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Cassazione: in caso di illegittima apposizione del temine, risarcimento solo per perdita di chance


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Con l’ordinanza n. 6493 del 28.02.2022, la Cassazione afferma che, in caso di illegittima reiterazione del contratto a termine, il pubblico dipendente ha diritto solamente al risarcimento del danno da perdita di chance, non quantificabile con i parametri dettati dall’art. 18 della L. 300/1970.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente nei confronti della AUSL al fine di ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell'illegittimità dei contratti di lavoro a termine e delle relative proroghe in virtù dei quali aveva prestato servizio alle dipendenze dell’Ente per circa nove anni.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, a fronte della genericità delle invocate causali e della violazione del regime della proroga, liquidando un ristoro parametrato sul regime sanzionatorio di cui all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’ordinanza

La Cassazione - nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello - rileva preliminarmente che, in caso di illegittima reiterazione del contratto a termine, il danno da risarcire al pubblico dipendente non è quantificabile per mezzo dei parametri previsti dall'art. 18 della L. 300/1970.

Per la sentenza, infatti, il pregiudizio sofferto dal lavoratore deve considerarsi normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile e non alla perdita del posto, stante che la conversione del rapporto risulta esclusa per legge.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che il parametro per la quantificazione del ristoro va individuato nell'art. 32, comma 5, L. 183/2010, disposizione espressamente riferita al risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dall’AUSL, ritenendo incongruo il risarcimento liquidato alla ex dipendente.

A cura di Fieldfisher