Notizie

Stampa

Covid-19: L'ambiguo divieto di spostamento nella normativa emergenziale


grafica lavoro si & fieldfisher
icona

Il vizio primigenio – Il D.L. n. 6 del 23 febbraio : In un primo momento il Governo ha “scelto” di affrontare l’emergenza, sul piano normativo, secondo lo schema delineato nella Delibera del 31 gennaio, recante “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, demandando l’adozione di misure alle Ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile ed alle Ordinanze del Ministro della Salute di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica, ex lege n. 833/1978.

In questa prospettiva, quando si è avuta notizia dei primi casi di contagio da Covid-19, giunta tra il 20 e 21 febbraio u.s., i primi provvedimenti normativi sono stati adottati dal Ministro della Salute, che con Ordinanza del 21 febbraio, d’intesa con il Presidente della regione Lombardia, ha disposto l’immediata sospensione di tutte le attività produttive, commerciali, lavorative, ludiche, sociali, educative ecc. nei territori interessati dai focolai, tra cui l’ormai nota Codogno ed altri 9 comuni, successivamente noti come “zona rossa” (il 23 febbraio sono state adottate analoghe Ordinanze d’intesa con i Presidenti di Veneto, Piemonte, Emilia Romagna e Liguria, recanti però misure assai meno drastiche, se non per il comune di Vò, anch’esso rientrante nella “zona rossa”).

Con Ordinanza dello stesso 21 febbraio applicabile all’intero territorio nazionale, il Ministro della Salute ha riconosciuto alle autorità sanitarie territorialmente competenti il potere-dovere di “applicare la misura della quarantena con sorveglianza attiva, per giorni quattordici, agli individui che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di malattia”, nonché “a tutti gli individui che, negli ultimi quattordici giorni, abbiano fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato nelle aree della Cina interessate dall’epidemia”.

Di lì a poco il Governo ha cambiato “strategia” ed ha emanato il D.L. n. 6 del 23 febbraio - che per circa un mese ha costituito la traballante base legale del diritto dell’emergenza e delle connesse limitazioni di libertà e diritti fondamentali - delegando a futuri D.P.C.M. l’adozione di “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.

L’art. 2 del D.L. n. 6 consentiva l’adozione di “ulteriori misure … anche fuori dai casi di cui all’articolo 1, comma 1”: da qui i primi dubbi di legittimità costituzionale, posto che il carattere generico di tale “clausola in bianco” era tale da eludere “di fatto la riserva di legge, perché non è la legge che individua, seppure in via generale, le ipotesi limitative per demandare poi a fonti secondarie la loro specificazione” (FILICE-LOCATI, Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio, in [www.questionegiustizia.it], 27 marzo).

Peraltro, a stretto rigore il D.L. n. 6 autorizzava soltanto l’adozione di misure circoscritte alle cd. “zone rosse”, destinate ad operare “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus” (sul punto v. GATTA, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in www.sistemapenale.it, 16 marzo).

Nelle settimane successive si è assistito ad una “tendenziale esautorazione del Parlamento” nella gestione dell’emergenza, in uno con una “tendenziale fuga dalla legge e dall’atto avente forza di legge”, che ha finito “per minare il senso di fiducia dei cittadini, per ingenerare una deriva crepuscolare di iniziative di regioni e sindaci, finendo per urtare sensibilmente anche con il principio della certezza del diritto” (VENANZONI, L’innominabile attuale. L’emergenza Covid-19 tra diritti fondamentali e stato di eccezione, in www.forumcostituzionale.it, 26 marzo).

In questa prospettiva, sono stati sollevati dubbi di legittimità della progressiva riduzione, e finanche sospensione, di numerose libertà costituzionalmente tutelate con lo strumento dei D.P.C.M., sotto il profilo della “adeguatezza dello stesso decreto legge ad autorizzare l’adozione dei singoli provvedimenti; atti che derogano a norme primarie poste a presidio di quegli stessi diritti” (CAVINO, Covid-19. Una prima lettura dei provvedimenti adottati dal Governo, in www.federalismi.it, 18 marzo; v. anche CLEMENTI, Quando l’emergenza restringe le libertà meglio un decreto legge che un Dpcm, in www.ilsole24ore.com, 13 marzo; BALDINI, Emergenza sanitaria e Stato di prevenzione, in www.dirittifondamentali.it, 27 febbraio).

