Forme pensionistiche complementari

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Previdenza complementare : Sintesi dell'attuale quadro normativo


fondi pensione

La disciplina della previdenza complementare è stata riformata dal d.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 che, con l’obiettivo dichiarato dalla legge delega n. 243/2004 di “incrementare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari”, ha introdotto importanti novità rispetto alla disciplina previgente (d.lgs. n. 124/1993) soprattutto con riferimento al sistema di finanziamento dei fondi pensione. 

La normativa di base, per una serie di aspetti, rinvia, inoltre, ad ulteriori nuclei normativi fra cui:

a) configurazione dei fondi pensione: vengono in rilievo una serie di disposizioni del codice civile. Si tratta, in relazione alla configurazione dei fondi quali autonomi soggetti giuridici, delle disposizioni di cui al Titolo II del Libro Primo (artt. 12 e ss.) ed altresì dell'art. 2117 nel caso dei fondi «interni» al patrimonio aziendale istituiti da enti previdenziali privatizzati, banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio;

b) regime contributivo del finanziamento dei fondi pensione: il punto di riferimento, esterno al decreto n. 124, è rappresentato dall'art. 9-bis del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla 1. 1° giugno 1991, n. 166 nonché della nuova versione dell'art. 12, 1. n. 153/1969 come definita dall'art. 6 del d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314;

c) rapporti contrattuali con i gestori esterni delle risorse raccolte dai fondi: i nuclei normativi da considerare sono due:

  • convenzioni con gestori diversi dalle imprese di assicurazione: la normativa di riferimento è da individuare nel T.U. sulla intermediazione finanziaria (d.lgs. n. 58/1998);
  • convenzioni con gestori di tipo assicurativo: il punto di riferimento è rappresentato dal d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle assicurazioni private”) con specifico riferimento alla disciplina del ramo VI.

Al di fuori dei rinvii operati direttamente dal decreto n. 252, rilevano ulteriori fonti di disciplina legislativa, quali:

  1. il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, che nel tutelare i lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro detta norme relative all'omesso o insufficiente versamento dei contributi dovuti a forme di previdenza complementare (art. 5);
  2. l'art. 442, secondo comma, c.p.c, che rende applicabili le norme del processo del lavoro alle «controversie relative alla inosservanza degli obblighi di assistenza e di previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi».

Modifiche particolarmente significative all’assetto originario del d.lgs. 252 sono state da ultimo introdotte dal d.lgs. 147/218, attuativo della direttiva (UE) 2016/2341 (IORP II) relativa alle attività ed alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali, in vigore dal 1° febbraio 2019.

2. Il legislatore, all'atto di completare l'ordinamento previdenziale con una dettagliata disciplina della previdenza complementare, ha con chiarezza evidenziato la funzione dei fondi pensione. Già nella legge delega alla base del previgente decreto n. 124 si è finalizzata la previdenza complementare alla integrazione dei trattamenti erogati dal sistema obbligatorio pubblico in modo “da assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale” (art. 3, lett. v della 1. n. 421/1992). Sotto tale profilo, l’art. 1 del d.lgs. n. 252 ha lasciato invariata detta formulazione, già ripetuta quasi letteralmente nell’art. 1 del previgente d.lgs.124 e che la Corte costituzionale ha notevolmente valorizzato.

Difatti, con la sentenza 13/28 luglio 2000 n. 393, la Corte ha evidenziato come la formulazione utilizzata renda evidente la scelta del legislatore di istituire un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, collocando quest’ultima «nel sistema dell'art. 38 Cost.» (c.d. teoria della funzionalizzazione della previdenza complementare). Teoria già prospettata nella sentenza 6/8 settembre 1995, n. 421, con cui la Corte costituzionale, proprio richiamando le citate previsioni della legge delega prima e del d.lgs. 124 poi, sostenendo la collocazione dei fondi pensione «nel sistema dell'art. 38 Cost.», escludendone la natura retributiva e prospettandone al contrario la natura, oltre che la funzione, prettamente previdenziale.

