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Cassazione: quando è ravvisabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso?


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Con la sentenza n. 4224 del 13.02.2019, la Cassazione ribadisce che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine non è sufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Il fatto affrontato

La lavoratrice propone ricorso giudiziale al fine di sentir dichiarare la nullità del termine apposto al contratto stipulato con la società datrice.
Quest’ultima si costituisce eccependo che il predetto contratto doveva ritenersi sciolto per mutuo consenso delle parti.
La Corte d’Appello accoglie la domanda della ricorrente, sul presupposto che, da un lato, il semplice decorso di pochi mesi tra la data di cessazione del contratto e la messa in mora del datore, con offerta delle prestazioni lavorative, e, dall’altro, l’iscrizione nelle liste di disoccupazione e la riscossione delle ultime somme dovute (compreso il TFR), non integrano una condotta incompatibile con la ripresa della funzionalità del rapporto, in considerazione del fatto che tali somme erano finalizzate a garantire i fondamentali bisogni materiali e morali della lavoratrice e della propria famiglia.

La sentenza

La Cassazione afferma che, per configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà dei contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro.

Per i Giudici di legittimità, quindi, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, mentre grava sul datore, che eccepisca tale risoluzione, l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine ad ogni rapporto lavorativo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dalla società, confermando la nullità del termine apposto al contratto a termine stipulato con la lavoratrice.

A cura di Fieldfisher