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Congedi Parentali: La relazione della Consigliera Nazionale di Parità in merito alla proposta di direttiva UE


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In occasione del Forum PA tenutosi presso il Roma Convention Center “la Nuvola” dal 22 al 24 maggio, la Consigliera Nazionale di Parità Supplente, Prof. Serenella Molendini, è intervenuta nell’ambito del convegno “ Il Mercato del Lavoro e le Donne “.

L’intervento è concentrato in particolar sulla “Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza “ [COM (2017) 253 ] , che andrebbe ad abrogare la precedente direttiva 2010/18/UE.

La relazione della Consigliera Nazionale di Parità non consente solamente di fare il punto sulle future novità legislative; offre anche la possibilità di individuare le difficoltà sostanziali che rendono problematico colmare il divario di genere nelle sue diverse forme.

Lo scenario in Europa, ma ancor più in Italia, presenta ancora un divario molto preoccupante da molteplici punti di vista:

  • Il divario di genere nell’occupazione che risulta più marcato per i genitori e per chi ha altre responsabilità di assistenza. Il caso, soprattutto italiano, delle dimissioni dal lavoro a seguito di maternità. È inoltre assai più elevata la probabilità che le donne lavorino a tempo parziale a causa di responsabilità di assistenza che contribuisce al divario di genere.
  • Il divario retributivo di genere (pari al 28% in alcuni Stati membri) che è di 24,7 punti percentuali per chi ha un figlio di età inferiore a 6 anni, 25,6 punti percentuali per chi ha due figli (il più piccolo dei quali di età inferiore a 6 anni) e di 35,4 punti percentuali per chi ha tre o più figli.
  • Il divario pensionistico che spesso discende dal divario retributivo e che si traduce in maggiore povertà ed esclusione sociale per le donne. 

Ad avviso della Prof. Molendini, il tema dei congedi evidenzia sia a livello dell’Unione che degli Stati membri uno squilibrio evidente. Innanzitutto, sono limitate le disposizioni volte a far sì che gli uomini condividano equamente la responsabilità di assistenza con le donne. Ad esempio, non esiste attualmente una legislazione dell’UE che preveda il congedo di paternità o un congedo per prendersi cura di un familiare malato o dipendente, ad eccezione dell’assenza per motivi di forza maggiore. In molti Stati membri, i regimi di congedo retribuito per i padri sono carenti rispetto a quelli delle madri. Questo squilibrio nei modelli di congedo finisce così per rafforzare ulteriormente le differenze di genere nell’ambito professionale e in quello dell’assistenza.

Con l’obbiettivo di aumentare il numero di uomini che si avvalgono di congedi e flessibilità attraverso un miglioramento dell’accesso ai meccanismi di conciliazione fra attività professionale e vita familiare, le misure proposte prevedono:

  • congedo di maternità: misure non legislative volte a rafforzare l'applicazione della legislazione vigente in materia di protezione contro il licenziamento, sensibilizzazione al licenziamento delle donne incinte e orientamenti strategici per favorire il buon esito delle transizioni tra congedo di maternità e occupazione (compresi gli spazi e le pause per l'allattamento);
  • congedo di paternità: introduzione di un diritto individuale di 10 giorni lavorativi, retribuiti almeno al livello del congedo per malattia; 
  • congedo parentale: revisione dell'attuale diritto al fine di stabilire i) il diritto a un utilizzo flessibile (tempo parziale, frammentato), ii) quattro mesi di congedo non trasferibile tra i genitori, e iii) la retribuzione di quattro mesi almeno al livello del congedo per malattia; 
  • congedo per i prestatori di assistenza: introduzione di un diritto individuale di cinque giorni lavorativi all'anno, retribuiti almeno al livello del congedo per malattia; 
  • modalità di lavoro flessibili: il diritto per i genitori di bambini fino a 12 anni di età e per i prestatori di assistenza di chiedere la flessibilità dell'orario, del calendario o del luogo di lavoro per un periodo di tempo determinato, senza che il datore di lavoro abbia l'obbligo di accordare il cambiamento richiesto.