L’art. 1 D.Lgs. 252 è stato integrato dal d.lgs. 147/2018 con il comma 1-bis, che esplicita il divieto per tutte le forme pensionistiche complementari di svolgere attività ulteriori rispetto all’attività di previdenza complementare e a quelle ad esse collegate. Come chiarito dalla Covip con la deliberazione del 29 marzo 2019, la norma ribadisce un principio già contemplato dal nostro ordinamento, quale è quello dell’esclusività dello scopo delle forme pensionistiche complementari, già presente nell’art. 3 del DM 211/1997.

3. L'art. 2 del decreto n. 124 indi¬vidua i destinatari della previdenza complementare nei «lavoratori dipendenti sia privati sia pubblici» compresi i lavoratori assunti sulla base delle tipologie contrattuali previste dal d.lgs. n. 276/2003(oggi parzialmente abrogato e sostituito dal d.lgs. 81/2015), nei «lavoratori autonomi» e nei «liberi professionisti», nei «soci lavoratori di cooperative, anche unitamente ai dipendenti dalle cooperative interessate» nonché nei soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione ad attività familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma alle dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione diretta (si tratta dei soggetti già destinatari del d.lgs. 16 settembre 1996, n. 565).

Nella configurazione originaria della normativa, la previdenza complementare si poneva come un insieme di forme di tutela rivolte esclusivamente a soggetti che vantano uno status professionale. A questa tuttavia si accompagnava una seconda condizione, idonea a selezionare fra i soggetti pur qualificabili come lavoratori (in particolare, autonomi). Di¬fatti, essendo i fondi pensione destinati ad integrare i «trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico», era necessaria la sussistenza di un trattamento di base da integrare perché la previdenza complementare potesse operare. Ne conseguiva che, se una particolare categoria di lavoratori non si poteva collocare per ipotesi nel sistema di previdenza pubblica, si sarebbe restati fuori anche dal sistema di previdenza complementare come regolato dal decreto n. 124.

Stante questa relazione fra l'una e l'altra forma di tutela, la già richiamata 1. n. 335/ 1995, di riforma del complessivo ordinamento pensionistico, ha compiuto un primo passo verso l’incisione sull'area di estensione della previdenza complementare incidendo sul sistema della previdenza pubblica. 

La 1. n. 335, infatti, ha ampliato l'area di applicazione della previdenza pubblica, esten-dendola alle categorie di liberi professionisti ancora prive di tutela previdenziale obbligatoria nonché alle attività di lavoro autonomo di cui al primo comma dell'art.. 49 del TUIR ed altresì alle collaborazioni coordinate e continuative (art. 2, commi 25/32). E, per quello che si diceva, tale estensione ha rileva anche come ampliamento del cam¬po di applicazione della previdenza complementare. Alla generalizzazione della previdenza pubblica è corrisposta la generalizzazione della previdenza complementare nell'ambito del lavoro sia dipendente che autonomo.

L'art. 17 del decreto n. 47 ha poi ampliato il campo di applicazione delle forme di previdenza complementare, estendendolo anche ai soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione ad attività familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma alle dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione diretta (si tratta dei soggetti già destinatari del d.lgs. 16 settembre 1996, n. 565).

Con il decreto 252, l’ambito soggettivo di riferimento è stato ulteriormente ampliato. La normativa, infatti, pur non indicandole espressamente nell’art. 2, lett. d) del decreto n. 252, individua ulteriori categorie di soggetti, non titolari di reddito, come potenziali beneficiari della previdenza complementare: i soggetti fiscalmente a carico (art. 8, comma 5, d.lgs. 252/2005) e i pensionati (art. 8, comma 11, d.lgs. 252/2005).

Una estensione non ben definita, ma potenzialmente ampia, si scorge in altri passaggi legislativi che presuppongono la partecipazione alle forme pensionistiche di “soggetti diversi dai titolari di reddito di lavoro o d’impresa” (art. 8, comma 1, d.lgs. 252) nonché di “soggetti diversi” dai destinatari della previdenza complementare menzionati espressamente (art. 13, comma 12, d.lgs. 252). Con tale espressione, si intende fare riferimento ai soggetti, anche non appartenenti ad alcuna categoria, che possono aderire su base individuale alle forme pensionistiche di cui all’art. 13 d.lgs. 252 (fondi pensione aperti; piani pensionistici individuali).

