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Cassazione: il trasferimento del lavoratore per incompatibilità ambientale non ha natura disciplinare


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Con l'ordinanza n. 27226 del 26.10.2018, la Cassazione afferma che il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità ambientale non ha natura disciplinare, ma è connesso alle esigenze tecniche, organizzative e produttive del datore di lavoro ed, in particolare, alla necessità di avere un'unità produttiva organizzata e funzionale.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, trasferito dall’ufficio di adibizione a Casalecchio di Reno ad un’altra sede della società sita a Bologna, a seguito di un acceso diverbio avuto con una propria collega, sfociato in denunce penali reciproche, impugna giudizialmente il provvedimento datoriale.
A fondamento della propria domanda, contesta la natura disciplinare del trasferimento, comprovata dalla mancata dimostrazione, da parte dell’azienda, dell'esigenza di maggiore personale nella nuova sede.

L'ordinanza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità ambientale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all'art. 2103 c.c., piuttosto che a ragioni punitive e disciplinari.
Ne consegue che, la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde sia dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, che dall'osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari.

In tal caso, per i Giudici di legittimità, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del prestatore, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa.
In altri termini, il giudicante deve valutare se l'incompatibilità, determinando conseguenze quali tensione nei rapporti personali o contrasti nell'ambiente di lavoro che costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione nell'unità produttiva, realizzi un'obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro.
Il suddetto controllo, conclude la sentenza, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata (garantita dall'art. 41 Cost.), non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, valutando legittima la scelta aziendale alla luce delle possibili conseguenze dell'episodio increscioso occorso ai due dipendenti adibiti all’ufficio di Casalecchio di Reno, ritiene lecito l’impugnato trasferimento irrogato ad uno di loro.

A cura di Fieldfisher