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Mercato del lavoro: Priorità e prospettive per il 2021 ?


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Più ombre che luci nella fotografia del mercato del lavoro di inizio 2021 riportata nel Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione 2020” del CNEL. 

Se i dati più drammatici riguardano l’occupazione giovanile con 2 milioni di Neet e quella femminile, già in una situazione critica pre-covid, con quasi una donna su due inoccupata, che si è ridotta di quasi 2 punti percentuali, non destano minore preoccupazione il mancato rinnovo dei contratti per oltre 10 milioni di lavoratori (77,5% del totale), l’inadeguatezza del sistema scolastico e formativo nella formazione delle competenze, l’aumento della povertà e delle disuguaglianze. La situazione è destinata molto probabilmente ad accentuarsi e diventare ‘esplosiva’ con l’interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti. Si teme che una parte degli esuberi verrà sicuramente ‘assorbita’ dall’economia sommersa non riuscendo a trovare un’occupazione in regola andando ad aumentare la quota già aumentata negli ultimi anni di lavoro nero. La crisi conseguente alla pandemia ha colpito circa 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata sospesa o ridotta, in seguito al lockdown deciso dal Governo per limitare l’aumento esponenziale dei contagi.

La pandemia ha messo oramai in evidenza non poche falle nel nostro sistema di protezione sociale, sia negli ammortizzatori (CIG e Naspi) nonostante la riforma del 2015 avesse provveduto a una loro estensione, sia nel più recente reddito di cittadinanza che doveva fornire un aiuto economico ai poveri e, in ipotesi, ad aiutare quelli abili al lavoro a trovare occupazione. L’urgenza di rafforzare le misure sociali di accompagnamento alle persone nelle transizioni è testimoniata da numerose ricerche ove si mostra come le prospettive di ripresa sociale e personale dalle ferite della pandemia siano più complesse dei processi di mera ricostruzione economica e richiedano quindi misure altrettanto complesse di protezione e di promozione umana”.

Quali saranno le priorità per il 2021 ?

GIOVANI:

L’Italia si trova oggi davanti a un drammatico bivio. Da un lato c’è un sentiero stretto e in salita che porta ad una nuova fase di sviluppo economico e sociale. Sull’altro lato c’è un’ampia strada che va verso il declino. Il peso del debito pubblico, assieme a quello degli squilibri demografici, in combinazione con quello dei NEET (i disoccupati più gli inattivi non in formazione), ci sbilancia fortemente verso la seconda strada. Su tutti questi fronti, come ben noto, l’Italia occupa le posizioni peggiori in Europa, ma sono anche gli stessi su cui si concentrano le maggiori preoccupazioni rispetto al peggioramento prodotto dalla pandemia. Quando l’emergenza sarà passata ci troveremo, in positivo, con una maggiore attenzione alla salute pubblica, ma anche, in negativo, con la peggiore combinazione – in Europa e nella nostra storia repubblicana - di alto debito pubblico, bassa natalità, bassa presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano.

Lo scarso investimento pubblico sulle nuove generazioni (in particolare la parte che va efficacemente a rafforzare la loro formazione e l’inserimento solido nel mondo del lavoro) è il principale nodo che vincola al ribasso le possibilità di crescita italiane, da sciogliere prima ancora che sul piano del rapporto tra giovani e lavoro, su quello più alto del ruolo delle nuove generazioni nel modello di sviluppo del Paese. Se non si inverte questa tendenza non solo si pregiudicano le prospettive economiche del Paese, ma si rischia di alterare in profondità il patto fra le generazioni che è un elemento costitutivo dell’assetto sociale, della sua equità e stabilità. Non si tratta ora solo di contenere il peggioramento prodotto dalla pandemia sulle condizioni degli attuali e futuri entranti nel mondo del lavoro. Va prima di tutto capito cosa non funzionava in Italia prima della crisi sanitaria nella capacità di preparare bene le nuove generazioni, all’altezza delle sfide dei propri tempi, inserirle in modo efficace nel mondo del lavoro, valorizzare il loro capitale umano nel sistema produttivo.