 

I primi D.P.C.M. : Il D.L. n. 6, pensato per le “zone rosse”, non aveva previsto limiti agli spostamenti delle persone fisiche tra le misure di contenimento elencate all’art. 1, comma 2, limitandosi ad indicare, alle lett. a) e b), il “divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata da parte di tutti gli individui comunque presenti” ed il “divieto di accesso al comune o all’area interessata”

In quest’ottica il D.P.C.M. del 23 febbraio, il primo della lunga serie, aveva disposto, tra il resto, il “divieto di accesso” e di “allontanamento” dalla “zona rossa”, composta dai comuni di cui all’Allegato, ma non anche il divieto di spostamenti infra-comunali, come reso evidente dall’obbligo di “accedere ai servizi pubblici essenziali, nonché agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità indossando dispostivi di protezione individuale” (art. 1, comma 1, lett. l).

Nemmeno i successivi D.P.CM. del 25 febbraio, 1° marzo e 4 marzo, recanti misure di contenimento sull’intero territorio nazionale (e più stringenti per Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Friuli Venezia Giulia), avevano previsto limiti agli spostamenti, se non per i destinatari dell’ordine di permanenza domiciliare (cd. quarantena), soggetti al “mantenimento dello stato di isolamento per quattordici giorni”, al “divieto di contatti sociali” ed al “divieto di spostamenti e/o viaggi”.

Compariva soltanto, all’art. 2, comma 1, lett. b) del D.P.C.M. del 4 marzo, la mera “raccomandazione di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità”, certamente non vincolante, rivolta “a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita”.

Il limite agli spostamenti introdotti dal D.P.C.M. dell’8 Marzo esteso a tutta Italia - Il primo limite alla mobilità delle persone fisiche è stato introdotto, a seguito di una rilevante escalation di contagi, dall’art. 1, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo, relativamente alla cd. “zona arancione”, composta dalla Lombardia e da altre 14 province del Nord: “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Il successivo D.P.C.M. del 9 marzo ha esteso all’intero territorio nazionale tali misure, destinate ad operare fino al 3 aprile, tra cui il regime di “mobilità ridotta” di cui all’art. 1 comma 1, lett. a): da qui il problema di adeguare al nuovo contesto normativo il riferimento agli spostamenti “in entrata e in uscita dai territori … nonché all’interno dei medesimi territori”, in origine evidentemente pensato per la sola “zona arancione”

A stretto rigore, se tutta Italia è diventata “zona arancione”, il limite dovrebbe riferirsi a qualsiasi spostamento, ma secondo alcuni riguarderebbe gli spostamenti “tra un comune e l’altro della medesima provincia”, considerato che “la misura mirante a impedire la circolazione da una provincia all’altra è già oggetto del primo inciso dell’art. 1 del d.p.c.m. 8 marzo” (CANDIDO, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del COVID19, in www.forumcostituzionale.it, 10 marzo).

C’è poi chi ha distinto, senza troppa aderenza al dettato normativo, tra spostamenti “all’interno della zona di residenza”, intesa come “quartiere-circoscrizione”, che sarebbero consentiti “per soddisfare le elementari esigenze di vita legate all’attività motoria ed all’acquisto di beni in vendita presso gli esercizi commerciali dei quali sia stata autorizzata l’apertura”, e spostamenti “fra territori limitrofi e … all’interno dei territori medesimi”, che salvo “ragioni di salute, lavoro, necessità” sarebbero vietati, come “si desume dal carattere precettivo del verbo «evitare» indicato nell’art. 1 primo comma lettera A) del DPCM 8.3.2020” (Nota della Procura di Genova del 16 marzo, in www.ilsole24ore.com).


La dubbia natura del limite agli spostamenti: Divieto o mera raccomandazione ?

