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Cassazione: il giudice non ha il potere di rideterminare la sanzione disciplinare sproporzionata


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Con la sentenza n. 3896 del 11.02.2019, la Cassazione afferma che il potere di infliggere le sanzioni disciplinari e di proporzionarle rispetto alla gravità dell’illecito accertato spetta esclusivamente al datore di lavoro, rientrando all'interno del più ampio potere di organizzazione dell'impresa, che è espressione della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 della Costituzione.

Il fatto affrontato

Quattro lavoratori, aventi mansioni di autisti di linea, ricorrono giudizialmente al fine di chiedere l’annullamento della sanzione della sospensione per cinque giorni dal lavoro e dalla retribuzione inflittagli dalla società datrice.
Il Tribunale accoglie parzialmente la predetta domanda, riducendo la sospensione a due giorni.
La Corte d’Appello, riformando la pronuncia di primo grado, afferma che esula dai poteri del giudice ridurre la sanzione ritenuta sproporzionate ed, in conseguenza di ciò, procede all’annullamento della stessa.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma, preliminarmente, che il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell'illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell'impresa, quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost. ed è riservato esclusivamente al datore di lavoro.
Ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della stessa riducendone la misura.

Per i Giudici di legittimità, tale principio generale conosce soltanto due eccezioni, che sono le uniche che possono configurarsi.
La prima si manifesta nell’ipotesi in cui l'imprenditore abbia superato il massimo edittale: in questo caso, infatti, il giudice è legittimato a ricondurre la sanzione entro a tale limite.
La seconda eccezione si configura, invece nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione. Ciò consente al giudice di ridurre la sanzione, dal momento che, così facendo, non scalfisce l’autonomia dell’imprenditore, ma si adegua ad un nuovo giudizio valutativo che il datore ha fatto con riferimento alla medesima sanzione.

Su tali presupposti - posto che, nel caso di specie, non si rientrava in nessuna delle due predette ipotesi eccezionali, in quanto al giudice era stato chiesto, in maniera generica, di procedere ad una valutazione sulla congruità della sanzione applicata - la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società.

A cura di Fieldfisher