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Cassazione: legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuta reiteratamente di andare in trasferta


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Con la sentenza n. 6896 del 20.03.2018, la Cassazione afferma che è legittimo il licenziamento del dipendente che rifiuti reiteratamente di andare in trasferta, adducendo inesistenti problemi di salute; posto che tale condotta costituisce una grave insubordinazione, soprattutto laddove la trasferta sia un elemento essenziale della prestazione lavorativa, risultante anche da specifica previsione contenuta nel contratto individuale.

Il fatto affrontato

Il dipendente viene licenziato dalla società a causa del reiterato rifiuto, basato su motivi di salute, poi, rivelatisi inesistenti, a recarsi in trasferta presso un cantiere installato in un’altra città.

La sentenza

La Cassazione, preliminarmente, ribadisce che la trasferta si distingue dal trasferimento, in quanto è caratterizzata dalla temporaneità dell'assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale, nell'interesse e su disposizione unilaterale del datore, essendo irrilevante che il prestatore abbia manifestato la propria disponibilità.

Il rifiuto ingiustificato e reiterato del dipendente ad andare in trasferta rappresenta, pertanto, un’insubordinazione da ricollegare al ripetuto contravvenire alle direttive organizzative aziendali, soprattutto laddove, in ragione delle caratteristiche dell’attiva svolta dalla società, la trasferta costituisca un elemento essenziale della prestazione lavorativa.

In tali casi, secondo i Giudici di legittimità, la valutazione della condotta del dipendente deve tener conto dell'incidenza della stessa sul vincolo fiduciario, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione.

Tanto più che, conclude la sentenza, ai fini della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione inflitta rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, denotando scarsa inclinazione del dipendente all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’operaio, legittimando il licenziamento irrogatogli dalla società.

A cura di Fieldfisher