Entrate preclude il beneficio del regime agevolativo per gli impatriati al professionista che, una volta rientrato in Italia, presti la propria attività nello stesso studio in cui lavorava prima del trasferimento all’estero, in quanto l’attività rappresenta una prosecuzione del rapporto associativo rimasto sospeso. 

L’Agenzia ricorda innanzitutto la norma introduttiva sul regime speciale sugli impatriati, l' articolo 16, comma 1 del Dlgs n. 147/2015. La norma prevede al suo interno un elenco dei requisiti necessari per poter beneficiare della detassazione del regime speciale :

  • trasferimento della residenza nel territorio dello Stato;
  • residenza all’estero nei due anni precedenti al rientro;
  • impegno a risiedere in Italia almeno per due anni;
  • un’attività lavorativa svolta prevalentemente nel territorio italiano.

Il successivo comma 2 precisa che sono destinatari del beneficio fiscale i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream. 

Inoltre che secondo quanto chiarito dalla prassi (Circ. n. 17/E del 23.05.2017 e Circ. n. 33/E del 28.12.2020), un lavoro assunto dal professionista al rientro in Italia che si pone in ''continuità'' con quello precedente al trasferimento all'estero non è in linea con la “vis attrattiva” prevista dalla norma. 

Tale principio si applica anche nel caso in cui il “rientro” in Italia avviene in esecuzione di un rapporto contrattuale fra lo stesso lavoratore espatriato e l’associazione professionale presso cui lavorava prima del trasferimento, in cui è pattuito che il professionista, trascorsi i due anni all’estero, riprende a svolgere la propria attività presso la medesima struttura associativa. 

In tale ipotesi, infatti, l’Agenzia ritiene che il lavoro del professionista impatriato sia una prosecuzione dell’attività svolta prima del suo trasferimento che fa venir meno quella capacità di attrarre lavoro richiesta dalla norma e di fatto preclude la fruizione del regime di favore.