A questo punto occorre chiedersi se il citato art. 1, comma 1, lett. a), esteso a tutta Italia, costituisca una mera raccomandazione, come tale non giuridicamente vincolante, oppure un vero e proprio divieto penalmente sanzionabile ai sensi dell’art. 650 c.p., a cui il D.L. n. 6 rinviava quoad poenam per il caso di “mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto”.

A sostegno della portata imperativa di tale norma è la previsione di una serie tassativa di eccezioni, che consentono gli spostamenti: si tratta delle “situazioni di necessità”, dei “motivi di salute” e delle “comprovate esigenze lavorative”, da intendersi non come “eccezionali” (come si era in un primo tempo ipotizzato, quando circolò una bozza del D.P.C.M. che parlava di “indifferibili esigenze lavorative”) bensì come “dimostrabili”, anche a mezzo di autodichiarazione su modulo pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno (in questo senso v. la Nota del Ministero Infrastrutture e Trasporti dell’8 marzo u.s., la Nota del Ministero dell’Interno dell’8 marzo u.s. e l’Ordinanza n. 646 dell’8 marzo u.s. del Capo della Protezione Civile).

In senso contrario depone però il dato letterale e specialmente l’incipit “evitare”, che rende tale norma assimilabile all’esplicita “raccomandazione” riferita all’intero territorio nazionale - contenuta all’art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.C.M. dell’8 marzo - di “limitare, ove possibile, gli spostamenti delle persone fisiche ai casi strettamente necessari”.

Trattandosi di limitare libertà costituzionalmente garantite, peraltro in forza della criticabile “clausola in bianco” dell’art. 2 del D.L. n. 6, il D.P.C.M. avrebbe dovuto chiarire espressamente la natura eventualmente vincolante del limite agli spostamenti, come del resto ha fatto nella lett. c) dello stesso art. 1, comma 1, recante il “divieto assoluto di mobilità” per tutti “i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus”; invece pare che il Governo si sia fatto frenare da “una certa ritrosia a toccare i fondamenti del vivere civile… accanto a disposizioni «imperative» … altre somigliano a «consigli» altre ancora … paiono suggerimenti rafforzati, tanto da essere, per la loro, forse inevitabile, genericità, un misto tra un’imposizione e una raccomandazione” (MELZI D’ERIL-VIGEVANI, Coronavirus: il decreto tra obblighi, divieti, raccomandazioni e semplici consigli, in www.ilsole24ore.com, 9 marzo).

Ad escludere la portata imperativa della norma in esame si pone anche un argomento logico-sistematico.

Lo stesso D.P.C.M. dell’8 marzo - superato in parte qua dalle drastiche misure adottate nei successivi D.P.C.M. - aveva infatti consentito, nel rispetto di misure organizzative volte ad evitare assembramenti e garantire la distanza di sicurezza interpersonale, lo svolgimento delle “attività commerciali”: ebbene, se si fosse trattato di un vero e proprio divieto di spostamenti, paradossalmente nessuno, al di fuori dei dipendenti, avrebbe potuto recarvisi, salve le farmacie ed i negozi di alimentari e generi di prima necessità, per i quali sono effettivamente invocabili “situazioni di necessità” o “motivi di salute”.

È poi significativa l’Ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo, che ha “vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case utilizzate per vacanza … nei giorni festivi e prefestivi, nonché in quegli altri che immediatamente precedono o seguono tali giorni”: infatti, a meno di escludere la portata imperativa dell’art. 1 comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo, appare inspiegabile la ratio di tale specifico divieto considerando che detti spostamenti (che paradossalmente l’Ordinanza citata ancora permetteva dal martedì al giovedì) dovevano a stretto rigore ritenersi già vietati, non essendo certamente invocabili per gli stessi le “situazioni di necessità”, se non in casi eccezionali, come ad esempio una perdita d’acqua.

Infine, a confermare la dubbia portata imperativa dell’art. 1 comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo è la querelle relativa all’attività motoria (corse e passeggiate, implicanti ovviamente spostamenti), che a stretto rigore doveva ritenersi ab origine preclusa, dato che soltanto certi soggetti possono invocare i “motivi di salute” e comunque solo dietro idonea certificazione medica.