4. L'istituzione dei fondi è rimessa ad:

  • accordi fra organizzazioni sindacali dei lavoratori e associazioni datoriali (o diverse forme di rappresentanza dei datori di lavoro pubblici);
  • accordi fra organizzazioni sindacali dei lavoratori e singoli datori di lavoro;
  • accordi fra lavoratori dipendenti (in mancanza di accordi sindacali con la parte datoriale);
  • accordi fra lavoratori autonomi;
  • accordi fra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro;
  • accordi fra soggetti destinatari del d.lgs. n. 565/96, promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale.

Si tratta di fonti istitutive delle forme pensionistiche fra loro diverse, che tuttavia presentano la comune caratteristica di coinvolgere una pluralità di soggetti. E, d'altro canto, anche all'ipotesi residuale del regolamento aziendale, previsto quale fonte istitutiva nei casi in cui i «rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali» (art. 3, primo comma, lett. c), del decreto), si accompagna una valenza collettiva. Il regolamento si pone, infatti, come una proposta rivolta all'insieme dei lavoratori facenti parte del gruppo a cui la forma di tutela complementare è indirizzata.

Possono, inoltre, istituire fondi pensione anche : 

  • le "regioni", abilitate altresì a regolare con legge regionale le forme pensionistiche istituite.
  • gli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 103";
  •  i soggetti di cui all'articolo 6, comma 1 [ossia banche, società di gestione del risparmio, imprese di assicurazione] limitatamente ai fondi pensione aperti";
  • i soggetti di cui all'articolo 13 [ossia imprese di assicurazione], limitatamente alle forme pensionistiche complementari individuali".

L'espressione utilizzata dal legislatore - «fonti istitutive» - non deve, tuttavia, trarre in inganno. Se si scorre l'insieme delle disposizioni contenute nel decreto n. 124, si ha modo di verificare agevolmente come le cosiddette fonti istitutive siano chiamate a svolgere un ruolo che va ben al di là dell'avvio dei fondi pensione. Ad esse, infatti, lo stesso decreto assegna il compito di definire aspetti cruciali della vita dei fondi pensione, quali le modalità e la misura della contribuzione, il trasferimento volontario da un fondo pensione all'altro nei termini di cui all'art. 14 decreto n. 252.  

Dall’esame dell’elenco delle fonti istitutive è possibile estrapolare le tipologie di forme pensionistiche complementari previste:

 

  1. i Fondi pensione negoziali o chiusi, che individuano l’area dei destinatari sulla base dell’appartenenza ad un determinato comparto, impresa o gruppo di imprese o ad un determinato territorio (es. regione o provincia autonoma).
  2. i Fondi pensione aperti, istituiti da banche, sgr, imprese di assicurazione. Sono definiti “aperti” perché l’adesione agli stessi non è subordinata all’appartenenza ad una determinata categoria, impresa o territorio, ma è resa possibile all’universo dei destinatari. Proprio in virtù di tale caratteristica, i soggetti privi di redditi di lavoro trovano in tale forma pensionistica una possibile collocazione, acquisito che le altre forme pensionistiche riguardano i destinatari tipici della previdenza complementare. L’adesione ai fondi aperti può avvenire su base collettiva o individuale. Si ha adesione in forma collettiva a un fondo pensione aperto quando la fonte istitutiva della forma pensionistica complementare, invece di decidere di istituire uno specifico fondo pensione negoziale, sceglie uno o più fondi aperti come strumento per la realizzazione dell’obiettivo previdenziale.
  3. le Forme pensionistiche individuali. Sono realizzate attraverso la sottoscrizione di contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale. Naturalmente è possibile aderire a tale forma pensionistica solo su base individuale.
  4. Un’ulteriore tipologia di fondi è costituita dai fondi pensione preesistenti. Si tratta delle forme pensionistiche complementari già istituite alla data del 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della legge delega 23 ottobre 1992 n. 421, poi attuata con il d.lg.124/93) che, in ragione delle caratteristiche peculiari rispetto ai fondi istituiti successivamente, sono state diversamente disciplinate. Con il decreto n. 62 del 10 maggio 2007 sono state emanate le norme di adeguamento dei fondi preesistenti alla disciplina del d.lgs. 252/2005. L’adesione a questa tipologia di fondo avviene su base collettiva e l’ambito dei destinatari è individuato dagli accordi o contratti aziendali o interaziendali.

