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Cassazione: l’applicabilità delle previsioni contenute nel codice disciplinare


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Con l’ordinanza n. 9396 del 16.04.2018, la Cassazione afferma che, nel valutare i fatti posti alla base di un licenziamento, il giudice, pur non essendone vincolato, deve tener conto delle disposizioni contenute nel codice disciplinare nel quale sono individuati il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni in ordine a quel determinato momento storico ed allo specifico contesto aziendale.

Il fatto affrontato

Il dipendente, avente mansioni di autista - corriere, viene licenziato per giusta causa, per non essersi presentato presso una sede di lavoro diversa da quella abituale, cui era stato adibito per quella giornata, mediante un ordine di servizio regolarmente sottoscritto.
A seguito di ciò, il medesimo impugna giudizialmente il recesso, sostenendo l’insussistenza della giusta causa con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare.

L’ordinanza

La Cassazione afferma, preliminarmente, che, con riferimento all'ambito di applicazione delle tutele predisposte dall' art. 18 l. 300/1970, come modificato dalla riforma Fornero, il giudice deve accertare in primo luogo la sussistenza o meno di una delle fattispecie che consentono la risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero della giusta causa e del giustificato motivo, e, nel caso in cui la escluda, deve verificare anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante, onde individuarne le conseguenze (reintegratorie o risarcitorie) eventualmente applicabili.

Per i Giudici di legittimità, infatti, per giustificare un licenziamento disciplinare, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del lavoratore, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario, secondo una valutazione, afferente agli aspetti concreti del rapporto.

In tale valutazione il giudicante, pur non essendone vincolato, deve tener conto delle previsioni contenute nel codice disciplinare, richiamato dall'art. 7 della l. 300/1970 in funzione di monito per il lavoratore e di garanzia di prevedibilità della reazione datoriale.
Ne consegue, per la sentenza, che la scala valoriale recepita nel codice disciplinare deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c.

Posto che, nel caso di specie, la valutazione della Corte territoriale non si è attenuta correttamente ai suddetti principi, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal lavoratore, sul presupposto che la condotta contestatagli poteva essere punita con una sanzione conservativa.

A cura di Fieldfisher