Il tasso di disoccupazione ha il limite di non prendere in considerazione chi si scoraggia e non cerca più attivamente lavoro o chi, in ogni caso, decide di sospendere la propria attività di ricerca di un lavoro dipendente o è in attesa delle condizioni di avvio di una attività autonoma. Il tasso di NEET (Neither in Employment nor in Education or Training) include anche tali categorie di persone. Il valore di questo indicatore nella fascia tra i 25 e i 34 anni – fase della vita cruciale per la costruzione dei progetti di vita - era pari a 23,1% nel 2008, all’inizio della Grande recessione, mentre risulta pari a 28,9% nel 2019 (a fronte di una media europea pari al 17,3%). 

Dal Rapporto emerge “la persistente debolezza dei percorsi formativi e professionali”. Sul lato della formazione, i dati Eurostat mostrano come l’Italia da tempo presenti una delle più basse percentuali di 15enni con competenze considerate indispensabili per costruire percorsi solidi di vita e lavoro nel XXI secolo. Bassa è anche l’incidenza di laureati (27,6% nella fascia 30-34 rispetto all’obiettivo europeo di salire, sempre entro il 2020, oltre il 40%). Inoltre, la quota di ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non hanno completato la scuola secondaria superiore (early leavers) è scesa nella prima parte del decennio scorso da oltre il 18% a valori attorno al 14%. La necessità di chiudere le scuole nel corso del 2020 ha costretto a garantire l’istruzione con strumenti nuovi, coerenti con la didattica a distanza. Questo passaggio è stato condotto in condizione di emergenza e ha dovuto confrontarsi con l’impreparazione di tutto il sistema educativo (scuole, insegnanti, genitori, alunni) sia rispetto a struture e strumenti (dispositivi e connessione), sia rispetto a competenze tecniche, sia rispetto a come reimpostare il processo di apprendimento con nuove modalità di interazione e di trasmissione di contenuti, oltre che con una rivoluzione delle coordinate spazio-temporali. Si è trattato, di fatto, dell’adozione di una tattica difensiva della didattica tradizionale attraverso modalità a distanza, che ha consentito di non bloccare la frequenza delle lezioni, ma ne ha ridotto complessivamente la qualità e ha esposto ad una forte crescita del rischio di dispersione scolastica. Con la conseguenza di inasprire non solo le diseguaglianze generazionali ma anche quelle sociali.

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DONNE :

Le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi in quanto impegnate a ricoprire ruoli e a svolgere lavori più precari, soprattutto nei servizi. Le donne non sono un soggetto svantaggiato. Sono la metà del mondo, la battaglia per l’uguaglianza di genere non può essere più solo un punto di un programma politico aggiunto ma deve essere al centro di azioni concrete creando vantaggi economici, sociali e culturali per l’intero Paese. Tutti i dati confermano che la condizione della donna lavoratrice è penalizzata soprattutto dalla difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

È questa difficoltà che contribuisce a mantenere la quota di occupazione femminile (meno del 50%) al di sotto delle medie europee. Tale dato si è aggravato nel corso della pandemia senza che il ricorso allo Smart working abbia giovato a correggerlo, perché esso è stato limitato dall’aggravio di compiti familiari, specie sulle donne con figli impediti di frequentare le scuole. Per lo stesso motivo si spiegano il crollo della occupazione femminile e la crescita del tasso di disoccupazione in occasione della maternità per le donne indotte a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli. Ancor prima che politiche di incentivazione economica alle assunzioni serve anzitutto allargare l’offerta di servizi, non soltanto asili nido, ma scuola a pieno tempo e servizi per gli anziani, nonché promuovere forme organizzative del lavoro più favorevoli alla conciliazione. 

Sull'argomento: Legge di bilancio 2021 : Sgravi contributivi per l'occupazione femminile

AMMORTIZZATORI SOCIALI : LA PROPOSTA UNITARIA DI SINDACATI E FORZE PRODUTTIVE 

ll test della crisi ha confermato la necessità di rispondere alle necessità di protezione manifestate dal mondo del lavoro con una revisione complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali, non solo la CIG ma la NASPI, e non solo per i lavoratori dipendenti. In relazione ai possibili sviluppi del sistema degli ammortizzatori sociali la proposta unitaria di CGIL, CISL e UIL, è stata accompagnata da un insieme di posizioni parzialmente diverse di Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confservizi e ABI.

