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Cassazione: quando molteplici trasferimenti possono integrare il mobbing?


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Con l’ordinanza n. 35235 del 30.11.2022, la Cassazione afferma che nel giudizio sulla sussistenza o meno dell'intento persecutorio sotteso al trasferimento del pubblico dipendente, in ipotesi di conflittualità presente nell’ufficio, rileva anche la natura pubblica del datore di lavoro, che - nel rispetto del principio costituzionale di cui all'art. 97 Cost. - è tenuto ad intervenire per assicurare efficienza, legittimità e trasparenza dell'azione amministrativa.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di chiedere il risarcimento del danno provocatogli dalle condotte mobbizzanti poste in essere dal Comune datore e consistenti nel trasferimento dello stesso a settori diversi da quello di originaria appartenenza.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che i diversi incarichi rivestiti dal ricorrente, rientranti tutti nella qualifica dirigenziale, dovevano ritenersi equiparabili a quello originario.

L’ordinanza

La Cassazione rileva, preliminarmente, che l'elemento qualificante del mobbing va ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti datoriali, bensì nell'intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria.

Per la sentenza, quindi, la legittimità dei provvedimenti può rilevare ma solo indirettamente perché, ove facciano difetto elementi probatori di segno contrario, può essere sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata.

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, anche la conflittualità delle relazioni personali esistenti all'interno dell'ufficio - che impone al datore di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative - può essere valutata per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del dipendente.

Ciò premesso, la Suprema Corte accoglie il ricorso del lavoratore per non avere, la pronuncia impugnata, temuto in adeguata considerazione la condotta datoriale complessivamente considerata.

A cura di Fieldfisher