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Cassazione: quando il datore può sospendere unilateralmente il rapporto di lavoro?


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Con l’ordinanza n. 14419 del 27.05.2019, la Cassazione afferma che la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata ed esonera il medesimo dall'obbligazione retributiva, soltanto quando sia imputabile ad un fatto, imprevedibile ed inevitabile, estraneo alla volontà dello stesso.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di ottenere la restituzione della retribuzione inerente a 2,5 giornate - per le quali era stato proclamato uno sciopero poi revocato - in cui la Fondazione datrice aveva rifiutato la sua prestazione.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che il datore non può unilateralmente ridurre o sospendere l'attività lavorativa e, specularmente, rifiutare di corrispondere la retribuzione, perché se lo fa incorre in un inadempimento contrattuale.
Ciò sulla base di quanto previsto in generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il datore) soltanto se l'altra parte (il lavoratore) ometta di effettuare la prestazione dovuta, ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova - a carico dell’imprenditore - della impossibilità sopravvenuta.

Secondo i Giudici di legittimità, dunque, in base agli artt. 1218 e 1256 c.c., la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore è giustificata - ed esonera il medesimo datore dall'obbligazione retributiva - soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale.
Ne consegue che solo ricorrendo il duplice profilo dell'impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal dipendente e della contemporanea impossibilità di ogni altra prestazione in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla.

Corollario del predetto principio, per la sentenza, è che il dipendente sospeso non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro e quindi del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione - che realizza un'ipotesi di mora credendi - il prestatore conserva il diritto alla prestazione retributiva.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso della Fondazione, confermando il diritto del lavoratore a ricevere la retribuzione per le 2,5 giornate in cui il rapporto era stato illegittimamente sospeso.

A cura di Fieldfisher