Infine, a seguito dell’introduzione nell’ambito del d.lgs. n. 252, dell’art. 15-ter ad opera dell’art. 5, d.lgs. n. 28/2007, di recepimento della direttiva 2003/41/Ce (c.d. IORP I), è possibile aderire anche a fondi pensione istituiti presso altri Stati membri dell’UE che abbiano ottenuto, nel Paese di origine, l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività transfrontaliera . La possibilità di raccogliere le adesioni da parte delle forme pensionistiche complementari è limitata alle sole adesioni su base collettiva.

I fondi istituiti negli Stati membri dell’UE possono operare in Italia solo se rispettano le norme vigenti in materia di diritto della sicurezza sociale e del lavoro, di limiti agli investimenti e le regole in tema d’informativa agli iscritti. Agli stessi si applicano, inoltre, le norme previste dal d.lgs. n. 252 in materia di destinatari, adesioni in forma collettiva, finanziamento, prestazioni, permanenza nella forma pensionistica complementare, portabilità.

6. Sin dall'introduzione del d.lgs. 124/1993, il legislatore ha eletto il tfr a fonte di finanziamento dei fondi pensione negoziali. Il d.lgs. 252 conferma il TFR come forma di finanziamento della previdenza complementare, ma ne ampia la portata, rendendo possibile il suo conferimento ad ogni forma pensionistica complementare e, dunque, oltre ai fondi pensione negoziali ed ai fondi pensione aperti cui si aderisca su base collettiva, anche anche ai fondi pensione aperti su base individuale, ai piani pensionistici individuale ed ai fondi preesistenti. Ne deriva una estrema valorizzazione della libertà di adesione alla previdenza complementare, che non si traduce esclusivamente nella libertà di aderire o meno, ma anche nella libertà di scegliere la forma pensionistica cui aderire.

Tale innovazione determina anche il compimento dell'evoluzione normativa volta alla parificazione dei fondi pensione, eliminando le previgenti barriere concorrenziali tese a salvaguardare il ruolo primario dei fondi pensione negoziali. A ben vedere, tuttavia, meccanismi volti a favorire la scelta verso i fondi pensione negoziali sono rimasti. E’ vero, infatti, da un lato che il d.lgs. salta la mediazione della contrattazione collettiva e attribuisce direttamente ai singoli lavoratori la facoltà di aderire ad una forma pensionistica e di trascinare in questa scelta il tfr. Tuttavia, il d.lgs. 252 continua a riconoscere la facoltà della contrattazione collettiva di intervenire nella previdenza complementare e di addossare ai datori di lavoro obblighi contributi aggiuntivi rispetto al TFR. Inoltre, gli accordi possono stabilire la percentuale minima di Tfr maturando da destinare a previdenza complementare. In assenza di tale indicazione il conferimento è totale. La possibilità del conferimento parziale del Tfr è stata introdotta dall’art. 1, comma 38, lett. a), legge 124/2017 L’adesione ad una forma pensionistica tramite il conferimento esplicito del tfr non comporta, ai sensi del co. 10 dell’art. 8, l’obbligo della contribuzione a carico del datore di lavoro.

Ne consegue che, se il lavoratore dipende da un datore di lavoro non vincolato dal contratto collettivo a versare contributi alla forma pensionistica istituita dal contratto, per lo stesso lavoratore è indifferente aderire ad una forma pensionistica piuttosto che ad un’altra. Se, invece, come accade il più delle volte, il datore di lavoro dipende da un datore di lavoro vincolato dal contratto collettivo a versare contributi aggiuntivi, l’adesione del lavoratore alla forma pensionistica di fonte contrattuale è più conveniente come unica scelta che consente di acquisire anche i contributi aggiuntivi, ferma restando la sua libertà di preferire una diversa forma pensionistica portando in essa il tfr.