Invece, contraddittoriamente, il Ministro della Salute ha confermato, con Ordinanza del 20 marzo, che “resta consentito svolgere individualmente attività motoria, in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona” e successivamente il Ministro dell’Interno ha aggiunto, con Circolare del 31 marzo, che “è da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione” (anche se poi sul punto ha fatto dietrofront nella Nota “Regole sugli spostamenti, chiarimenti sulla circolare del 31 marzo”, pubblicata sul sito del Dicastero il 1° aprile).

Il divieto di spostamenti tra un comune e l’altro introdotto dal D.P.C.M. del 22 marzo 2020. A seguito di una preoccupante escalation di contagi, il 21 marzo, poco prima di mezzanotte, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha annunciato un nuovo D.P.C.M. con la previsione della chiusura di tutte le attività produttive non essenziali: al fine di evitare un nuovo esodo verso il Sud (come accaduto la sera del 7 marzo, quando circolò la bozza del D.P.C.M. emanato il giorno seguente), alle prime ore del 22 marzo il Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Interno, ha sancito il “divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.

In questo caso il dato letterale della norma è chiaro e non vi sono dubbi che si tratti di un vero e proprio divieto dotato di portata imperativa e punibile penalmente in caso di violazione. Per espressa previsione dell’art. 2, la citata Ordinanza è rimasta in vigore solo fino alla pubblicazione del nuovo D.P.C.M. del 22 marzo, che all’art. 1, comma 1, lett. b) ha riproposto testualmente lo stesso divieto, con la previsione di eccezioni del tutto analoghe a quelle dell’art. 1, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo (per la precisione, al posto delle “situazioni di necessità” compaiono le esigenze “di assoluta urgenza”, ma la differenza sembra scolorire sul piano pratico).

Il D.P.C.M. del 22 marzo non ha però abrogato l’art. 1, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo, ma ne ha eliminato l’ultimo inciso, che consentiva il “rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”: si tratta quindi di capire in che rapporto si pongano detti D.P.C.M., entrambi in vigore fino al 3 aprile.

Non pare azzardato sostenere che l’ambito di operatività del limite agli spostamenti sia il medesimo (come sembra suggerire la previsione di eccezioni sostanzialmente coincidenti) e che pertanto il D.P.C.M. del 22 marzo, in conseguenza dell’aggravarsi dell’emergenza, abbia voluto irrigidire il regime di “mobilità ridotta” di cui al D.P.C.M. dell’8 marzo u.s., introducendo una portata imperativa in precedenza mancante.

Invece, come chiarito dal Ministero dell’Interno con Circolare del 23 marzo, il divieto di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) del D.P.C.M. del 22 marzo è finalizzato a “scongiurare spostamenti in ambito nazionale, eventualmente correlati alla sospensione delle attività produttive” e si riferisce “agli spostamenti fra comuni diversi”, mentre l’art. 1, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo, “inizialmente previsto per alcuni specifici ambiti territoriali ed estes[o] all’intero territorio nazionale … resta … in vigore nella parte in cui raccomanda l’effettuazione di spostamenti all’interno del medesimo comune solo se motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute”.

La natura di “raccomandazione” sembra quindi confermare l’assenza di portata imperativa dell’art. 1, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. dell’8 marzo: in questa prospettiva gli unici spostamenti vietati, dal 22 marzo in poi, sarebbero soltanto quelli tra un comune e l’altro, mentre quelli infra-comunali, pur sconsigliati, resterebbero ad oggi leciti, indipendentemente da “comprovate esigenze lavorative”, “situazioni di necessità” o “motivi di salute”.

Peraltro, con la stessa Circolare il Ministero dell’Interno ha aggiunto che “rimangono consentiti, ai sensi del citato art. 1, lett. a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020, i movimenti effettuati per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute, che rivestano carattere di quotidianità o comunque siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere”: sembrerebbe quindi che la quotidianità o la brevità dello spostamento sia condizione tale da render lo stesso di per sé lecito, anche in assenza delle eccezioni tipizzate (ma in tal caso si tratterebbe di una interpretatio abrogans, priva di appigli letterali).