Elemento comune alle diverse posizioni risulta essere il raggiungimento della garanzia del sostegno al reddito – secondo modalità diversamente espresse dalle parti e dai settori produttivi - per le sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa di tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli delle microimprese. E’ anche emersa l’esigenza di affiancare la riforma degli ammortizzatori sociali con strumenti di sostegno a processi di ricambio generazionale e di invecchiamento attivo, soprattutto in vista dei nuovi processi lavorativi, indotti anche dalle misure di contenimento della pandemia, i cui effetti sull’organizzazione della produzione e dei servizi sono destinati, almeno in parte, a diventare strutturali. 

Nel 2021 occorrerà aprire, dunque, un confronto tra governo e parti sociali per rafforzare gli strumenti degli ammortizzatori sociali a regime, in modo da avere, quando la crisi Covid sarà superata, un sistema a copertura universale, solidale e più inclusivo, a garanzia di tutte le lavoratrici e lavoratori non solo dipendenti, sostenuto in maniera graduale da un finanziamento il più possibile omogeneo e coerente con le specifiche vocazioni produttive, principalmente di tipo contributivo e solo parzialmente sorretto dalla fiscalità generale. 

Sull'argomento: Legge di bilancio 2021: ammortizzatori sociali COVID 19

UNO SGUARDO ALLA CONTRATTAZIONE:

Il mondo del lavoro privato appare oggi caratterizzato da una molteplicità di soggetti (datoriali e sindacali) che fondano la propria rappresentatività sulla periodica autodichiarazione di dati concernenti la consistenza associativa, la diffusione territoriale e l’attività svolta e che, su tali basi, sottoscrivono tra loro accordi collettivi nazionali in tutti i settori produttivi, per poi depositarli a norma di legge presso l’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro istituito presso il CNEL. La frammentazione del panorama negoziale in Italia si è accentuata rispetto a qualche anno fa. Al 30 settembre 2017 presso l’Archivio risultavano censiti 868 accordi nazionali di settore “vigenti”, al 30 giugno 2020 quelli depositati formalmente nell'Archivio Nazionale Contratti del CNEL sono diventati 935. 

Gli 856 relativi al settore privato risultano applicati da 1.516.060 imprese a 13.272.629 lavoratori dipendenti. Ma si precisa che un numero molto ridotto di CCNL disciplina la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro: infatti, i 60 CCNL prevalenti nei dodici settori ove sono disponi bili i dati sui lavoratori coperti, si applica al 89% di tutti i lavoratori dipendenti; mentre i restanti 796 contratti nazionali risultano applicati solo all’11% della platea dei dipendenti come ricavabile dalle dichiarazioni allegate ai CCNL depositati. “Ad ottobre il numero di occupati risultava del 3% inferiore rispetto a gennaio. A fronte di una sostanziale tenuta del numero di dipendenti a tempo indeterminato (per i quali vale il richiamato divieto di licenziamento), si rileva una diminuzione del 3% dei lavoratori indipendenti e soprattutto una marcata contrazione dei lavoratori dipendenti a tempo determinato, pari al 10% (grafico 1); il numero di occupati è diminuito del 2% sia tra gli uomini sia tra le donne; il numero dei giovani occupati (con meno di 34 anni) diminuisce del 4%; i più giova ni rappresentano la classe di età che maggiormente ha subito i contraccolpi del virus e delle conseguenti misure di contenimento”. 

FONDI EUROPEI :

Di particolare attualità è poi la questione dell'impiego dei fondi di provenienza europea. All'indomani della presentazione al Parlamento della bozza di Recovery Fund, la questione verte sull'opportunità di scelte e investimenti coraggiosi a scapito di bonus e incentivi che non sempre si rivelano efficaci. 

A ben vedere, i dati del 2020, confermano un trend oramai consolidato sul quale bisogna riflettere. L'impiego di imponenti risorse può agevolare anche un gran numero di contratti con una buona tenuta nel tempo - come effettivamente accade - ma altra cosa è poi conseguire un effetto correttivo di alcune dinamiche.

In questo, gli incentivi si dimostrano più nella veste di cure palliative che vere e proprie soluzioni hai problemi del mercato del lavoro. 

 

Fonte: CNEL