Con riferimento al tema della portabilità del contributo datoriale, è da rilevare che questa non è negata ma affidata al governo dello stesso contratto collettivo. Il contributo datoriale previsto dal contratto collettivo è portabile presso la forma pensionistica a cui il lavoratore decide di conferire il tfr nei limiti e secondo le modalità previste dal contratti e accordi che il contributo prevedono.

Emerge, dunque, un assetto che non è affatto penalizzante per i fondi di origine contrattuale che possono continuare a fruire – anche in esclusiva – del sistema di finanziamento definito dai contratti collettivi e a porsi come la sede cui conviene conferire il tfr. Inoltre, il finanziamento tramite conferimento del tfr sembra avere un ulteriore risvolto: una volta che il lavoratore ha scelto una forma pensionistica diversa da quella istituita dal contratto collettivo, non risulta precluso il concorso del datore di lavoro al finanziamento tramite una contribuzione a proprio carico. Questo è senz’altro possibile, fermo restando che il lavoratore non può pretenderla rifacendosi all’obbligazione contributiva gravante sul datore di lavoro a stregua del contratto collettivo.

7. La normativa legislativa ha, inoltre, congegnato meccanismi volti a facilitare l’adesione, forzando, ma non superando, la volontarietà. Il d.lgs. 252 stabilisce che, entro sei mesi dalla data di prima assunzione, il lavoratore può conferire una quota o l'intero importo del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare dallo stesso prescelta. Laddove, il lavoratore decida di mantenere il TFR in azienda si configura una duplice possibilità a seconda del limite dimensionale dell'azienda.

Se il datore di lavoro più di 50 addetti, il TFR confluirà nell'apposito Fondo istituito presso l'INPS (c.d. Fondo Tesoreria) e sarà comunque sottratto alla disponibilità dell'azienda che dunque perde il TFR come forma di autofinanziamento. Diversamente, nel caso in cui l'impresa occupi meno di 50 addetti, il TFR rimane in azienda. E' da notare che la scelta verso la previdenza complementare è irreversibile. Mentre la scelta di mantenere il TFR in azienda può essere successivamente revocata con la conseguente facoltà per il lavoratore di conferire il TFR maturando ad una forma pensionistica complementare dallo stesso prescelta. L’adesione alle forme pensionistiche complementari può anche avvenire con modalità tacite.

Laddove il lavoratore non esprima in modo espresso, nel termine di sei mesi dalla prima assunzione, la propria volontà in ordine al conferimento del TFR, quest'ultimo - a decorrere dal mese successivo alla scadenza del suddetto periodo - sarà automaticamente trasferito dal datore di lavoro nel fondo negoziale istituito dalla contrattazione collettiva applicata al lavoratore.

Nel caso di presenza di più forme pensionistiche istituite dalla contrattazione collettiva, il TFR maturando è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell'azienda. In mancanza di fondi negoziali applicabili al lavoratore silente, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica complementare individuata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei diversi comparti del settore privato.

Tale forma pensionistica è individuata tra le forme pensionistiche negoziali di maggiori dimensioni sul piano patrimoniale e dotata di un assetto organizzativo tale da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del TFR. Con parere del 20.1.2020 n. 149/2020, il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole allo schema di decreto del Ministero del lavoro, di concerto con il Ministero dell’economia, concernente la soppressione di FondInps e la selezione del Fondo Cometa quale fondo pensione di destinazione del Tfr dei lavoratori dipendenti che non hanno espresso alcuna scelta sulla destinazione del proprio Tfr e sono sprovvisti di una forma di previdenza complementare prevista dagli accordi o contratti collettivi.

