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Videosorveglianza & Co: facciamo il punto con l’INL


Con la pubblicazione della Circolare n. 5 del 19 febbraio 2018, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), dando ancora una volta prova di voler fruire appieno del potere regolatorio riconosciutogli dal D.lgs. n. 149/2015, è tornato nuovamente sul tema della videosorveglianza e non solo, dettando “indicazioni operative sull’installazione e utilizzazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo ai sensi dell’art. 4 della legge n. 300/1970”.

Vale la pena ricordare, infatti, che dall’inizio del 2017, l’INL è più volte intervenuto sul tema dei controlli a distanza e in particolar modo sul rapporto tra questi e la videosorveglianza, pubblicando:

  • A marzo 2017, un set di moduli tra i quali quello concernente l’istanza di autorizzazione all’installazione di impianti audiovisivi, con espressa previsione di un sistema «a doppia chiave» per cui l’accesso alle registrazioni sarebbe stato possibile con una chiave, fisica o logica, detenuta da un rappresentante dei lavoratori e da un rappresentante aziendale (es. due password necessarie per accedere alle immagini, generate separatamente dai suddetti soggetti);
  • La Nota n. 299 del 28 novembre 2017 con la quale ha stabilito che, in caso di installazione di videocamere o fotocamere che si attivino esclusivamente con l’impianto di allarme inserito, non sussiste alcuna possibilità di controllo preterintenzionale sul personale e pertanto non vi sono motivi ostativi al rilascio del provvedimento autorizzativo in “tempi assolutamente rapidi stante l’inesistenza di qualunque valutazione istruttoria”. 

Tale breve excursus appare utile in quanto, a parere di chi scrive, si è assistito ad un “ammorbidimento” progressivo delle posizioni dell’INL, fino alla Circolare n. 5 del 19 febbraio 2018 che ha, da un lato, alleggerito gli adempimenti amministrativo-burocratici, sia del datore di lavoro che dell’INL mentre, dall’altro e quasi ragionando in ottica di accountability - principio alla base del nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali n. 7/2016 (GDPR) – richiede uno sforzo maggiore al titolare dell’impianto, nella giustificazione a supporto della installazione.

In estrema sintesi, le semplificazioni della procedura descritte nel provvedimento de quo sono di seguito enunciati.

  1. Non è più necessario specificare il posizionamento predeterminato e l’esatto numero delle telecamere da installare, facendo venir meno sostanzialmente l’obbligo di dover allegare le planimetrie e soprattutto di dover tornare dinanzi all’INL (qualora non sia stato possibile concludere un accordo sindacale) ogniqualvolta si fosse resa necessaria una modifica all’impianto di videosorveglianza.
  2. Ribadendo quanto già previsto nella Nota n. 299 del 28 novembre 2017, viene assorbita, come in re ipsa, la giustificazione attinente alla protezione del patrimonio aziendale nell’installazione dell’impianto di videosorveglianza collegata ad impianti antifurto che si attiva solo quando in azienda non sono presenti i lavoratori.
  3. Viene ammesso l’accesso da postazione remota alle immagini “in tempo reale”, in casi eccezionali debitamente motivati, mentre è possibile registrare, visualizzare e mantenere le informazioni video e audio in qualsiasi punto della rete opportunatamente dimensionata.
  4. Viene abbandonato il sistema della doppia chiave fisica e logica per l’accesso alle immagini in favore della conservazione dei “log di accesso” per almeno sei mesi. Sul punto, oltre al facile parallelo con la identica previsione a quella dell’obbligo di conservazione dei log degli amministratori di sistema prevista dal relativo provvedimento del 27 novembre 2008 del Garante per la protezione dei dati personali, è altresì apprezzabile l’eliminazione della doppia chiave che aveva generato non poche polemiche proprio in relazione all’eccesso del potere dispositivo dell’INL, oltre al sensibile appesantimento della procedura organizzativa aziendale.
  5. Viene limitato il perimetro spaziale di applicazione degli obblighi in materia di videosorveglianza agli impianti insistenti su aree esterne in cui si svolga – ancorché saltuariamente – l’attività lavorativa (es. zone di carico e scarico), mentre vengono escluse le zone esterne “estranee alle pertinenze della ditta” come il suolo pubblico antistante alle zone di ingresso. È intuibile che questa differenziazione pone, solo a leggerla, una serie di dubbi interpretativi che con ogni probabilità genereranno problematiche e dibattiti anche in sede di discussione sindacale. 

In relazione alle finalità che giustificano l’installazione di un sistema di videosorveglianza, a far data dalla riforma dell’art. 4, la più usata e forse – dal tenore letterale della Circolare n. 5/5018 – abusata è quella relativa alla protezione del patrimonio aziendale. Proprio su tale punto, l’INL ha imposto uno sforzo esplicativo in capo al datore di lavoro imponendo la necessità di declinare le ragioni sottese alla tutela per “non vanificare le finalità poste alla base della disciplina normativa”. Da un lato, quindi, appare chiaro che d’ora in avanti la sterile ripetizione della espressione “finalità di tutela del patrimonio aziendale” come fondamento della giustificatezza dell’installazione di un impianto di videosorveglianza non sia più sufficiente, bensì debba essere supportata da elementi – di fatto più che di diritto (es. facile asportabilità di beni di intrinseco valore come gioielli, danaro etc…) – che conferiscano consistenza e legittimazione ad un eventuale controllo preterintenzionale.

A chiusura, sulla questione dei controlli, l’INL si affida completamente a quanto negli anni ha stabilito il Garante della privacy, ribadendo i ben noti concetti di “gradualità” nell’ampiezza e tipologia di monitoraggio (ndr. ancora una volta però viene adottata una terminologia non giuridicamente perfetta… il monitoraggio, in chiave giuslavoristico-privacista è sempre vietato!) e nella conseguente residualità dei controlli più invasivi.

Infine, l’INL affronta en passant la complessa tematica del trattamento dei dati biometrici in costanza del rapporto di lavoro - che avrebbe meritato ben più ampio spazio – chiosando sulla sussunzione dei sistemi di riconoscimento biometrico, installati sulle macchine con lo scopo di impedire il loro utilizzo a personale non autorizzato, nel secondo comma dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori. Per la loro installazione, pertanto, non sarà necessario l’accordo sindacale o il procedimento amministrativo autorizzativo, bensì, e purtroppo l’INL ha dimenticato di precisarlo, occorrerà un’idonea informativa privacy e la descrizione delle modalità di funzionamento anche all’interno della più ampia policy sull’utilizzazione degli strumenti di lavoro.

Avv. PhD Immacolata Maria Ciarletta