Il Decreto Legge n. 19 del 25 marzo - Con il D.L. n. 19 del 25 marzo il Governo ha puntellato la base legale del diritto dell’emergenza, ormai destinato a prolungarsi per mesi, prevedendo la possibilità di adottare, con D.P.C.M. ed entro ristretti margini con Ordinanze regionali, misure di contenimento sul territorio nazionale, o sue parti, tra quelle elencate all’art. 1 comma 2, stante la scomparsa della “clausola in bianco” contenuta nel precedente D.L. n. 6, che viene abrogato, salvo disposizioni marginali (v. GATTA, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in www.sistemapenale.it, 26 marzo; ALLEGRETTI, Una normativa più definitiva sulla lotta all’epidemia del coronavirus?, in www.forumcostituzionale.it, 28 marzo; NATALE, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, in www.questionegiustizia.it, 28 marzo; PARDO, Gli illeciti amministrativi, il nuovo reato di infrazione dell’obbligo di quarantena e il delitto di epidemia colposa. Effetti del DL 19/20 su procedimenti e misure in corso, in www.giustiziainsieme.it, 28 marzo).

L’art. 4 del D.L. n. 19 ha completamente riformato il meccanismo punitivo per il “mancato rispetto delle misure di contenimento”, affidato ora ad una sanzione amministrativa ex lege n. 689/1981, irrogata dal prefetto, del pagamento di una somma da € 400 ad € 3.000 - aumentata fino ad un terzo se l’infrazione avviene con “utilizzo di un veicolo” e raddoppiata in caso di “reiterata violazione della medesima disposizione” - con possibilità di estinguere l’illecito pagando l’importo minimo entro 60 giorni o i 2/3 dello stesso entro 5 giorni, secondo il richiamato art. 202 del D.Lgs. n. 285/1992 (Codice della strada).

Condivisibilmente il D.L. n. 19 ha previsto che “non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale”, che aveva manifestato la sua scarsissima efficacia deterrente, data la possibilità di oblazione con il pagamento di appena € 103 (v. AMENDOLA, Coronavirus, chi non rispetta le regole paga solo una piccola multa. E per me è davvero assurdo, in www.ilfattoquotidiano.it, 23 marzo). Senza contare che “la sorte dei procedimenti avviati con l’attività di controllo, in atto su tutto il territorio nazionale con enorme impiego di preziose energie da parte delle forze dell’ordine, sarebbe stata quella della morte per prescrizione del reato, negli armadi delle procure italiane, già pieni di fascicoli” (GATTA, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in www.sistemapenale.it, 26 marzo).

Per non lasciare impuniti gli oltre 100.000 trasgressori fino ad oggi segnalati dalle forze dell’ordine, il D.L. n. 19 ha previsto, all’art. 4, comma 8, che “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”: al di là dei dubbi di legittimità costituzionale che suscita detta disciplina transitoria, l’applicazione retroattiva della nuova sanzione amministrativa implica pur sempre l’esistenza di un divieto di spostamenti giuridicamente vincolante.

Il D.P.C.M. del 1° aprile: Un' occasione perduta

Tra le misure di contenimento elencate all’art. 1 comma 2, del D.L. n. 19 compare, alla lett. a), la “limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni”.

Forte di questa nuova base legale il Governo aveva quindi l’occasione di chiarire una volta per tutte la natura dei limiti agli spostamenti: invece, con il D.P.C.M. del 1° aprile si è di fatto limitato a prorogare al 13 aprile “l’efficacia delle disposizioni dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8, 9, 11 e 22 marzo 2020”.

A nostro parere, pertanto, è a tutt’oggi discutibile il divieto di spostamenti infra-comunali, con la conseguente illegittimità delle eventuali sanzioni amministrative irrogate.

Avv. Giuseppe Paone - Fieldfisher