La previsione di modalità tacite di adesione ha sollevato ampi dibattiti in dottrina. Le modalità tacite non appaiono in contrasto con la volontarietà dell’entrata nella previdenza complementare. Difatti, non solo è fatta salva la libertà negativa di non aderire, ma tali modalità sono inserite in un sistema informativo in grado di rendere il lavoratore consapevole delle conseguenze legate alla sua inerzia. Le modalità tacite si compiono in un semestre. Prima dell’avvio del semestre, il lavoratore riceve una specifica informazione sulle opzioni disponibili nel sistema della previdenza complementare. Perdurando l’inerzia, lo stesso lavoratore, 30 giorni prima della scadenza dei 6 mesi, riceve, sempre dal datore di lavoro, una seconda informazione che gli chiarisce a quale forma pensionistica il conferimento tacito sta per portarlo.

Quindi nel caso di conferimento tacito, il lavoratore si avrà un lavoratore che ha consapevolmente manifestato tacitamente la volontà di aderire alla forma pensionistica individuata. E’ da sottolineare che la possibilità che l’effetto dell’adesione possa prodursi anche in assenza di una espressa manifestazione di volontà è riferita ai lavoratori ai quali risulta applicabile l’istituto del tfr. Dunque, per i lavoratori dipendenti trovano applicazione le regole descritte, mentre per gli altri, lavoratori autonomi e liberi professionisti, l’adesione richiede sempre e comunque un’espressa manifestazione di volontà.  

8. La legge consente esclusivamente il "regime della contribuzione definita" alle forme pensionistiche aventi come destinatari lavoratori dipendenti, soci lavoratori di cooperative, persone che svolgono lavoro di cura familiare, riservando la possibilità del regime a prestazione definita solo ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti (art. 2, comma 2, d.lgs. 252/2005). 

La formula della prestazione definita, forse anche per come è prefigurata dalla legge, è rimasta ad oggi sulla carta, apparendo all'evidenza troppo impegnativo porre in essere regimi pensionistici tenuti ad "assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio".

Alle varie fasi della complessiva attività dei fondi pensione, siano essi in regime di contribuzione definita o eventualmente di contribuzione definita, corrispondono, nelle parole della legge, diversi "modelli gestionali". 

Le risorse dei fondi pensione sono distinte dal patrimonio del gestore e sono depositate presso una banca depositaria, distinta dal gestore, che svolge una funzione di controllo in quanto esegue le istruzioni del gestore solo in quanto conformi alla legge, allo statuto del fondo ed alle norme dettate con decreto del Ministro dell’economia in tema di investimenti e conflitti di interessi.

9. Come emerge dalla Relazione Covip per l’anno 2018, alla fine del 2018 le forme pensionistiche complementari sono 398, di cui 33 fondi pensione negoziali, 43 fondi pensione aperti, 70 piani pensionistici individuali di tipo assicurativo (PIP) e 251 fondi pensione preesistenti (tra questi ultimi, 170 fondi dotati di soggettività giuridica e 81 fondi interni a banche, imprese di assicurazione e società non finanziarie). Nel totale è ancora incluso Fondinps, la forma istituita presso l’INPS per accogliere i flussi di TFR dei lavoratori silenti per i quali gli accordi collettivi non prevedono un fondo di riferimento, ormai soppresso dall'art. 1, comma 173, L. 205/2017. Rispetto all’anno precedente, il numero delle forme di previdenza complementare è diminuito di 17 unità, di cui 8 fondi preesistenti, 7 PIP e 2 fondi negoziali. 

Dal 2000 la riduzione dei fondi di previdenza complementare è costante. Si è passati dal numero totale di 719 unità agli attuali 398, 321 in meno. La riduzione ha riguardato essenzialmente i fondi preesistenti, trattandosi di fondi ad esaurimento e, in minor misura, i fondi pensione aperti ed i fondi negoziali. 

Gli aderenti alle forme pensionistiche complementari alla fine del 2018 sono 7.953 milioni. In corso d’anno, i nuovi ingressi nel sistema, al netto dei trasferimenti interni, sono stati 656.000, circa 23.00 in meno rispetto al 2017.

a cura di Silvia Lucantoni - Fieldfisher