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Cassazione: nei trasferimenti d’azienda l’anzianità pregressa non vale per rivendicare una diversa posizione economica nei confronti del cessionario


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Con la sentenza n. 16135 del 19.06.2018, la Cassazione afferma che nei trasferimenti d’azienda il lavoratore ha diritto a mantenere il trattamento economico e normativo acquisito, ma non alla parificazione totale a ogni effetto con i dipendenti già in servizio presso il datore di destinazione, non potendo il prestatore far valere l’anzianità pregressa maturata presso l’azienda cedente per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario.

Il fatto affrontato

Tredici lavoratori transitati ad un Ente diverso a seguito della soppressione dell’Ente di provenienza partecipano al bando nazionale di selezione indetto dal nuovo datore per l’inquadramento ad un superiore livello economico.
Gli stessi, però, vengono esclusi sul rilievo del mancato possesso del requisito richiesto di trovarsi in servizio, presso quell’Ente, dal 2009.
A seguito dell’impugnazione giudiziale di tale provvedimento, la Corte d’Appello accoglie la domanda dei prestatori affermando che gli stessi possedevano alla data del bando il predetto requisito, avendo l'incorporazione dell’Ente di provenienza in quello di destinazione determinato la successione nei rapporti di lavoro ai sensi dell'art. 2112 c.c.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che le disposizioni normative che, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori ad una diversa organizzazione, garantiscono il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione ad ogni effetto con i dipendenti già in servizio presso il datore di destinazione.
La prosecuzione giuridica del rapporto di lavoro, infatti, se da un lato rende operante il divieto di reformatio in peius, dall'altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore.

Secondo i Giudici di legittimità, l'anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa far valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della stessa possa comportare un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito.
L'anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest'ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l'ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del dipendente alla data della cessione del contratto.

Per la sentenza, ne consegue che, anche in ossequio a recenti pronunce della Corte di Giustizia europea, il nuovo datore ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l'esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto.

Sul presupposto che, quindi, l'art. 2112 c.c. non legittima l'assoluta parificazione dei dipendenti trasferiti a quelli già in servizio presso il cessionario, né fa venire meno la diversità fra le due fasi dell'unitario rapporto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dall’Ente nuovo datore di lavoro, legittimando l’esclusione dei prestatori dalla partecipazione al bando.

A cura di Fieldfisher